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Mina
Nel
gabinetto del dottor Mabuse l'attivismo febbrile regna
sovrano. Non si riesce a terminare un esperimento, non si è
ancora finito di congelare embrioni o di scongelare
spermatozoi, che subito c'è un'altra ricerca da portare
avanti. La stampa staziona nell'anticamera dei laboratori,
sempre pronta a carpire ogni minima fuga di notizie per
sparare il titolone sensazionalistico.
E le multinazionali tengono aperti i rubinetti dei
finanziamenti, nell'interessata convinzione che Mabuse sia
la loro nuova gallina dalle uova d'oro. Il terreno della
maternità è troppo importante perché certe notizie non
scatenino prese di posizione appassionate. Con frasi ad
effetto, con sintesi giornalistiche da bigino
etico-scientifico, con minitrattatelli sui massimi sistemi,
si pretende di dare a ciascuno gli elementi utili per
sentirsi in dovere di partorire opinioni, a favore o contro.
E noi, l'eterno paese cioccolataio di guelfi e ghibellini,
di Coppi e Bartali, di Totti o Del Piero, non riusciamo a
frenare la smania di schieramento ad ogni costo. Sono stati
dipinti scenari in cui l'utero naturale non sarà più
indispensabile. Addirittura si è parlato dell'eliminazione
di una funzione fondamentale della donna, di un mondo di
soli uomini che, con poche cellule femminili crioconservate,
si autoriprodurranno a piacimento.
E, come al solito, sulle ipotesi fondate su esperimenti
ancora in corso, si innalzano canti di giubilo e osanna,
oppure levate di scudi e anatemi. La cautela è d'obbligo.
Sia nel valutare l'aspetto della fattibilità tecnica, sia
nel porre inevitabili paletti etici. Ma occorre innanzitutto
una considerazione che parta dai due attori principali in
gioco: la madre e il figlio.
Bisogna essere donne per avvicinarsi umilmente al tentativo
di comprendere questa faccenda. Per poter capire il
desiderio, la necessità violenta di avere un figlio. Il
formidabile motore che abbiamo dentro se siamo madri, e
spesso lo siamo anche se non abbiamo avuto figli, non lo si
può fermare neppure con il panzer delle leggi o della
morale. Se fossero gli uomini ad essere delegati alla
generazione, non credo che ci sarebbe lo stesso accanimento.
Ma nello stesso tempo c'è un altro protagonista: il
bambino. Che
cosa o chi nascerebbe da un utero artificiale, dopo nove
mesi di aridità affettiva? Un corpo o un essere umano?
L'interazione, non solo biologica, tra l'io fetale e la
madre è un'esperienza di rapporti che costruisce parte
della personalità del nascituro. Si sa che il bambino
reagisce, con battiti più intensi del cuore e con
movimenti, quando sente le voci della madre e del padre. Da
questo punto di vista la biotecnologia non riuscirebbe a
compiere ciò che la natura svolge già abbastanza bene.
Forse abbiamo a che fare con esigenze opposte. Per questo la
scelta della maternità deve essere lasciata solo a chi
comprende che la generazione non ha a che fare né con
facili sentimentalismi, né con esperimenti da piccolo
chimico. Per mantenere quello stretto
rapporto circolare che c'è tra l'amore e la vita.
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