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di Rino Cammilleri
Non era eccezionale quel «Giulio Cesare» trasmesso in due parti, poco tempo
fa, da Mediaset: scene di battaglia approssimate e confuse, dialoghi
opinabili, ricostruzione storica discutibile. Ma era pur sempre un
kolossal, i costumi erano giusti, gli attori abbastanza azzeccati.
Ci eravamo lamentati del fatto che il famoso Il gladiatore fosse
stato fatto dagli americani e il filone “romano” venisse trascurato dagli
italiani. Bene, dunque, aveva fatto Canale 5 a riprenderlo e a investirvi
denaro a palate. Invece, cosa è successo? Ascolti a picco, tanto che la
seconda parte è stata spostata in un giorno di bassa audience e su un’altra
rete. Gli italiani hanno preferito guardare «Incantesimo» o robe del genere.
Dove stava il problema, nella regia?
Non pare, visto che i telespettatori non si sono nemmeno sintonizzati. Forse
nella mancanza di un’adeguata pubblicità preventiva. Forse. Ma esperienze
anche personali fanno pensare al peggio: agli italiani devi dare solo
telenovelas, e basta. Accadrà, dunque, che la prossima volta i produttori ci
penseranno bene prima di spendere denari per sceneggiati storici. Costano
molto meno i fotoromanzi e realizzano altissimi indici di visione.
Devo confessare che anch’io credevo che gli italiani fossero superiori,
molto più colti di quel che li si riteneva e molto più interessati
all’interessante, soprattutto storico. Invece, ahimè, troppe volte ho dovuto
ricredermi, vinto dall’evidenza. In più circoli culturali in cui mi sono
impegnato, in diverse città (anche Milano, «capitale economica»), ho dovuto
gettare la spugna: solo uno, ed uno solo, argomento riempiva le sale di
pubblico: la seconda guerra mondiale (con annessi fascismo e RSI). Età media
dei presenti: settanta-ottant’anni.
L’unica volta che di una mia opera sono stati acquistati i diritti
cinematografici (per la precisione, dal regista del recente film su Ilaria
Alpi), la società di produzione dovette rinunciare dopo tre anni perché non
riusciva a coinvolgere nessun altro nel progetto (che era d’ambientazione
medievale): a quel tempo furoreggiava la telenovela «Commesse» (basso
budget, altissima audience), e tutti preferivano buttarsi su quel
«filone»; piatto ricco, mi ci ficco.
Così, la prossima volta che ci azzarderemo a chiedere una «tivù di qualità»,
giustamente (ripeto: giustamente) saremo mandati a quel paese. Anzi, nel
nostro, la cui popolazione adora (letteralmente) aprire un buco nella parete
di una casa altrui e guardare. Già, perché questo e non altro è una
telenovela. Un tempo, l’impicciarsi dei fatti altrui, specialmente quelli di
nessunissima importanza, era roba da pettegole di quartiere.
Ora si chiama fiction e stiamo ore ad assistere allo svolgersi della
vita quotidiana, fittizia, di gente che finge per mestiere di viverla,
quella vita. E tanto più ci attrae quanto più assomiglia a una vita vera.
Purchè altrui. E di Giulio Cesare? Nun ce ne po’ frega’ de meno.
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