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di Giorgio Vittadini
Presidente della Compagnia delle Opere
“Mettere a tema il desiderio, vuol dire domandarsi
di questa cosa così grande, così universale,
ma così difficile da mantenere,
quindi innanzitutto descrivere chi e come
questo desiderio lo coltiva.”
Devo dire la verità, quando ho letto il titolo del prossimo Meeting sono
rimasto stupito perché mette a tema una cosa così generale e che
rischierebbe di essere generica come la felicità, ma la mette a tema con una
domanda: “C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?”.
Sembrerebbe una domanda banale: chi non desidera la vita e giorni felici?
Chiunque di noi dovrebbe farlo. Invece a tema e’ il desiderio.
Dobbiamo ammettere che il desiderio di felicità, che pur ci muove, nella
vita è la prima cosa che, al limitare dell’età adulta, di fronte alle
difficoltà e al dolore della vita, sembra scomparire.
Pensate che proprio la Bibbia, da cui e’ tratta la frase, a un certo punto
dice: “L’uomo è fatto per la vita, ma cerca la morte”. A un certo
punto della vita è come se l’uomo negasse questo desiderio.
Mettere a tema il desiderio, vuol dire domandarsi di questa cosa così
grande, così universale ma così difficile da mantenere: quindi descrivere,
innanzitutto, chi lo coltiva e come. Perché difendere questo desiderio,
guardare dove vive, quali sono i punti in cui emerge, non è un problema del
poeta, del regista o dell’artista: è il problema di chiunque, perché è punto
di sviluppo, di progresso.
È il motivo per cui uno non si accontenta della realtà che c’è, ma cerca
qualcosa che ancora non c’è: una società più giusta, una scoperta
scientifica che possa migliorare le condizioni di vita, anche se non sai
ancora come saranno. È uno sguardo sull’infinito che diventa un modo per
vivere meglio nella vita quotidiana: un utensile che renda la vita più
facile, una teoria filosofica che permetta di guardare all’esistenza meglio,
un amore che non finisca, una fede che duri; un Dio che non sia come gli dei
pagani, gelosi della felicità degli uomini, o il “dio serpente” che
addirittura ne vuole la distruzione, ma un Dio amico.
Di tutto questo si può parlare parlando del desiderio: si può parlare delle
canzoni ma anche delle scoperte scientifiche, di economia, arte, cultura,
religione, ideologie. La prima cosa di cui vuol parlare il Meeting è la
descrizione di questo desiderio: vuole domandarsi come nasce, in chi
resiste, perché si può desiderare. Vuole descrivere il nesso tra questo
desiderio e la vita di tutti i giorni, le grandi scoperte, i passaggi
dell’umanità, perché e come, nella vita dell’uomo, va e viene. Il Meeting
descrive il desiderio come qualcosa che riguarda la vita quotidiana:
l’economia, la politica, ogni aspetto dell’umano. La cultura che viviamo e
da cui veniamo ha sentito proprio nel desiderio il motore di ogni azione
umana.
Descriveremo poi come tale desiderio muore nell’uomo, come viene ridotto,
come la società lo fa morire, addirittura come l’ideologia rende la
distruzione del desiderio un suo punto fondamentale. Io mi ricordo quando
vidi “Urla del silenzio”, un film che parlava della Cambogia di Pol
Pot, in cui si uccidevano le persone che avevano gli occhiali e dove i
bambini sparavano agli adulti, dove sembrava che il fine fosse la
distruzione del desiderio.
Anche questo vorrà documentare il Meeting, perché purtroppo vediamo ancora
questo tutti i giorni. In certe religioni che hanno come immagine il “dio
serpente”, il dio che distrugge, in un certo modo di vedere l’economia e la
politica, ma anche di fare arte, cinema: un modo che ha come punto di
partenza la distruzione del desiderio e il pensiero che nasce da tale
distruzione. Dovremo esprimerlo, perché esprimerlo, in qualche modo, sarà
anche un domandarsi se è vero che ha le sue ragioni questa ricerca di morte
da parte dell’uomo.
Ma io vengo da una cultura che nasce dall’esperienza cristiana e da un
carisma in cui credo, quello di don Giussani che, prima ancora di parlar di
fede, ha in questo desiderio il suo punto importante.
Pensate che don Giussani ha avuto il coraggio di andare a parlare ai
democristiani nel 1987 ad Assago. Comincio’ il suo intervento parlando del
desiderio, che è un po’ come andare a vendere i frigoriferi agli eschimesi.
Eppure allora parlò di desiderio, riportando dentro l’esperienza religiosa
tutto un mondo che ne era al di fuori. Non per niente Giussani si è formato
anche con Leopardi, con Montale, Pasolini, Pavese, e nei suoi libri cita
Thomas Mann, come anche altri autori atei ma ricchi di questo desiderio, più
grandi del loro stesso pensiero. Giussani dice che il desiderio,
l’esistenza stessa del desiderio, è il segno che si avvera.
Nonostante tutte le delusioni, più grande di ogni caduta e di ogni cinismo,
in un uomo che sia uomo questo desiderio rinasce nel cuore. L’amore per la
tua donna dopo che sei stato offeso, insultato e hai rotto, ricomincia: non
più ingenuo nel senso infantile, ma ricco della fatica e dell’errore.
Attraverso amici americani, mi è arrivata una lettera da un detenuto in un
carcere di massima sicurezza in America, nel North Carolina, e ho iniziato
una corrispondenza.
Questo detenuto, dopo aver letto una pagina di don Giussani, esprimeva il
desiderio di conoscerlo di più: “È dura vivere in un carcere - mi scriveva -
e certe volte non ce la faccio. Di solito non scrivo o ricevo lettere
dall’Italia perché mi vergogno di parlare del mio errore”. Però poi parlava
del desiderio di vita e mi chiedeva dove sono nato, dove vivo e com’è
l’Italia.
Questo desiderio lo si vede in gente che ha sbagliato, lo si vede in un
progetto che è venuto meno. Certe volte non rimane solo il cinismo, ma
qualcosa di più grande a cui non riesci a rispondere. Dice una canzone che
cantiamo spesso: “Quando l’uomo ha già sbagliato, quando l’odio e
l’ingiustizia hanno già trionfato, c’è bisogno di qualcuno che ci liberi dal
male, di qualcuno che realizzi questo”.
Dice Giussani che la pretesa per me, la pretesa dell’uomo di una risposta,
di un amore che duri, di un progetto politico che non sia violenza, di una
costruzione sociale che sia buona, di un’azienda che dia benessere, di una
società per tutti, di una pace possibile, rinasce in qualunque regime. Mi
ricordo che una volta parlavo con lui descrivendo certi regimi e lui mi
disse che in qualunque regime,
qualunque sia la violenza, prima o poi rinasce nel cuore di un uomo, anche
non educato, questa cosa più grande di qualunque violenza, questa cosa
strana: il desiderio.
Perché rinasca e si ricostruisca, qualunque sia l’errore e la violenza -
dentro o fuori di noi -, è forse il punto più originale di questo titolo:
che il desiderio permane e rinasce, che è più grande del problema della
morte.
Questo impeto alla vita, che non c’è solo nell’arte, nella poesia e nel
cinema, anche se lì è proprio documentato, ma c’è anche in un uomo che lotta
per la giustizia, che riprende a costruire dopo una guerra, che decide di
non fermarsi dopo un terremoto, che vuole migliorare di una briciola la sua
vita e quella degli altri, che pensa che un amore non finisce solo perché
fai fatica ad essere come quando eri giovane.
È questa ripresa la cosa più interessante che vorremmo documentare in questo
Meeting, con tutti quelli che la possono documentare. Noi siamo fatti di
questo, non siamo il mondo puro, siamo quelli che sbagliano, che tradiscono
il desiderio, ma che in qualche modo sentono che qualunque errore si faccia,
qualunque violenza si subisca o si commetta, qualunque sia l’assetto
sociale, questa è la legge: che la felicità, la giustizia e la verità
rinascono, anche se io non sono capace di portarle.
Questa è la cosa di cui vorremmo parlare insieme, con il vostro contributo,
come suggerisce la seconda parte della lettera del carcerato che mi dice:
“Sono rimasto colpito leggendo questi brani di Giussani che mi sono arrivati
attraverso un libro: colpito di come parla di Gesù, soprattutto di come
parla della Sua sofferenza, che lui per primo ha vissuto come ho vissuto io.
E di come però dica: ‘Non abbiate paura, io ho vinto il mondo’.”
Al Meeting parleremo anche di quello che abbiamo incontrato, la risposta
sommessa di un uomo che si è messo assieme ad altri uomini ed ha fatto il
falegname, e di fronte al dolore degli uomini ha pianto e infatti piange con
noi di fronte a queste sofferenze.
Quasi strano per un Dio, che si mette a fare l’uomo in un’apparente
impotenza. È risorto, ma avendo condiviso fino in fondo questo, avendo dato
a questa domanda una risposta che non è un teorema, ma una vita di
condivisione.
Quindi invitandoci innanzitutto a fare la stessa cosa: a metterci assieme
tra la gente “che ha buona volontà” - tra la gente che desidera, potremmo
dire da stasera -, sentendo una fratellanza, una risposta che, anziché
dividere, apre, mette insieme.
Il nostro Paese, anche politicamente, è la convergenza di questo desiderio.
Un Paese dove laici, socialisti e cristiani hanno costruito tante opere per
cui, invece di essere rivali, hanno tentato di tenere vivo questo desiderio.
Parleremo anche di questa risposta, cercando di documentarne gli aspetti più
intimamente vicini all’uomo, quella compagnia che dà una speranza ed apre a
chiunque e vuole sentire chiunque.
Come gli altri, più degli altri, questo sara’ il Meeting di tutti, il punto
dove ognuno può portare la sua verità, il suo desiderio, il punto dove
ognuno è disposto ad ascoltare, piu’ che altrove.
La trascrizione dell’intervento non è stata rivista dall’autore
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