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Mina
Carne
da media. Le tragedie e le sofferenze delle persone date in
pasto all'opinione pubblica da tv e stampa inginocchiate
davanti al dogma del diritto all'informazione. Se la carne
da macello presenta ancora rischi per la salute dell'uomo,
si può stare tranquilli: le zelanti autorità sanitarie
vigilano su di noi. Ma sulla carne umana, quella fatta di
sentimenti e di nervi, nessuna regola, nessun rispetto,
nessuna capacità di silenzio.
Sulla ragazza che ha contratto il morbo della Bse ci hanno
detto tutto: età, residenza, amori, studi universitari e
relativi voti. Salvo poi pagare il prezzo all'ipocrisia più
scriteriata, dicendoci che il suo cognome viene omesso,
«per tutelare la privacy». Ma intanto abbiamo visto di
tutto. Conduttori televisivi di seconda serata, non contenti
di mostrare coltelli insanguinati, che si avventano sul
caso, sparando il nome a caratteri cubitali e
stropicciandosi le mani per l'audience assicurata.
Giornalisti che iniziano i loro pezzi con attacchi
memorabili del tipo: «La paura serpeggia tra i banconi
delle macellerie e dei supermercati». E il sito del più
venduto giornale italiano che apre una pagina dal titolo
«Mucca pazza: quello che bisogna sapere, dopo la ragazza
malata». A parte l'orrore linguistico imposto dalla sintesi
giornalistica, la ragazza diventa il pretesto per rinnovare
il balletto dell'allarmismo.
Non sarà mai urlato abbastanza che non è tollerabile che
tutto, senza alcun rispetto della persona, possa diventare
strumento dei media per creare notizia. La vita, il dolore,
la malattia, vengono sbandierati da chi continua a
considerare la persona soltanto come immagine, occasione di
spettacolo. Ma la vita dell'uomo è un'altra cosa.
Assistiamo impotenti al fatto che non esiste più neppure la
distinzione tra l'orrenda stampa rosa, quella che abusa
cinicamente delle vicende dei cosiddetti vip, e i media
d'informazione. Ormai ridotti a imbastire casi, a
trasformare tragedie in «gialli», a uccidere un'altra
volta chi è già stato massacrato dalla follia umana. E non
mi si venga a dire che l'opinione pubblica richiede notizie.
I lettori non hanno mai chiesto di essere informati sulle
condizioni del femore della regina madre, non possono essere
costretti a ciucciarsi il parere di tutti i politici sul
rientro dei Savoia, non possono essere trattati come una
discarica in cui i media riversano tutto ciò che loro
considerano importante.
Da Vermicino, passando per Cogne, fino alla ragazza malata
di Bse, la morbosità uccide più del morbo.
Abbiamo perso una grande occasione per ritornare all'unico
atteggiamento vero nei confronti di chi soffre: il rispetto.
Che in queste vicende può tradursi solo in silenzio. Non
saremmo vittime della morbosità, se ad ammalarsi o a morire
fosse nostra figlia o nostra madre. Il fratello della
ragazza malata ha dichiarato: «Chiedo a giornali e tv di
recuperare una sensibilità finora mancata». Un po' di
compassione, un po' di distacco, per non ammazzarla ancor
prima che sia un morbo a farlo.
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