|
Rino Cammilleri
L’affezionato lettore di questi Antidoti, Lorenzo Pingiotti, incuriosito
dalle vie intitolate al patriota Pisacane, ha voluto indagare su questa
figura e mi ha mandato quanto segue.
Carlo Pisacane, di famiglia aristocratica meridionale, studiava
nell’accademia militare napoletana «Nunziatella» e nel 1841 fu dislocato a
Civitella del Tronto (la cui fortezza sarà vent’anni dopo protagonista di
una gloriosa quanto sfortunata resistenza all’invasione piemontese) col
grado di alfiere del Genio.
Forse era già convinto, come scrisse, che «la religione è un effetto
dell'ignoranza e del terrore; l'uomo deifica ogni forza ignota che lo
spaventa», e pensò bene di infrangerne i comandamenti. Non era d’accordo,
però, il calzolaio che lo trovò a letto con sua moglie e inseguì i due
amanti, accoltellando a morte lei.
Carlo finì in galera per adulterio ma poi fu rispedito a Napoli e
reintegrato nel grado. Era tenente borbonico quando portò via la moglie,
madre di tre figli, al ricco cugino Dionisio Lazzari. La donna, montatasi la
testa per via dei libri della vetero-femminista George Sand, accusava il
marito di scarso romanticismo, di cui, invece, il Pisacane era ben fornito.
La cosa costò al nostro eroe un agguato notturno nei vicoli napoletani, dopo
il quale pensò bene di fuggire con l’amante, prima in Toscana e poi a
Londra.
Qui, inseguito da un mandato di cattura per adulterio, trovò asilo nei
circoli liberali (l’Inghilterra si guardava bene dall’estradare i ricercati
dalle polizie papiste). Convertito alle idee risorgimentali, il Pisacane si
portò, con l’amante e la bambina nata dalla loro relazione, a Parigi, dove
fu arrestato ma subito rilasciato grazie all’intervento dei salotti che
contavano (la Francia è, ancora oggi, ottima terra d’espatrio per condannati
“politici” in contumacia).
Per sicurezza, i due se ne andarono a Genova, dove si separarono (morta la
figlioletta, lei si mise con l’amico comune Cosenz). Nel 1857 il Pisacane e
due complici dirottarono il piroscafo «Cagliari» sull’isola di Ponza, dove
liberarono trecento detenuti, quasi tutti criminali comuni. Sbarcarono a
Sapri, sperando di sobillare la popolazione contro la monarchia borbonica.
Invece, la gente li snobbò. I trecento, allora, si diressero verso il
Cilento, sperando in miglior fortuna.
Al contrario, gli abitanti di Sanza li presero a fucilate. Pisacane si sparò
per non farsi prendere (in qualità di ex ufficiale dell’esercito e, dunque,
traditore, lo aspettava la forca). I trecento finirono nelle galere
pescaresi. Com’è noto, l'ascolano Luigi Mercantini dedicò loro quella
«Spigolatrice di Sapri» («…eran trecento, eran giovani e forti…») che tutti
noi siamo stati costretti a imparare nella scuola dell’obbligo.
|
|