Società

Nove mesi senza amore

Mina



Nel gabinetto del dottor Mabuse l'attivismo febbrile regna sovrano. Non si riesce a terminare un esperimento, non si è ancora finito di congelare embrioni o di scongelare spermatozoi, che subito c'è un'altra ricerca da portare avanti. La stampa staziona nell'anticamera dei laboratori, sempre pronta a carpire ogni minima fuga di notizie per sparare il titolone sensazionalistico.


E le multinazionali tengono aperti i rubinetti dei finanziamenti, nell'interessata convinzione che Mabuse sia la loro nuova gallina dalle uova d'oro. Il terreno della maternità è troppo importante perché certe notizie non scatenino prese di posizione appassionate. Con frasi ad effetto, con sintesi giornalistiche da bigino etico-scientifico, con minitrattatelli sui massimi sistemi, si pretende di dare a ciascuno gli elementi utili per sentirsi in dovere di partorire opinioni, a favore o contro.


E noi, l'eterno paese cioccolataio di guelfi e ghibellini, di Coppi e Bartali, di Totti o Del Piero, non riusciamo a frenare la smania di schieramento ad ogni costo. Sono stati dipinti scenari in cui l'utero naturale non sarà più indispensabile. Addirittura si è parlato dell'eliminazione di una funzione fondamentale della donna, di un mondo di soli uomini che, con poche cellule femminili crioconservate, si autoriprodurranno a piacimento.


E, come al solito, sulle ipotesi fondate su esperimenti ancora in corso, si innalzano canti di giubilo e osanna, oppure levate di scudi e anatemi. La cautela è d'obbligo. Sia nel valutare l'aspetto della fattibilità tecnica, sia nel porre inevitabili paletti etici. Ma occorre innanzitutto una considerazione che parta dai due attori principali in gioco: la madre e il figlio.


Bisogna essere donne per avvicinarsi umilmente al tentativo di comprendere questa faccenda. Per poter capire il desiderio, la necessità violenta di avere un figlio. Il formidabile motore che abbiamo dentro se siamo madri, e spesso lo siamo anche se non abbiamo avuto figli, non lo si può fermare neppure con il panzer delle leggi o della morale. Se fossero gli uomini ad essere delegati alla generazione, non credo che ci sarebbe lo stesso accanimento.


Ma nello stesso tempo c'è un altro protagonista: il bambino.
Che cosa o chi nascerebbe da un utero artificiale, dopo nove mesi di aridità affettiva? Un corpo o un essere umano? L'interazione, non solo biologica, tra l'io fetale e la madre è un'esperienza di rapporti che costruisce parte della personalità del nascituro. Si sa che il bambino reagisce, con battiti più intensi del cuore e con movimenti, quando sente le voci della madre e del padre. Da questo punto di vista la biotecnologia non riuscirebbe a compiere ciò che la natura svolge già abbastanza bene.


Forse abbiamo a che fare con esigenze opposte. Per questo la scelta della maternità deve essere lasciata solo a chi comprende che la generazione non ha a che fare né con facili sentimentalismi, né con esperimenti da piccolo chimico. Per mantenere quello
stretto rapporto circolare che c'è tra l'amore e la vita.

Mina, La Stampa,  16 febbraio 2002

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