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di Rino Cammilleri
E’ sempre imbarazzante quando si manifesta entusiasmo per una cosa che ci è
piaciuta e si scopre che a un nostro caro amico fa invece schifo,
specialmente se si tratta di persona da noi stimata e alla cui opinione
teniamo. Lo stesso tipo di imbarazzo l’ha suscitato in chi scrive la lettura
dell’articolo di Paolo Guzzanti che «Il Giornale» ha messo in prima pagina
il 31 marzo. Per chi non l’avesse letto, si trattava di attacco piuttosto
violento al film The Passsion of the Christ di Mel Gibson, che
Guzzanti ha trovato semplicemente e gratuitamente efferato, nonché
antisemita tout court.
Il film viene così liquidato da Guzzanti: «Non fa un effetto diverso dalla
vista delle croci ardenti del Ku Klux Klan». Parole pesanti, in effetti, che
sembrerebbero originate innanzitutto dalla lunghissima scena della
flagellazione. Secondo Guzzanti, un essere umano non può sopravvivere a
oltre un massimo di cinquanta frustate, laddove nel film sembrano non finire
mai. Si tratta, certo, di una perplessità legittima, dal momento che, nella
storia, i romani usavano il tremendo flagrum, una frusta di catenelle
metalliche terminanti in uncini o piombi.
Tuttavia, è stato osservato che Mel Gibson non ha inventato nulla ma si è
ispirato alla visioni della mistica tedesca Anna Katharina Emmerick, che
visse in epoca napoleonica.
E, soprattutto, alla Sindone. Ebbene, le tracce della flagellazione su
quella reliquia torinese sono state debitamente contate e risulta che il
Cristo subì almeno centoventi colpi. Come abbia fatto a sopravvivere e ad
avere la forza di portare, poi, la croce, non si sa. Però la Sindone parla
chiaro. Si potrebbe, volendo, argomentare che quel carpentiere galileo
trentenne era stato capace di resistere quaranta giorni nel deserto senza
mangiare e bere; ma, se ciò non depone a favore di una fibra pur
eccezionale, sappiamo di mistici che hanno sopportato di peggio (come Teresa
Neumann, cui le autorità naziste tolsero la tessera annonaria, dal momento
che non mangiava da anni).
Nel film, le «firme» della veggente Emmerick non sono poche. Una per tutte:
la moglie di Pilato, Claudia Procula, consegna alla Madonna dei lini con cui
Maria raccoglierà il sangue della flagellazione. Guzzanti si meraviglia dei
«gratuiti dettagli sadici come quello dei chiodi della croce ribaditi
sull’altra faccia del legno».
Eppure, era proprio così che andava la crocifissione romana. La conferma si
è avuta col ritrovamento dello scheletro di tal Johannes, ebreo crocifisso
nella stessa epoca: un tallone aveva ancora infisso il chiodo e dietro
quest’ultimo c’era un pezzo di legno che evidentemente non si era riusciti a
schiodare. Un’altra veggente più vicina a noi, Maria Valtorta, nel suo
Poema dell’uomo-Dio «vide» anche di più: la croce con sopra Cristo, sì,
rivoltata per ribadire i chiodi dietro, ma il condannato schiacciato con la
faccia a terra; invece Gibson, più pietoso, mostra la croce sospesa su
pietre proprio per non far sbattere al suolo il corpo del crocifisso.
Infine, secondo Guzzanti «Gibson condanna il popolo di Israele», visto che
la condanna è reclamata «dalla folla tutta, uomini, donne, vecchi e
bambini». Solo che nel film le cose non vanno affatto così. Il cortile di
Pilato, il «litostroto», è un ambiente piccolo e contiene, sì, una «folla»,
ma di una cinquantina persone in tutto. Non solo: nel processo sinedrita ben
due sono i sacerdoti dissidenti che protestano contro la condanna.
Per tutto il tragitto verso il Calvario parecchi degli ebrei che assistono
inveiscono contro i romani che spingono avanti Cristo a scudisciate. Nel
film sono proprio i romani a fare la parte più ottusa e odiosa, laddove sono
ebrei tutti quelli che si affliggono per la sorte di Gesù di Nazareth, dagli
apostoli al Cireneo, dalla Veronica alla Maddalena. D’altronde, sono stati
decine i film sulla vita di Cristo, e tutti hanno descritto la pressione
della «piazza» su Pilato così come appare nei Vangeli.
Perché, dunque, prendersela col solo Gibson? Forse perché è l’unico che si
sia concentrato sulla sola Passione? Allora bisognerebbe prendersela anche
con l’antichissima devozione della Via Crucis. E col papa, che la manda in
mondovisione ogni venerdì santo.
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