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di Rino Cammilleri
Nel suo importante libro Luce dal Medioevo, prefato dal compianto
Marco Tangheroni, Régine Pernoud scrisse che in tutto il Millennio medievale
erano documentati pochissimi casi di suicidio, forse addirittura uno solo.
Oggi, solo in Italia, si tolgono la vita mediamente quattromilatrecento
persone, con percentuali che degradano scendendo dal Nord al Sud e con
picchi nelle grandi città in ragione di uno virgola cinque al giorno. Le
punte massime si hanno nei giorni tra domenica e martedì e nei due cambi di
stagione di primavera e autunno. Peggio la primavera.
All’estero accade la stessa cosa, con una maggiore frequenza al Nord. Le
cause sociologiche sono note: lo stress della vita moderna, la depressione
diventata malattia di massa, la coazione al successo e all’apparire. Non
trascurerei la tivù e i giornali: la prima, perché mostra continuamente
gente felice che si diverte, i secondi perché ci portano ogni giorno sotto
gli occhi i guai di tutto il pianeta.
Ambedue i media sono ansiogeni in quanto la prima ci mette sotto il
naso la nostra inadeguatezza e i secondi perché aumentano il nostro senso di
precarietà. Infine, non c’è giornalista che non sappia che ogni suicidio
riportato produce emulazione per giorni e giorni, di solito con le stesse
modalità. Ma vorrei ritornare sul primo dato e riflettere sulla differenza
tra il Medioevo e oggi.
La vita, allora, era molto più dura e incerta, la fame era vera fame e i
poveri veri poveri: il sistema penale era semplicemente efferato, era facile
morire di parto, a quarant’anni pochi avevano ancora tutti i denti in bocca,
non c’erano antibiotici, l’igiene era approssimativa e i pidocchi erano un
problema anche per i re e i papi.
Ma qualcosa impediva ai nervi di logorarsi, a quanto pare. Aggiungerei anche
la severissima riprovazione religiosa per il suicida, che finiva in
terra sconsacrata. Uno tentato di farla finita, sapendo che non avrebbe
affatto posto fine alle sue sofferenze ma, anzi, sarebbe finito peggio,
aveva un deterrente in più.
E una chance di consolazione in più, sapendo che, se questa vita è
Valle di Lacrime, l’altra non lo è.
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