|
MINA
Siamo molto, ma
molto più vecchi di quanto pensiamo. Se verrà confermata
la scoperta di un gruppo di ricercatori dell’università
di Napoli, forse dovremo scompigliare tutte le nostre
presunte certezze sull’origine della vita. Forse non
sarà elegante, forse non corrisponderà al nostro
inguaribile antropocentrismo sentirci definire «figli di
una meteorite», ma probabilmente dovremo riconsiderare
tutta l’immensa questione del «chi siamo e da dove
veniamo». La vita, almeno a livello primordiale,
precederebbe di molto quella presente sulla Terra,
sarebbe disseminata nelle immensità dello spazio sotto
forma di batteri, virus e geni, capaci di risvegliarsi e
di moltiplicarsi in presenza di un ambiente adatto.
Finalmente gli orizzonti si allargano.
Invischiati, come siamo, tra schermaglie di opposti
schieramenti, quei microscopici organismi che sono stati
rianimati e riprodotti dopo quattro miliardi di anni di
vita quiescente scatenano un senso di apertura. Invece
di aggrovigliarci nelle strettoie del chiacchiericcio
politico, infiorettato dalle battute sarcastiche di
piacioni e padroni, siamo catapultati verso un
ampliamento dei confini, come se improvvisamente fossimo
invasi da una totale assenza di limiti.
Già da
oggi possiamo sentirci meno soli, soprattutto
considerando che i batteri extraterrestri scoperti nelle
meteoriti hanno un codice genetico nuovo e diverso
rispetto ai 18 mila tipi finora conosciuti. Ma
osservando quelle pietre cadute dallo spazio, che non
hanno un aspetto molto difforme da quello di qualche
sasso terrestre, lo sguardo viene di nuovo rivolto verso
l’alto. Verso quel cielo notturno, che risucchia gli
occhi e trapassa il cuore, se solo per un attimo ci si
ferma a pensare che alla straziante, meravigliosa
bellezza del creato su questa terra corrisponde
un’infinità sconosciuta che ci sovrasta.
«E quando miro
in cielo arder le stelle dico fra me pensando: a che
tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
infinito seren?
Che vuol dir questa solitudine immensa?
Ed io che sono?
Così meco ragiono ...».
E
con
Leopardi riscopro la domanda che il cielo suggerisce a
chi si arrabatta su questa terra. I germi della vita
sono disseminati in ogni angolo dell’universo e
corrispondono ad un disegno che ancora ci sfugge in
tutti i suoi precisi contorni. Come se il soffio vitale
non avesse investito soltanto la nostra Terra, ma avesse
voluto abbracciare l’universo intero. «Forse s’avess’io
l’ale da volar su le nubi, e noverar le stelle ad una ad
una, più felice sarei, candida luna».
Più felice perché
più consapevole della fonte delle cose.
Vorremmo
conoscere tutto e al più presto. E se quei batteri
avessero dato origine ad altre forme di vita
intelligente in qualche remotissima plaga dell’universo,
ci dovremmo chiedere: siamo noi i marziani e sono loro i
veri uomini? E sarebbe inevitabile sentire il bisogno di
ripartire dal progetto di un’umanità diversa, perché la
nostra si è rivelata insufficiente. E magari costruire
un ordine nuovo, che non ci faccia più pensare che siamo
tutti come in un’enorme caotica aula da cui è scappata
la maestra.
|