Piero
Ocello scrittore e poeta galatrese |
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di Francesco Di Stilo Il prof. Piero Ocello, galatrese, è deceduto il 25 febbraio scorso a Roma, lasciando un vuoto incolmabile non solo nei suoi familiari e negli amici che lo hanno conosciuto, ma anche nella cultura galatrese e calabrese. Ramo divelto dall'albero della cultura, fiamma spenta dal focolare del sapere. E' stato divelto quel ramo, è stata spenta quella fiamma, dopo aver dato, però, tanti frutti, dopo aver acceso tante fiamme. Scrittore e poeta di fine talento, Piero Ocello, può essere accostato ai grandi della letteratura e della poesia, arricchendo, cosi, la sequela non solo dei tanti cultori della letteratura italiana, ma anche quella dei poeti e scrittori galatresi: Conia, Martino, Lamanna, Distilo, Alvaro, Sergio. Durante la sua vita l'abbiamo visto insegnante elementare prima, professore nelle scuole medie inferiori e superiori e preside, poi, sempre attento e premuroso verso i propri discepoli per trasmettere loro non soltanto la teoria del vivere civile, ma la pratica del sapere e dell'educazione. E' stato giudice onorario del tribunale dei minorenni, cercando di suscitare interessi idonei a fornire risposte operative alle sollecitazioni del mondo giovanile; da dirigente del Centro Internazionale di Cultura «San Tommaso d'Aquino» non disdegnò di continuare la sua opera didattica; a Bagnara, dopo aver fondato il Centro Italiano di Pedagogia Sociale, si adoperò ad organizzare comitati d'azione pro-pescatorì; tenne centinaia corsi di aggiornamento; istituì scuole magistrali ortofreniche; fondò l'Istituto medico-psichico-pedagogico a Castrovillari, organizzando giornate mediche e dibattiti sulla giustizia minorile. I suoi scritti sono tutti ispirati ad un fine preciso: alla educazione delle generazioni. Per queste sue particolari virtù, non mancarono i riconoscimenti da parte delle istituzioni che lo hanno visto operare con animo ardente e con ogni disinteresse economico di sorta. A Galatro, da presidente della locale sezione combattenti e reduci, ci ha lasciato un monumento ai caduti che si erge maestoso nella villa comunale. Amante del suo paese, pur abitando lontano, lo abbiamo visto sempre presente nelle varie manifestazioni, perché attirato dalle tradizioni locali, dal luogo che lo ha visto nascere e crescere. E' stato attento e premuroso collaboratore di molte riviste letterarie, tra cui «Calabria Letteraria», riviste su cui ha pubblicato articoli di varia cultura e moltissime sue poesie. La poesia del Prof. Ocello attrae e convince il lettore, perché emana un profumo che non passa attraverso l'umano e visibile olfatto, un profumo di cielo che penetra nell'animo. Vorrei riportare, a questo punto, uno per uno i suoi versi per far sentire al lettore quel profumo di anima, di vita, di sogno e di realtà, ma mi è impossibile per diversi aspetti. Mi limiterò soltanto a citare alcuni versi, rimandando il lettore all'attenta e completa lettura. Piero Ocello, cattolico fervente, e praticante, scrisse non per sé, per gli altri: per i bambini e per gli adulti, per i giovani e per i vecchi, per i buoni e per i cattivi, per i ricchi e per i poveri, per il colto e per l'ignorante. Il suo fine era uno solo: educare alla realtà della vita. La credenza cristiana di Ocello scaturisce come limpida sorgente dai suoi versi: vedi Scheletro di pietra, Epopea della luce, Il sepolcro del tempo, Rimembranze, Il trionfo. In ogni suo verso c'è l'esortazione al senso del dovere sociale, della rettitudine morale. Egli è stato quel seminatore che sparse la sua semenza con la speranza che il suo seme cadesse su buona terra e fruttificasse per dare alla società, agli uomini tutti, quel succo rigeneratore che possa alimentare e dare buona linfa a una società che va scivolando verso un declivio, per poterla riportare sulla via maestra, su quella via tracciata da Cristo. I versi di Ocello sono pedagogia pura, pedagogia vivente, perché scaturiti da un nobile animo e da una mente forgiata all'ombra di Cristo. Speranzoso egli attendeva che questa società smarrita si rimettesse sulla buona strada e, in Te Deum a Spinaceto, così leggiamo: «Ansiosi, nella morsa del gelo,in Spinaceto fra Mostacciano il mare e il Torrino, a ridosso del Fungo, attendiamo l'esplosione di giubilo, che fondi la vita di salda speranza».
Versi suadenti dettati da una mente scevra da certi preconcetti, da un uomo che, sicuramente, sperava di vedere una società che cammini nel senso di Dio. Per questo abbiamo detto prima che la poesia di Ocello ha sapore di cielo. E' un balsamo che ammorbidisce l'animo, che penetra attraverso i membri del cuore umano. Ma non è tutto: Ocello era innamorato e preoccupato del prossimo, dei suoi simili, di quelli che soffrono, che penano per le loro condizioni economico-sociali, per le loro condizioni fisiche, innamorato e preoccupato della sua terra, dell'Italia e, particolarmente della sua Calabria che voleva vedere lavata da quella macchia di sottosviluppo che l'avvince e che la fa considerare una appendice dell'Italia. Non per niente, Torna figlío del Sud, egli invita il Papa Woitila a ritornare in Calabria «per placare i venti/ le tempeste/ plasmarli di speranza/ di giustizia/ di vita umana rinverdita» /. Egli soffriva questo dramma della sua terra e lo rivela ad ogni piè sospinto e insiste invitando Papa far ritorno: «Tì richiama/ Ti brama/ perché mai più diffamata/ avvilita/ per tana di briganti/ sia trattata/ la materna mia terra di Calabria / traboccante d'amore/ di speranza». Le sue poesie sono inni d'amore verso la società, verso la natura, verso tutto quello che Dio ha creato. Ecco perché la poesia di Ocello emana profumo di anima, di vita, di sogno e di realtà.
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Francesco Distilo, Calabria Letteraria, n. 7-8-9, Luglio-Agosto-Settembre 2001 |