Società

L'Italia non è un souvenir

Noi italiani siamo consapevoli dell’eredità di storia e di cultura disseminata nelle nostre città? E che è quasi stampata nel nostro codice genetico?

MINA



Li abbiamo visti anche nel gelo di queste vacanze pasquali. A frotte. Solo loro, gli onnipresenti giapponesi, erano incuranti delle temperature polari. Il loro perenne sorriso era stampato contro la facciata del Duomo di Firenze, inglobato nei dipinti degli Uffizi, annegato dentro la Fontana di Trevi. L’ubiquità nipponica ha punteggiato i luoghi d’arte della nostra clamorosa Italia e ancora una volta ci siamo sentiti inorgoglire il cuore per un grandioso passato che tutti vogliono ammirare. Sembra però che questa pacifica invasione di consumatori di arte nostrana avrà presto fine.

Un’azienda giapponese, all’avanguardia nelle tecnologie di riproduzione delle immagini digitali, ha concluso un accordo con la Sovrintendenza di Firenze, Pistoia e Prato. Si intende riprodurre, con altissima fedeltà cromatica e su schermi tridimensionali, gli ottocento capolavori esposti negli Uffizi e le oltre settecento opere accatastate nei magazzini del museo fiorentino. Non è difficile prevedere che l’azienda giapponese, dopo aver già riprodotto gli affreschi della Sistina di Michelangelo e dopo aver ricreato un antico tempio buddista, realizzerà una sorta di museo virtuale, in cui si potranno ammirare su schermi giganti le riproduzioni del patrimonio artistico italiano e mondiale. A costi contenuti e con la possibilità di rendere fruibile a livello planetario, anche via Internet, tutte le riproduzioni. Abbiamo già assistito al rifacimento di una Venezia clonata dagli americani, in dimensioni reali, con tanto di canali, gondole, palazzi e piccioni.

Molti anni fa, Paul Getty costruì a Malibu una stupenda e kitschissima villa pompeiana, destinata a essere sede della sua superba collezione d’arte, ovviamente italiana ed europea. E all’antica Roma, sede di epici scontri nel Circo Massimo, hanno già pensato i maghi del computer, ricostruendola per le riprese di «Il gladiatore». E’ ovvio che chi non ha una tradizione di bellezza, come la nostra, se la ricostruisce come può. Anche con l’informatica, in una sorta di grande videogame, usando la tecnologia e la potenza del denaro. Ma la ricostruzione del passato non può bastare. La verità dell’arte è irriproducibile e, nonostante tutto, americani e giapponesi tornano comunque in Italia a gustare la fonte originaria di quella bellezza che tanto li emoziona. E il loro accalcarsi di fronte ai nostri monumenti è come se riproponesse la pungente domanda: noi italiani siamo consapevoli dell’eredità di storia e di cultura disseminata nelle nostre città? E che è quasi stampata nel nostro codice genetico?

Abbiamo visto crollare un tratto delle Mura Aureliane, maldestramente restaurate da poco tempo. E a Roma continua lo scempio dell’Ara Pacis. Vedendo come è trattato il nostro Paese e inorridendo di fronte alle voragini di ignoranza, da cui sono risucchiati soprattutto i nostri ragazzi, mi verrebbe forse da dire che è meglio che i giapponesi si affrettino a rifare tutto il nostro passato, prima che noi lo distruggiamo per sempre. Cesare Pavese scriveva:

«Quando un popolo non ha più il senso vitale del suo passato si spegne.
La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. 
Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. 
La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia».


La Stampa, Sabato 21 Aprile 2001

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