GALATRO ed i suoi POETI:

Ettore Alvaro

Per i  novant’anni di Ettore Alvaro 
Principe dei Poeti Calabresi

 

Umberto Di Stilo

Ettore Alvaro, principe dei poeti calabresi”,  come ebbe a definirlo nel 1981 il glottologo e dialettologo tedesco Gerhard Rohlfs, è felicemente giunto al traguardo dei suoi “primi” novant’anni festeggiato da figli, nipoti e pronipoti e circondato dall’affetto e dalla stima dei numerosi amici ed estimatori che, sparsi un po' in tutta Italia, seguono con grande attenzione la sua qualificata produzione letteraria.

Della poesia di Ettore Alvaro, nel corso degli ultimi decenni, si sono interessati i maggiori critici e studiosi del dialetto e della letteratura calabrese. Antonio Piromalli lo annovera tra i poeti più rappresentativi del novecento, nella nuovissima (ed aggiornata) “Letteratura calabrese” (Pellegrini Editore) e Sharo Gambino gli ha dedicato alcune pagine della sua “Antologia della poesia dialettale calabrese” (Carello Editore).

Ma il giudizio che più di ogni altro lo ha sempre inorgoglito è quello del glottologo Gerhard Rohlfs che, scrisse di apprezzarlo per la squisita autonomia dell’arte vernacola, combinata con una meravigliosa freschezza dell’espressione dialettale qualità in base alle quali, dall’alto della sua specifica competenza, lo studioso tedesco non esitò ad  affermare che il poeta Alvaro si è avanzato tra i migliori poeti calabresi della nuova generazione.

L’ apprezzamento  è del 1975 ma resta sempre valido e fondato perché il poeta, come il buon vino, è migliorato col passare degli anni. Ciò sia perché evidenzia una maturità tematica sempre più vasta ed approfondita, sia perché in questo lungo lasso di tempo ha prodotto opere (moltissime, purtroppo, sono ancora inedite!) che, a nostro avviso, concorreranno in maniera determinante a far conoscere ed apprezzare il poeta galatrese come il vero e delicato cesellatore del vernacolo, perché è innegabile che il dialetto, proprio nelle poesie di Alvaro, raggiunge altissime forme artistiche.

Si badi bene, però: Alvaro non usa il dialetto “colto” di oggi. Il poeta, infatti, per i  suoi versi ricorre alla  parlata che fino ad alcuni lustri addietro era utilizzata dalle classi subalterne calabresi. Insomma, usa una lingua che affonda le radici nell’humus popolare. Una “lingua”, cioè, quella di cui si serve l’Alvaro,  ancora immune da quei termini italianeggianti che rappresentano la conseguenza più evidente e naturale del  massiccio flusso migratorio registrato in Calabria a partire dalla fine degli anni cinquanta e che sono, soprattutto, il frutto della sempre più capillare scolarizzazione di massa dovuta all’ elevazione dell’obbligo scolastico ed alla istituzione della scuola media anche nei piccoli centri.

Ettore Alvaro ha lasciato la sua terra d’origine quando il dialetto era l’unica lingua conosciuta e parlata dalla stragrande maggioranza dei calabresi. Proprio per questo nel cuore, oltre che nella mente, gli è rimasta impressa una terminologia che oggi, oltre ad essere superata dall’evolversi del tempo è quasi completamente sconosciuta dalle giovani generazioni. Da questo punto di vista, pertanto, il suo è un linguaggio “classico”. E’ la parlata popolare che, a testimonianza delle remote culture che hanno interessato la nostra regione, è ricca di un lessico che affonda le sue radici etimologiche non solo nella lingua greca ed in quella latina ma anche nell’araba e, via via, nella spagnola ed in quella francese. Non per niente dalle opere di Alvaro, grazie al linguaggio sempre appropriato ed alla ricca terminologia usata, Gerhard Rohlfs, per sua stessa ammissione, ha attinto a piene mani in occasione dell’ultima stesura del suo Nuovo Dizionario Dialettale della Calabria.

Figlio di galatresi, per uno di quei casi fortuiti connessi ai periodici trasferimenti della famiglia costretta a  seguire da un paese all’altro il padre abbozzatore di pipe, Ettore Alvaro è nato a Catanzaro il 2 marzo del 1906. Successivamente, seguendo le peregrinazioni del padre era a Reggio il 28.12.1908 allorché il terremoto distrusse la città dello Stretto. Scampò alla morte per miracolo (toccante è la poesia nella quale ricostruisce la vicenda), ma sotto le macerie perse la madre ed un fratello.  Questo tragico evento segnerà tutta la sua esistenza e nel corso degli anni, specie in età matura, rimpiangerà la dolce figura della madre di cui avvertirà continuamente la mancanza. Le poesie ispirate  alla madre sono le più traboccanti di pathos, le più delicate, le più immediate, le più  spontanee.

Dopo una difficile infanzia trascorsa prima a Galatro e, poi, nell’orfanotrofio di Polistena, ove lavora come tipografo e si dedica allo studio approfondito della musica, Alvaro si trasferisce a Roma per svolgere attività impiegatizia. La prima silloge - Scìfidhi”- è del 1933. Dovranno passare trentacinque anni di totale silenzio prima che, nel 1968, pubblichi la seconda raccolta di versi:  “...e mo’ lèjiti st’atri!....”.  Da quel momento è tutto un fiorire di versi. E’ come se, dopo una siccità protrattasi per diversi decenni, improvvisamente la sorgente poetica di Ettore Alvaro avesse ripreso a zampillare migliaia di versi. Sono versi  belli, ispirati, tutti ritmicamente perfetti e scritti in una lingua che, usata in modo appropriato, evidenzia le sue musicali assonanze e la sua melodiosa bellezza, elementi che assieme alla semplicità del tema affrontato  fanno vibrare le corde dell’animo del lettore. Alvaro vive a Roma da diversi decenni.  Con la terra d’origine, però,  per via di quel cordone ombelicale che, idealmente ed in maniera decisa, ha impedito che gli venisse reciso, ha sempre mantenuto legami affettivi, oltre che culturali. E’ per questo che buona parte della sua produzione poetica trae ispirazione da vicende e da tipici personaggi della sua Galatro ed è scritta nello stesso dialetto  che molto prima di lui i vari Duonnu Pantu e Conia seguiti da Martino, Padula ed Ammirà, avevano provveduto ad elevare a quella dignità artistica che successivamente gli  riconoscerà anche il De Sanctis.

Alvaro è il poeta del ricordo. Dalla sua memoria, ancora oggi, riaffiorano vive e palpitanti tipiche figure del passato che operano secondo abitudini di vita superate dalla civiltà tecnologica contemporanea. In questa operazione di recupero storico, oltre che poeta, Alvaro è un attento testimone del tempo. Anzi,  è un antropologo.

Scavi di carattere antropologico troviamo nelle poesie della silloge (ancora inedita) “Si cunta ca ‘na vota”, e nei quadretti di vita paesana che caratterizzano i volumi  “Cu su’ jeu”,  “Hiuricedhi”,  “Quatrifogghiu”, “Àngiala”. Interessanti elementi antropologici con riferimenti folcloristico-religiosi troviamo soprattutto nell’opera  “‘A Gonìa e ‘a nchianata ô Carvariu”, poemetto nel quale, con precise e sapienti pennellate ed attraverso musicalissimi e scultorei versi, Alvaro riesce a far rivivere in maniera vibrante e partecipata, sia le tre ore di “agonia” che la processione di penitenza  che, da sempre, ogni Venerdì santo, dalla chiesa parrocchiale di Maria SS. della Montagna si snoda lungo le viuzze del rione Montebello di Galatro e sale verso il bianco Calvario eretto in cima alla collina di “Orbellico”. Al di là della rigorosa ambientazione e della minuziosa descrizione dei luoghi, i melodiosi  versi di quest’opera consegnano alla storia sociale di Galatro (e della Calabria) la profonda religiosità di una comunità che, pur sconfinando nel folklore, è capace di vivere momenti di grande fede partecipando in maniera corale e sentita ad un rito di ancestrale devozione.

In Alvaro il tema religioso occupa gran parte della sua produzione poetica. Qui ricordiamo solo le opere edite: “Via Crucis” e “Patennostru e Avi Maria”. Molte altre, però, da anni aspettano di essere pubblicate, giacché il Divino e tutto ciò che è soprannaturale affascina il poeta che, quasi si nutrisse solo di poesia e di Fede, nel corso degli anni molti sono stati i soggetti religiosi che lo hanno ispirato e molte le opere composte. In particolare, ricordiamo “I Salmi”, “L’Addolorata”, “Meditazioni poetiche suoi quindici misteri del Rosario”, “Episodi dagli Evangeli Apocrifi”, “D’’a Genesi” e “16 parabole evangeliche parafrasate”.

Tra alcuni mesi (è in corso di stampa presso l’editrice “Jone” di Polistena) vedrà la luce “Miracoli di San Francesco di Paola”, un’opera nata dalla profonda devozione che il Poeta nutre verso il taumaturgo calabrese. Conterrà la “narrazione” in endecasillabi di cinquanta tra i più popolari miracoli compiuti da San Francesco. E’, poi, in corso di stampa (per le edizioni Qualecultura) anche il “Vocabolario dei dialetti della provincia di Reggio Calabria”, opera della quale Alvaro ha già corretto le bozze fino alla lettera “M”. E’ questa l’opera a cui il poeta tiene più di ogni altra. Anche perché gli è costata molti anni di ricerche e di studi. E poi... E poi ci sono nei suoi cassetti, farse carnascialesche (con prefazione di Antonio Piromalli, per le edizioni Brenner, ha già pubblicato l’opera “Il Carnevale in Calabria”) e poesie  per bambini; “ballate e stornelli d’amore” e “Lochi e cuntrati î Galatru”; “‘A cumpessioni d’i misi” e “Nu viaggiu ‘nsonnu” in terzine dantesche; “I vuci d’â natura chi ntisi nu poeta” e “San Petru e ‘u scarparu”.

E ci fermiamo qui, perché l’elenco degli inediti è assai lungo.

Una cosa, però, vogliamo ancora sotto-lineare: Galatro è presente in tutte le opere di Ettore Alvaro. Dopo aver dedicato al paese dei suoi genitori e della sua infanzia la silloge Galatru mia!” (ed. Cimento, Roma, 1979), le vie, le case, gli uomini, i riti religiosi, il fiume e le umane vicende di Galatro, sono il motivo dominante della poesia alvariana; costituiscono la inesauribile fonte di ispirazione per il Poeta che, dotato di particolare sensibilità, riesce a meravigliarsi davanti alla bellezza di un geranio così come davanti agli occhi neri di una fanciulla che va a prendere acqua alla fonte. Galatro, che pure ha avuto in Conia ed in Martino due “grandi” della poesia calabrese, solo in Alvaro ha trovato il suo vero cantore. Un cantore che guarda al paese come ad un angolo di paradiso o, meglio, come ad un luogo caro ove tutto è avvolto dalla sacralità del ricordo.

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Novant’anni rappresentano per tutti  una meta agognata anche se tra i pochi che riescono a raggiungerla soltanto una sparuta minoranza riesce ad arrivare in condizioni di assoluta autonomia. Ettore Alvaro è arrivato integro nelle forze fisiche, ed ancor di più in quelle mentali ed intellettuali. Tant’è che, sempre fertile nella lucida inventiva, continua a scrivere con puntiglio e con fervore; caratteristiche, queste, solitamente di esclusiva pertinenza dei giovani. A dispetto della sua età cronologica, però, in fatto di entusiasmo Alvaro è molto giovane. E’ giovane “dentro”, e come tale continua a darsi “toto corde” alla poesia. Per questo, quasi fosse al debutto in campo letterario,  si entusiasma e non nasconde l’intima gioia quando un suo componimento viene pubblicato sulle pagine delle riviste letterarie più diffuse in Calabria o quando gli amici e gli estimatori, da ogni parte del territorio nazionale, gli scrivono per sottolineare gli interessanti aspetti glottologici  e la grande musicalità dei suoi  versi. Già, perché, accanto alla semplicità ed alla schiettezza linguistica, una delle qualità distintive della poesia alvariana è proprio la musicalità, il ritmo e la precisione metrica del verso che, insieme  alla immediatezza, alla spontaneità ed alla originalità dell’ispirazione, sono doti e pregi che fanno del poeta galatrese una delle voci liriche più importanti del secondo novecento calabrese.

Come fa da qualche anno, anche nello scorso settembre Ettore Alvaro è venuto a trovarci a Fiuggi. Proprio perché ha l’entusiasmo e la vitalità di un quarantenne la cosa che ha maggiormente colpito i clienti dell’albergo presso il quale avevamo preso alloggio  -e nel quale il poeta, per alcuni giorni, è rimasto nostro graditissimo ospite-  è stata la sua continua proiezione nel futuro e la gran mole di lavoro che progetta di realizzare nei mesi e negli anni che verranno.

Progettare è vivere” - ha detto a chi, stupito, gli ha fatto notare che, alla sua età, sarebbe più prudente non fare progetti o, almeno, farli a medio termine.

“Progettare è vivere”:  bella filosofia di vita. Per questo Alvaro si  preoccupa quando si rende conto che la musa non lo assiste e per qualche giorno rimane forzatamente inoperoso perché si sente  “arido d’ inventiva”.

Poi, quando riprende a scrivere, perché l’ispirazione lo assiste ed il verso riprende a scorrere fluido e musicale, allora guarda al futuro con la stessa serenità e la stessa fiducia di chi ancora ha molte sensazioni e molte idee da comunicare....

Sono momenti di intensa creatività che gli consentono di comporre quelle delicate poesie che, specie in quest’ultimo periodo, quando non sono tuffi nel mare dei ricordi sono canti di lode e di ringraziamento al Creatore per gli innumerevoli doni che ha voluto dare all’umanità.

Nell’uno e nell’altro caso, comunque, sono poesie che si leggono d’un fiato e che coinvolgono psicologicamente anche il più superficiale dei lettori.

Nei suoi versi, comunque, Alvaro ha cantato la Calabria operosa degli umili e dei vinti, le bellezze di una terra antica e sfortunata, le leggende ed i sentimenti  di un popolo antico e forte. Ha cantato la Calabria dei fortunati ma ha voluto dar voce anche alle aspettative di chi (come lui) è stato costretto ad allontanarsi dalle proprie radici per andare a trovare altrove un modesto posto di lavoro. Come Pascoli ha cantato le “myricae”, ma come pochi altri oltre ai problemi sociali ed ai rimpianti per i tempi passati, ha saputo leggere dentro il proprio animo e guardare con profonda devozione e radicata Fede al soprannaturale.

Un autore dialettale che si differenzia da tutti gli altri, dunque, questo novantenne Ettore Alvaro, principe dei poeti calabresi  di cui Galatro (prim’ancora dell’intera Calabria) va giustamente fiera! 

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GALATRO ed i suoi POETI: : «Per i  novant’anni di Ettore Alvaro Principe dei Poeti Calabresi», Umberto Di Stilo, Galatro, 3 marzo 1996
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