|
Rino Cammilleri
Ai primi del dicembre 2004 una lettrice del «Giornale» chiedeva al curatore
dello spazio dei lettori, Paolo Granzotto, una delucidazione riguardo a
certe parole del regista Carlo Verdone, il quale avrebbe detto che il
«disastro» del cinema italiano era da imputarsi alla concorrenza della
televisione.
La lettrice domandava come mai la televisione danneggiasse solo il cinema
italiano ma non quello americano. Risposta: «Il male del cinema italiano è
che milita. Milita (salvo rarissime eccezioni) a sinistra. E per la sinistra
il cinema si pone un gradino sopra la filosofia. Il cinema deve essere
“educativo”, contenere un “messaggio”, mostrarsi “impegnato”. Per la
sinistra tutto ciò che è commerciale -ovvero ha successo di botteghino, di
pubblico- è roba borghese, decadente, fascista, volgare, priva di “valenza
culturale” (…).
Così che il copione è sempre il medesimo, l’intellettuale in crisi, il
drogato in crisi, la coppia in crisi, lui che vuole ritrovare se stesso, lei
che vuole ritrovare se stessa, la periferia alienante, il lavoro alienante,
il percorso, il vissuto, l’impegno sociale, le utopie, il mondo migliore e
le lagne infinite. Quando la zuppa è quella, la critica (impegnata,
militante, va da sé) grida al capolavoro». Seguono esempi, come Le
conseguenze dell’amore (incasso 912mila euro) o Nel mio amore
(29mila). Invece, La Passione di Cristo di Mel Gibson, «film tutt’altro
che di evasione», ha incassato solo in Italia a tutt’oggi 20 milioni di
euro.
«Ma lei crede, gentile lettrice, che la nomenklatura cinematografica mediti
su questi sensazionali fiaschi? Macchè, rilancia, sostenendo che “la
creatività non può essere regolata attraverso omologanti criteri di mercato”
e che quindi il gradimento dello spettatore conta zero, quel che conta è che
lo Stato -cioè noi contribuenti- sovvenzioni, paghi “come momento essenziale
dello sviluppo e della crescita intellettuale del Paese”, mi raccomando, i
loro film».
Altro esempio: Cattive ragazze, finanziato con mezzo miliardo di vecchie
lire perché giudicato dall’apposita commissione «di interesse culturale
nazionale», narrava le vicende di una ragazza, un omosessuale e una nana
lesbica. Incasso: 29 milioni. Eppure, «i criteri previsti dalla nuova legge
in materia non soddisfano la sinistra perché “tendono a puntare ancor più
sul mercato piuttosto che favorire il cinema d’autore”.
Naturalmente è la sinistra a stabilire quale film sia d’autore e quale no. A
posteriori saremmo in grado di farlo anche noi: quelli che non piacciono,
quelli che lo spettatore diserta sono film d’autore. Quellli che piacciono,
quelli che fanno riempire le sale cinematografiche, spazzatura». C’era una
volta la sinistra, quella per cui «il popolo», «le masse», avevano sempre
ragione. Ma la verità è che una sinistra così non c’è mai stata, nemmeno ai
tempi di Marx.
|
|