S O C I E T A' |
In difesa del rossore |
MINA
S Non sei sicuro, non sei aggressivo, non sei spavaldo? Allora sei malato, perché non ti adegui al cliché dell’uomo vincente. E se obietti, confessando a te stesso che quel tuo sentirti leggermente impacciato di fronte agli altri sia solo un handicap insignificante, ci sono sempre gli esperti di turno, lo psicanalista o il tuttologo da rotocalco femminile, pronti a convincerti che sei affetto da "disturbo da ansia sociale". A supporto accorrono poi anche gli statistici, che incasellano tutto nei numeri ed equiparano la tua fobia a quella che colpirebbe il 13 % degli americani. E proprio perché sei malato, sei da curare con l’ennesima pilloletta, frutto dell’ultima roboante scoperta scientifica. Ma io preferisco le persone timide, anzi, addirittura quelle imbarazzate. Nella mia considerazione stanno di gran lunga davanti agli arroganti, a quelli che fanno della loro sicumera il marchio d.o.c. del loro "stare in società". Ai protervi, a quelli che se ne vanno tra la gente armati di sussiego e di tracotante presunzione, preferisco i taciturni. Sono molto più interessanti quelli che, quando escono dalla loro riservatezza, con poche pesanti parole sanno andare al centro delle cose. Tutto il contrario dei vacui parlatori, come quelli che riescono ad essere verbosi anche quando emettono un solo monosillabo, o come quei tuttologi che vomitano frasi a getto continuo finché non trovano qualcosa da dire. Le parole più importanti che abbia sentito in vita mia sono quelle non dette. Quelle che si sono fermate sul limitare delle labbra e non si sono rivestite della fisicità di un suono, che le avrebbe inevitabilmente banalizzate. Quelle che mi hanno lasciato la facoltà di immaginare più di quanto avrebbero potuto esprimere. Quelle che vivono di sospiro, che poggiano più su un’intenzione che su un contenuto esplicito. Quelle del cuore. Il ragionier Giustini lo sa bene. Ma poi ritorna spesso a pensare che l’eloquio fluente, quello che lui non ha, è spesso ritenuto segno di importanza. Per questo l’altro ieri, leggendo la notizia della miracolosa pilloletta, è rimasto immobile sulla pagina del giornale per alcuni infiniti minuti. Ondeggiava tra il pensiero trasognato di un lungo discorso virilmente cialtrone, fatto davanti agli occhi dei colleghi, sbarrati dalla sorpresa, e la convinzione che la sua disabitudine alla parola sarebbe stata invincibile. Alla fine, dopo quegli infiniti minuti di consueto silenzio e di inconsueti pensieri, gli è balenata la soluzione definitiva: avrebbe comprato quella scatolina di Escitalopram e l’avrebbe messa sul comodino antico, guardandola tutte le sere prima di coricarsi.
Sapendo
che, forse, sarebbe rimasta sempre lì, come arma
inutilizzata. Impossibilitata a vincere quella timidezza che
è la sua vera forza.
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Mina
La Stampa,
02 dicembre 2001