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di Rino Cammilleri
Com’è noto, il papa non può andare in Russia perché il clero ortodosso non
lo vuole. Anzi, le autorità ortodosse accusano i cattolici di
«proselitismo».
Come facciano i seicentomila cattolici presenti sugli oltre centocinquanta
milioni di abitanti della federazione russa a costituire una minaccia lo
sanno solo loro. Comunque, considerano «inaccettabile proselitismo»
qualunque iniziativa cattolica. E non solo quelle d’apostolato ma anche
quelle genericamente sociali o meramente educative. Il bello è che gli aiuti
delle organizzazioni internazionali cattoliche li prendono, eccome.
Ma ritengono l’intero territorio russo come “cosa loro” e non tollerano
interferenze. Di solito la “concorrenza” tra fedi diverse si fa a colpi di
“offerta”, e non semplicemente vietando l’esistenza altrui. Altrimenti si
deve sospettare che non si sia molto sicuri delle proprie ragioni. Ma per
gli ortodossi la cosa è anche più profonda e complicata. Separatisi dai
cattolici nel lontano 1014, sono rimasti ancorati alla concezione detta
cesaropapista, quella del tempo in cui si considerava il vero capo della
Chiesa l’imperatore romano-bizantino, che infatti convocava e presiedeva i
concili (invece i «latini», a colpi di Lotte per le Investiture, si
separavano completamente dal Sacro Romano Imperatore e mettevano le cose di
religione sotto la sola autorità papale).
Certo, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, da allora, ma la tendenza
a considerarsi una specie di «chiesa di stato» è rimasta, così come lo
strettissimo legame con la «madre Russia». La Russia, dal canto suo,
all’epoca degli zar vedeva sé stessa come la «terza Roma», e pertanto dotata
di una missione universale (gli zar, infatti, si ergevano a protettori
dell’ortodossia e di tutte le popolazioni ortodosse ovunque fossero).
Oggi, crollato il comunismo persecutore di tutte le religioni, le autorità
ortodosse rivendicano semplicemente il posto che era loro prima del 1917 e
non sopportano nemmeno che i cattolici si diano da fare per soccorrere i
bambini abbandonati.
Di occuparsene loro non hanno i mezzi, ma temono che il «proselitismo»
cattolico approfitti dei piccoli per «convertirli». Perciò, i vescovi
cattolici sono costretti a concordare con i vertici ortodossi ogni
iniziativa, anche quelle puramente assistenziali. Insomma, il «dialogo
ecumenico» è in realtà un colloquio tra sordi, che il collasso del regime
sovietico ha, paradossalmente, solo complicato. Già: c’era più «ecumenismo»
nel comune martirio.
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