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di Rino Cammilleri
Un trafiletto sui giornali il 19 marzo u.s. riferiva che in tutto il
territorio comunale di Fontanella, cittadina della pianura bergamasca, è
vietato «aprire, condurre o gestire esercizi commerciali comunque denominati
che trattino vendita, noleggio, comodato, cessione a qualsiasi titolo di
materiale pornografico di qualunque tipo».
La delibera del consiglio comunale precisa anche che «le pubblicazioni in
libera vendita nelle edicole, librerie, videoteche non potranno essere
pubblicizzate né esposte alla vista del pubblico». Il sindaco considera
molto importante questa decisione «per la tutela della morale, soprattutto
nei confronti degli adolescenti».
Dati i tempi, ci pare un’iniziativa controcorrente e senz’altro coraggiosa,
che non si attarda ad aggrovigliarsi nell’amletica e irrisolvibile questione
che suona pressappoco così: la pornografia è libertà d’espressione o no?
Anzinchè chiedersi, insomma, se è nato prima l’uovo o la gallina quegli
amministratori comunali si sono appellati all’antico buonsenso di una volta
e alla morale tradizionale, quella che viene avvertita da tutti a fior di
pelle se solo si ha l’accortezza di non lasciarsi irretire dalla lana
caprina e dai bizantinismi da filosofia del diritto.
Quegli amministratori non hanno ceduto nemmeno alla capziosa argomentazione
che in casi del genere non manca di venir sventolata: basterà agli
«adolescenti» (e non solo) uscire dal comune per procurarsi tutta la
pornografia che vogliono.
No, hanno trattato la faccenda per quel che è: una questione di principio.
Ci sono i «comuni denuclearizzati» e le «città della pace». Ora c’è anche un
comune, almeno uno, «depornizzato». No.
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