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di
Socci Antonio,
Contrariamente alle apparenze, è stato di gran lunga il
Novecento il secolo del più grande macello di cristiani.
Nel periodo che va dalla Rivoluzione francese ad oggi, ma in
particolare nel XX secolo, sono state scatenate persecuzioni
mai viste in 2000 anni per ferocia, vastità, durata e
quantità di vittime. […] Se in 2 millenni sono stati
calcolati circa 70 milioni di cristiani uccisi per la loro
fede, ben 45 milioni e mezzo (circa il 65 per cento del
totale) sono martiri del XX secolo. Questa persecuzione
planetaria del cristianesimo è tuttora in corso, sebbene
venga perlopiù ignorata dai mass media e dagli stessi
cristiani occidentali. […] Didier Rance nel suo
volume Un siècle de témoins ha raccontato ciò
che accadde al romeno padre Gavril Bielovejdov – un
uomo che aveva sopportato undici tremendi anni di lager –
quando venne a Roma alla fine degli anni Ottanta. Era stato
invitato a raccontare il calvario della Chiesa rumena in una
università pontificia dove lui stesso aveva studiato, molti
anni prima e il cui rettore era stato suo compagno di studi.
Padre Gavril dunque raccontò con semplicità e
precisione il martirio di tanti sacerdoti, le crudeli
torture (conosciute di persona), i lager e la fede e la
speranza invincibile di quei cristiani. Uscendo dall’aula
incontra un prete italiano che gli dice: «la prossima volta
non racconti sciocchezze come ha fatto oggi». Padre Gavril
sbigottito riesce solo a dire: «E perché? Io non ho
riferito che la verità». E l’italiano: «Ma via! I miei
studenti mi hanno appena detto: ma questo prete racconta
balle: se crede che noi siamo così imbecilli da
credergli…».
Volemose
bene
Il mensile paolino Jesus del gennaio 2002 annuncia in
copertina la meritoria iniziativa di un martirologio con
questo titolo: “Sotto il segno della croce”.
Colpisce però una cosa in quella galleria di ritratti
proposta da Jesus: non c’è una sola vittima cristiana dei
regimi comunisti o islamici, che poi sono la stragrande
maggioranza. Neanche una. Com’è possibile? Una svista? O
cos’altro? Ci sono, giustamente, martiri di regimi di
destra. Vi si celebrano poi due monaci che non sono morti
come martiri, ma che hanno avuto problemi con l’autorità
ecclesiastica (la solita Chiesa cattiva) e infine un
segretario dell’Onu morto in un incidente aereo. Si arriva
ad elencare un islamico fra coloro che «hanno seminato la
parola del Vangelo nel cuore del popolo di Dio». Ma
dell’immane macello di cristiani perpetrato dal comunismo
nessuna traccia, come pure delle persecuzioni anticristiane
dell’Islam. Mentre non manca mai il ricordo delle colpe di
cui si sono macchiati i cristiani stessi. Un altro esempio. Il
Gruppo Abele di don Luigi Ciotti pubblica ogni anno da
Feltrinelli un grosso volume di dati, ricerche, statistiche
e cronologie relativi ai fatti sociali più seri e
drammatici dell’Italia e del mondo. Consideriamo
l’edizione Annuario sociale 2000, un testo di 762 pagine
fitte fitte, davvero pieno di documentazione, un lavoro
utile e accurato. Si va dal capitolo sull’Aids a quello
sull’ambiente, dalle carceri alle mafie, dalle droghe
all’immigrazione, alle povertà, ai conflitti e ai
diritti. Ma non si trova traccia delle persecuzioni
anticristiane o più generalmente delle persecuzioni
religiose e delle loro migliaia di vittime. Solo qualche
flash inserito nelle note sulle aree di crisi. Eppure ci
sono capitoli dedicati alla pena di morte negli Stati Uniti
e agli armamenti, alla globalizzazione e al debito del Terzo
Mondo. Ma non a quei derelitti dimenticati da tutti. Il
dramma dei cristiani sembra non esistere. La questione
sociale diventa l’esclusivo campo di interesse. C’è
dunque un cattolicesimo che - secondo Gianni Baget Bozzo
- «è preoccupato solo di essere dalla parte dei poveri, ma
non dei poveri cristiani».
Sudan,
due milioni di morti
Il 10 dicembre 1998, a 50 anni della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, il New York Times
scrisse: «mentre tutti i leader mondiali celebrano con
grande solennità la dichiarazione dei diritti dell’uomo,
nessuno, chissà perché, si ricorda del Sudan.
Eppure in quel paese il Fronte nazionale islamico sta
conducendo un sistematico genocidio, soprattutto nella parte
meridionale a maggioranza cristiana. È un conflitto che ha
già provocato più vittime che Ruanda, Bosnia
e Kosovo messi insieme: 1 milione e 900 mila uomini,
donne e bambini. La stragrande maggioranza non sono ribelli,
bensì civili, colpevoli solo di non pensarla come gli
islamici del regime». Le cifre del genocidio pare siano
perfino più gravi rispetto al bilancio fatto nel ’98 dal
New York Times. Amnesty International nel Rapporto annuale
2001 afferma che «alla fine del 2000, la guerra civile,
ripresa nel 1983, era costata la vita a quasi 2 milioni di
persone ed era stata la causa dello sfollamento forzato di
altre 4 milioni e 500 mila persone. Inoltre si ritiene che
circa 500 mila persone abbiano cercato asilo all’estero».
[…] Tutto questo proprio mentre i pacifisti italiani
marciavano sulla Perugia-Assisi contro gli Stati Uniti (rei
di voler colpire Bin Laden). Il 7 ottobre 2001 per esempio
è passato pressoché sotto silenzio l’ennesimo
bombardamento di un villaggio sudanese, nel distretto di Mangok,
in cui sono stati uccisi 15 bambini e 8 sono stati feriti
(anche una donna è stata ammazzata). Akiir aveva 7
anni, Atong 8, Athuai 4, Maciek 12
anni… […] Com’è possibile ignorare la guerra più
lunga del XX secolo, nel paese più grande dell’Africa,
con quell’enorme numero di vittime? La risposta di Peter
Hammond, esperto di questioni sudanesi, è sconsolata: «Credo
che si tratti della classica mentalità da ABC,
“Anything But Christianity”, tutto fuorché il
cristianesimo. Sembra che quando le vittime sono i
cristiani, i media laici non sappiano fare altro che
riscoprire il proprio inveterato pregiudizio e semplicemente
non ne raccontano le storie».
[…] L’assurdo è che un regime così, la cui Corte
Suprema – spiega Hammond - «ha stabilito che la
crocifissione degli apostati è costituzionale… abbia
rimpiazzato quello statunitense nella Commissione per i
diritti umani delle Nazioni Unite».
I
mea culpa della chiesa
Il papa stesso, nella solennità del grande Giubileo del
2000 […] è partito da un’umiliante, pubblica e dolorosa
serie di mea culpa. È stato un fatto stupefacente, ma non
nuovo nella storia della Chiesa. Ne sono state date tante
interpretazioni, ma la domanda a cui rispondere è: […]
perché solo la Chiesa può fare una cosa del genere senza
crollare sotto il peso delle colpe dei suoi? Perché la
Chiesa non ha bisogno di “aver ragione”, di rivendicare
i suoi meriti storici immensi, di mostrare la grandezza e la
santità che hanno illuminato duemila anni, ma fin dal suo
inizio, fin dal Vangelo mostra la storia del suo primo capo,
Pietro, il martire Pietro, sottolineando il suo tradimento e
il suo umiliante pianto fino al perdono affettuoso di Gesù?
Don Luigi Giussani, in
uno splendido articolo a commento dei mea culpa del Papa,
spiegava che ciò può accadere perché «a nulla fuorché
a Gesù il cristiano è attaccato». Di fronte a lui
anche la santità dei più grandi cristiani non è che un
panno sporco, come già diceva il profeta Isaia. Questo
spiega il gesto d’umiltà del papa: è a Cristo che si
deve guardare.
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