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Rino Cammilleri
Non so quando Sat 2000 (la tivù dei vescovi, satellitare) trasmetterà questa
mia intervista. Ne riporto il testo ad uso dei lettori di “Antidoti”.
D.: Karol Wojtyla ha innalzato agli onori degli altari più santi e
beati di tutti i suoi predecessori. Quale messaggio lascia questa volontà di
proclamare un numero così elevato di testimoni della fede?
R.: Direi che il papa è stato in qualche modo obbligato, visto che il XX
secolo appena trascorso ha fatto più martiri di tutti gli altri. Non solo,
ma è noto che dove abbonda il male Dio fa abbondare anche la Grazia: da qui
i moltissimi santi e beati degli ultimi due secoli (che, dall’Illuminismo in
poi, hanno registrato un distacco organizzato e militante dal cristianesimo:
lo fa notare il papa anche nel suo libro Memoria e identità). Il
“messaggio”, infine, è questo: la «verità» del Vangelo non la si vede tanto
nell’organizzazione della Chiesa quanto nei santi. Questi hanno applicato
alla lettera quel «manuale di manutenzione di noi stessi» che è il Vangelo
dimostrando che quel che vi è scritto è vero. Il santo è, insomma, il segno
tangibile della verità del cristianesimo.
D.: E’ stata anche proclamata la santità di due bambini, di una
coppia di sposi e di numerosi laici. Non solo religiosi dunque. Quale
lettura si può fare di questa scelta?
R.: Il Concilio Vaticano II ha insistito sul «ruolo dei laici». Ecco qua. La
sensibilità degli ultimi secoli, come abbiamo detto, va nel senso della
laicità, spesso scaduta nel laicismo. Ebbene, proprio la santità dei laici
contraddice questo assunto. Certo, negli «istituti di perfezione»
teoricamente dovrebbe essere più facile, visto che che chi vi entra
(monasteri, conventi, congregazioni) si concentra sui «consigli evangelici»
(come dice Cristo al “giovane ricco” del Vangelo: «…se vuoi essere perfetto,
va’, vendi ogni cosa…») per non farsi distrarre dalla vita secolare. Ma non
credo che da parte della Chiesa ci sia stata una «scelta» tra beatificandi e
canonizzandi: semplicemente, il ruolo di testimonial sta passando di mano.
D’altra parte, il santo a questo serve: oltre ad intercedere, deve anche
essere un esempio.
D.: E’ possibile individuare una caratteristica comune e generale
della fede testimoniata dai santi voluti da Giovanni Paolo II?
R.: Credo che anche qui bisognerà chiarire un punto: non è la Chiesa che
“fa” i santi, bensì li dichiara. Se un defunto si mette a far miracoli a chi
glieli chiede è chiaro che è in Paradiso e, dunque è Beato. La Chiesa non fa
altro che certificarlo autorevolmente dopo aver indagato in ogni modo la
vita del defunto in questione. Cosa c’è in comune tra un carabiniere come
Salvo D’Acquisto e un pastorello analfabeta come Francisco Marto? Niente.
Solo, l’aver applicato il Vangelo alla lettera, scommettendoci la propria
vita. Se un messaggio si vuole, eccolo: si può fare, è tutto vero, c’è tanta
gente di ogni condizione che l’ha dimostrato, non abbiate paura, aprite le
porte a Cristo (sto parafrasando il programma di questo pontificato); gente
del Terzo Millennio edonista, volete essere felici? Ecco come si fa, ed è
l’unica via, il resto è puro inganno.
D.: Qual è il santo che, secondo lei, per qualità umane e carismi
spirituali può essere considerato il più vicino a Giovanni Paolo II?
R.: A mio avviso, don Bosco: a un tempo, mistico e uomo d’azione.
D.: Santi d’altri tempi come Padre Pio o Daniele Comboni e santi dei
nostri giorni come Alberto Marvelli o la stessa Madre Teresa. Elevati
insieme sugli altari. E’ una scelta contraddittoria? Se non lo è quale
significato assume questa eterogeneità?
R.: Credo di aver già risposto al punto 3. Ma, per esempio, Padre Pio non mi
pare tanto “d’altri tempi”, visto che lo si ritrova sugli orologi, nei
poster e nei calendari in vendita nelle edicole. Ricordiamoci che, anche
quando era vivo, la sua faccia batteva le pin-up sulle copertine dei
rotocalchi. Non credo che l’uomo d’oggi, quando ha un problema di quelli che
“non si sa a che santo rivolgersi”, si metta a pregare il Comboni o il
Marvelli. Bensì, Padre Pio.
D.: La santità non come privilegio ma come impegno costante nella
vita quotidiana. Che significato assume e quali i riflessi di questa
impostazione nel magistero di Giovanni Paolo II?
R.: Più che di magistero parlerei di esempio personale, in questo papa (vedi
la sua “malattia in diretta”). Credo che sappia bene che la gente oggi legge
solo i titoli dei giornali (i documenti del magistero non so se li leggono
neanche i preti).
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