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di Rino Cammilleri
Significativo, il caso della ragazzina inglese che ha abortito su
indicazione del medico scolastico e all’insaputa dei genitori. Riassumo: la
quattordicenne Michelle Smith, di Mansfield (paesino del Nottinghamshire),
nell’aprile si ritrova incinta e si reca al consultorio della sua scuola;
qui le danno la prima delle due pillole abortive.
Poiché la legge inglese permette di far abortire le minorenni senza
informarne la famiglia, la dottoressa che ha consigliato l’alunna
somministra e tiene l’acqua in bocca. Ma il paese è piccolo e la cosa viene
a galla. La madre di Michelle, dopo un colloquio con la figlia, decide di
appoggiarla e tenere il bambino.
Le due si recano dunque in ospedale per continuare la gravidanza ma, ahimè,
è troppo tardi, il feto è ormai compromesso dalla pillola numero uno. Il
caso, naturalmente, è finito in mondovisione scatenando polemiche. Per
forza, visto che il legislatore inglese ha legiferato spinto dalle solite
minoranze vocianti che hanno il solo vantaggio di una visibilità ossessiva
sui media, tale da far ritenere che la loro sia la vox populi.
Invece il popolo, i popoli, si sono giustamente scandalizzati, facendo
propria l’indignazione della madre di Michelle, la quale ha dichiarato che,
se la figlia avesse bigiato troppo o manifestato un calo di rendimento
scolastico o insolentito un insegnante, la scuola sarebbe stata velocissima
ad avvisare i genitori. Invece, per una cosa gravissima come una gravidanza,
non solo zitti e mosca ma addirittura un’induzione all’aborto.
Un gesto che potrebbe tormentare l’adolescente per il resto della vita.
Così, i laudatori della «dignità della donna» convincono le puberi a
considerare sé stesse nient’altro che sacchi che si possono pacificamente
riempire e con altrettanta tranquillità svuotare. Bella educazione.
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