Giovanni Paolo II: |
Se la Parola non ha convertito,
Monsignor Rylko ha
concluso il Meeting di Rimini con un omaggio al Papa. |
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di Stanislaw Rylko Neopresidente del Pontificio Consiglio per i Laici In questo venticinquesimo anniversario di pontificato di Giovanni Paolo II, capita spesso di tornare con la memoria a quell’indimenticabile 16 ottobre 1978, quando il Collegio cardinalizio riunito in conclave elesse Successore di Pietro l’arcivescovo metropolita di Cracovia, Karol Wojtyla. E riviviamo il profondo stupore di quel giorno. Nel suo misterioso disegno, quel giorno, Dio apriva una pagina nuova nella vita della Chiesa. Una pagina densa di svolte salienti, di avvenimenti epocali. Torniamo a quella data, non per sentimentalismo, ma animati da spirito di fede, per capirne meglio la portata e ringraziare il Signore della storia per il dono di questo Papa alla Chiesa e al mondo. “ Da Cracovia a Roma”. Perché? Il titolo che ho scelto per la mia relazione è come un invito a guardare al pontificato di Giovanni Paolo II attraverso la “lente” dell’esperienza di queste due Chiese che, venticinque anni fa, sono state chiamate in causa in modo speciale, l’una per donare il proprio Vescovo, l’altra per accoglierlo. A donare il suo Vescovo, la Chiesa di Cracovia. A riceverlo, la Chiesa di Roma che, per la prima volta dopo 400 anni, accoglieva un Papa non italiano. Un Papa slavo, venuto «da un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana» [1]. (…) Lasciare la Chiesa di Cracovia per Karol Wojtyla non è stato facile. Ogni parola del messaggio con il quale il Papa volle congedarsi dalla sua gente è permeata da una straordinaria carica emotiva. Diceva, tra l’altro: «Scrivo a voi queste parole, carissimi fratelli e sorelle, nell’eccezionale e inaspettato momento in cui lascio la Chiesa di Cracovia, la Cattedrale vescovile di San Stanislao, per assumere la Cattedra di San Pietro a Roma. Non posso fare a meno in questa circostanza di pensare a voi e di rivolgermi a voi, a cui per 20 anni mi ha unito in modo più stretto il mio ministero episcopale e prima ancora il lavoro pastorale e quello di professore, e ancor prima i difficili anni di occupazione durante la guerra, le esperienze del lavoro fisico e infine tutta la mia vita dalla nascita. Credetemi, venendo a Roma per il conclave non avevo altro desiderio che di tornare tra voi, alla mia carissima arcidiocesi e in Patria. Tutto questo porto nel mio cuore e in certo modo lo tengo con me: tutta la mia diletta Chiesa di Cracovia, singolare parte della Chiesa di Cristo in Polonia e singolare parte della storia della nostra Patria. Tutto ciò mi segue sulla Cattedra di San Pietro. Tutto ciò costituisce uno strato della mia anima che non posso lasciare». [2] (...) San Stanislao vescovo e martire è una figura chiave per capire il ministero pastorale di Karol Wojtyla nella Chiesa di Cracovia. Per Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, san Stanislao è stato esempio eccelso del buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr. Gv 10, 11). (...) Tanti gli esempi che si potrebbero dare. Mi limito qui a citarne alcuni tra i più significativi. Una delle priorità del suo impegno a favore dell’uomo è stata la battaglia per la difesa del diritto alla vita. (...) Al regime che cercava di soffocare l’azione pastorale della Chiesa, negando i permessi per la costruzione delle chiese nei nuovi quartieri che nascevano e per l’erezione di nuove parrocchie, Karol Wojtyla ricordava intrepido: «Nella nostra realtà sociale questa è una verifica concreta del rispetto dei diritti civili, della libertà religiosa e del diritto costituzionale della Chiesa a svolgere la sua missione essenziale». [3]. Caso emblematico, il quartiere industriale di Nowa Huta progettato come modello della città socialista senza chiese, dove furono gli stessi operai a ribellarsi reclamando il loro diritto alla libertà religiosa. Un altro campo di battaglia strategico di Karol Wojtyla ai tempi del comunismo è stata la gioventù. Dinanzi agli ostacoli posti all’insegnamento della religione, scriveva ai giovani: «Ricordatevi che la partecipazione alla catechesi è l’espressione di una libertà fondamentale dell’uomo cristiano: la libertà religiosa e la libertà di coscienza, che sono un diritto basilare della persona umana nella società e nello Stato. Partecipando alla catechesi e alla vita religiosa delle vostre parrocchie e delle vostre comunità giovanili, voi contribuite al consolidamento di questo diritto nella vita di tutta la nostra società». [4] (...) Nella Polonia di quegli anni, tutti - dagli intellettuali agli uomini di scienza, dalle persone di grande cultura agli operai e alla gente dei quartieri popolari - hanno visto e riconosciuto nel proprio Vescovo un intrepido difensore dei loro diritti fondamentali. Tutto ciò detto è più facile capire da dove nascano le parole che Giovanni Paolo II scrive nella sua prima enciclica programmatica Redemptor hominis: «L’uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione». [5] (...) A Roma, nei giorni precedenti il conclave, Karol Wojtyla scrive l’ultima poesia firmata con questo nome e intitolata Stanislao. Come se avesse un presentimento, a pochi giorni dalla sua elezione si congeda dall’amata Chiesa di Cracovia. Dice, tra l’altro, la poesia: Voglio descrivere la Chiesa - / la mia Chiesa […] / che sempre mi sovrasta - / Chiesa: il fondo e la vetta del mio essere. / Chiesa: radice tesa nel passato e nel futuro, / Sacramento della mia vita in Dio che è Padre. / Voglio descrivere la Chiesa - / la mia Chiesa legata alla mia terra […] / Voglio descrivere la mia Chiesa in un uomo di nome Stanislao, / il nome che fu scritto nelle cronache più antiche dalla spada del re Boleslao. / Egli tracciò quel nome sul pavimento / quando uscirono rivoli di sangue. / Voglio descrivere la mia Chiesa nel nome per cui il popolo / ricevette un secondo battesimo, / un battesimo di sangue; per essere poi sottoposto, e non una volta sola / al battesimo di prove diverse […] / Se la Parola non ha convertito, sarà il Sangue a convertire - / forse al vescovo mancò il tempo di pensare: / allontana da me questo calice. È una testimonianza toccante dell’intimo rapporto che Karol Wojtyla ha con la Chiesa di Cracovia e con il suo patrono, san Stanislao. Le ultime righe, rilette alla luce dell’attentato in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981, suonano come una profezia: «Se la Parola non ha convertito, sarà il Sangue a convertire». (...) Eletto alla Sede di Pietro, Giovanni Paolo II ha saputo allacciare subito con la Chiesa di Roma dei legami molto personali. Si presentò così ai romani e a tutto il mondo cattolico: «Alla Sede di Pietro a Roma sale oggi un Vescovo che non è romano. Un Vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa pure lui romano. Si romano! Anche perché figlio dì una nazione la cui storia, dai suoi primi albori, e le cui millenarie tradizioni sono segnate da un legame vivo, forte, mai interrotto, sentito e vissuto con la Sede di Pietro». (...) Quando parla di Roma Giovanni Paolo II usa spesso due parole: vocazione e missione. Per lui Roma è per molti versi una città messaggio. Il Papa polacco ha una visione molto alta della vocazione di questa città che, all’inizio del suo pontificato, celebrava così: «Gloria ai martiri e ai confessori! Gloria a Roma santa! Gloria agli apostoli del Signore! Gloria alle catacombe e alle basiliche della Città eterna!». [6] La Chiesa di Cracovia, che per volontà del Signore Karol Wojtyla ha dovuto lasciare venticinque anni or sono, continua ad accompagnarlo con amore filiale e con una preghiera assidua. L’ultimo atto importante di questo itinerario è stato un anno fa, quando Giovanni Paolo II ha voluto presiedere personalmente a Cracovia la dedicazione del Santuario di Gesù Misericordioso e la consacrazione dell’umanità alla Divina Misericordia, sotto l’ispirazione di un’umile religiosa - santa Faustina Kowalska. Egli ha voluto accendere così come un grande faro di speranza per la Chiesa e per tutti gli uomini. Un altro gesto profetico di questo Papa. Così, Giovanni Paolo II ha affidato alla sua Chiesa di Cracovia una nuova missione: dono e compito... dono e mistero. [1] Giovanni Paolo II,
Da un paese lontano, “Insegnamenti di Giovanni Paolo II” I (1978), 3.
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Giovanni Paolo II: «Se la Parola non ha convertito, sarà il Sangue », di Stanislaw Rylko, Meeting Rimini, 29 agosto 2003 |