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di Rino Cammilleri
Apprendo che nella lettera pastorale del luglio 2001 mons. Carlo Caffarra,
nuovo vescovo di Bologna e già di Ferrara, aveva scritto: «E’ necessario che
ci interroghiamo molto seriamente sulla qualità delle nostre celebrazioni
eucaristiche…
Sono convinto sempre più che la principale causa della crisi di fede in cui
versa il popolo cristiano sia il modo in cui è stata applicata la riforma
liturgica voluta dal Vaticano II». Sante (è il caso di dirlo) parole. Sono
passati quarant’anni da quel concilio e quasi tre dall’esortazione di
Caffarra. Va bene, interroghiamoci, anche se il «molto seriamente» mi sembra
nient’altro che un pio augurio. La messa è la preghiera delle preghiere e
già un tempo si diceva «lex orandi, lex credendi».
Cioè: quello in cui si crede si vede da come si prega. L’intrattenimento
domenicale condito da un festival di Sanremo di rione ormai siamo abituati a
chiamarlo «messa» ma ci si può legittimamente chiedere se la coazione al
brutto, allo sciatto e al banale sia un’«offerta gradita a Dio», visto che è
sgradevole a occhi e orecchi sensibili. Ma non voglio tornare su un tema sul
quale mi sono più volte espresso.
Solo, fare osservare che il futuro cardinale di Bologna ha osato mettere
quel dito sulla piaga che io non mi ero permesso, collegando lo squallore
delle messe cattoliche odierne con la crisi di fede. Dunque, lo sciattume
non è conseguenza del vacillare del Credo, bensì è il primo che fa vacillare
il secondo.
Anzi, ne è «la principale causa». Che dire? Chi di dovere ci ha messo
quarant’anni ad accorgersene. Ora, sono quasi tre anni che si invita a
«interrogarsi molto seriamente». Presumibilmente, ci metteranno mezzo secolo
a farlo e un altro mezzo a cominciare a provvedere. Cominciare.
Dovrò rassegnarmi a morire senza vedere l’alba del riscatto. Ma vieto fin da
ora, mentre sono ancora nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, le
chitarre ai miei funerali. |
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