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Rino Cammilleri
Il critico cinematografico de «Il Giornale», Maurizio Cabona, il 9 luglio
u.s. ha elogiato un recente film franco-cinese,
Balzac e la piccola
sarta cinese,
«uno dei rari film di produzione europea a criticare il comunismo», ed ha
ricordato un precedente analogo del 1996,
Il soldato molto semplice
Ivan Chonkin,
di Jiri Menzel.
Ma ha fatto chiaramente capire che la critica italiana stenderà un velo di
silenzio su quel film, come ha già fatto per l’altro.
La ragione è presto detta: «Il mondo del cinema e quelli vassalli, della
critica e della cinefilia, sono così: quasi più nessuno si dice comunista,
ma quasi tutti si sentono di sinistra o di estrema sinistra nelle pulsioni,
se non nella ideologia.
Nel cinema, ma non solo nel cinema; in Italia, ma non solo in Italia, può
avere un ruolo rilevante nelle società civile solo chi è stato comunista».
Lo si vede in particolare nell’approccio con film che parlano di guerra, nei
quali il disfattismo è d’obbligo. Cabona non rammenta Mediterraneo,
di Gabriele Salvatores (premiato con l’Oscar), ma ricorda El Alamein
di Monteleone.
In quest’ultimo film, l’eroismo degli italiani, ammesso persino dai nemici
di allora, è del tutto assente. E ricorda anche che pure nel caso di guerre
vinte la solfa è la solita: il quarantennale di Vittorio Veneto fu celebrato
da La Grande Guerra di Monicelli (Leone d’Oro 1959 a Venezia), che
parlava di Caporetto.
Conclude Cabona: «Delle varie sinistre il disfattismo appare la componente
più tenace. Corollario del disfattismo, l’ipocrisia: per raccontare nel 1997
la strage comunista di Porzus del 1944, il regista Martinelli –complice lo
sceneggiatore Scarpelli- si inventava due comunisti buoni che si facevano
ammazzare dai comunisti cattivi per salvare i partigiani non rossi».
Caro Cabona, in che mani fosse il cinema italiano lo sapevamo. Per questo
preferiamo quello di Hollywood. Che almeno non riceve un centesimo dallo
Stato (cioè, dal contribuente).
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