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Rino Cammilleri
L’agenzia «Fides» del
30 settembre 2004 riporta un’intervista a un sacerdote irakeno, padre Nizar,
il quale dice che nessun irakeno rimpiange il vecchio regime.
Anzi, oggi gli impiegati guadagnano dai duecentocinquanta ai cinquecentomila
dinari, mentre al tempo di Saddam la paga mensile era di soli tremila,
appena sufficienti a comprare un paio di chili di carne.
Le maggiori paghe hanno creato un effetto traino per l’intera economia, dal
momento che adesso i lavoratori, meglio pagati, possono acquistare beni un
tempo impensabili, come elettrodomestici, mobili, auto. I mercati sono pieni
di prodotti, anche quelli che prima era impossibile trovare, come le banane,
e i prezzi sono alla portata di tutti.
Un segno inconfondibile della nuova prosperità sono i matrimoni: dice padre
Nizar che solo nella sua città ogni giorno ne vengono celebrati da quattro a
sei. «Ho parlato con gente di diversa età e nessuno rimpiange il passato».
Il problema, ovviamente, è il terrorismo islamico, cui si sono aggiunte
bande di criminali che nulla hanno a che fare con la politica e organizzano
rapimenti a scopo estorsivo di commercianti e professionisti.
L’industria dei rapimenti, inoltre, approvvigiona anche l’estremismo
islamico: «Tutte le persone che lavorano con gli americani e con le
organizzazioni umanitarie sono minacciate, in modo particolare i cristiani».
Va da sé -diciamo noi- che il ritiro delle truppe occidentali non farebbe
che consegnare il Paese al caos. E il secondo produttore mondiale di
petrolio in mano ad Al Qaida avrebbe conseguenze spaventose non solo per
tutto il Medioriente ma anche per l’intero pianeta.
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