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di Rino Cammilleri
Che la famiglia sia la grande malata dei nostri tempi è sotto gli occhi di
tutti e dovrebbe seriamente preoccupare le autorità. Negli Usa un terzo
degli omicidi avviene fra le mura domestiche. In Russia due omicidi su cento
sono compiuti dal marito nei confronti della moglie.
In Canada e in Israele una donna ha maggiori probabilità di morire per mano
del proprio compagno. In tutti i Paesi del mondo, infine, la violenza è la
prima causa di morte o invalidità delle donne tra i quindici e i
quarantaquattro anni.
Ma anche da noi c’è poco da stare allegri. Negli ultimi dieci anni i casi di
parricidio e matricidio sono aumentati di trenta volte. Negli ultimi cinque
i casi di parenticidio sono cresciuti del cento per cento rispetto alla
media degli ultimi vent’anni e ancora maggiore è la crescita dei delitti
compiuti da minori: il 185% dal 1975 a oggi.
Ma la principale vittima è il coniuge e la maggior parte delle tragedie
familiari avviene al Nord.
I motivi, secondo l’Eurispes, sono i problemi mentali, la conflittualità
nella coppia, la non accettazione di una separazione; quest’ultima è vieppiù
complicata dalla presenza di figli. La vendetta e la gelosia sono cause che
sono sempre state presenti. Le novità sono costituite dalla depressione
(malattia ormai dilagante) e la separazione, che anche nei migliori casi non
avviene mai in modo assolutamente indolore.
E a nulla servono le alternative alla famiglia tradizionale come le
convivenze e le più o meno lunghe «prove» preconiugali. Non possiamo
pronunciarci con certezza, ma è un fatto che la crisi della famiglia è
contemporanea alla secolarizzazione e ne segue parallelamente gli sviluppi.
Se così non è, resta da spiegare perché al Sud l’incidenza dei drammi è
molto minore.
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