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di Rino Cammilleri
Uno degli aspetti più odiosi delle utopie è l’obbligatorietà delle «virtù».
Trasformare il mondo in un monastero, dove quelli che nel Vangelo sono
semplici «consigli» diventino precetti gravissimi, è tipico del giro mentale
giacobino. Il quale era stato mutuato dal fondamentalismo protestante
estremo dei secoli precedenti. Nella Francia rivoluzionaria si doveva girare
provvisti di «certificato di civismo», e guai ad esserne trovati privi.
Nella Münster anabattista del XVI secolo squadre di ragazzini denunciavano
alle autorità i possessori di specchi, collane, nastri. In entrambi i casi,
la mannaia lavorava.
Nella Ginevra di Calvino una sorta di «polizia delle anime» irrompeva nella
case a frustare gli oziosi e a controllare la sobrietà dell’arredamento.
La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne racconta come andavano le
cose nell’America dei Padri Pellegrini. Abbiamo visto roba del genere ancora
ai nostri giorni, fra i talebani afghani e nell’Iran khomeinista. Direte che
qui c’entra l’islam, non le utopie.
Giusto. Ma non pochi conoscitori di rilievo del mondo islamico hanno fatto
osservare che il cosiddetto fondamentalismo islamico è più tributario del
giacobinismo che della religione musulmana; anche il termine «fondamentalismo»
è prelevato dalla cultura occidentale.
Questo «ritorno alla letteralità» non ha riscontri nella storia islamica. Lo
si trova solo nel fariseismo dei tempi di Cristo o nelle eresie cristiane.
E, in effetti, l’islam, al suo apparire, fu visto come un’eresia cristiana
(ci volle qualche secolo prima che gli occidentali avessero le idee un po’
più chiare sul suo conto). Anche le utopie sono eresie cristiane.
Augusto Del Noce definiva, per esempio, nazismo e comunismo «eresie
gnostiche di massa». La tentazione di utopizzare è sempre presente,
soprattutto fra i cristiani. Infatti, le grandi utopie moderne sono nate in
casa cristiana. Lo stesso termine, «utopia», non è che il titolo di un’opera
di s. Thomas More, umanista e martire del XVI secolo.
Far diventare -ripetiamo- il mondo un unico monastero è, non a caso, tipica
tentazione di preti e monaci. Lutero era un monaco agostiniano («Tutta la
vita del cristiano deve essere una penitenza»: così recita la prima delle
novantacinque tesi che egli affisse sulla porta della cattedrale di
Wittemberg nel 1517), Calvino era un chierico, Giordano Bruno e Tommaso
Campanella erano domenicani…
L’Inquisizione fu, da questo punto di vista, più che altro un «affare
interno» della Chiesa, dal momento che davanti a quel tribunale comparivano
quasi esclusivamente preti e frati. Ora, psicologicamente parlando, il
desiderio compulsivo di costringere gli altri a vederla come la vedi tu si
chiama «delirio di onnipotenza».
O, evangelicamente, superbia. Ami i poveri? Bravo. Porgi l’altra guancia?
Perfetto. Ma quando cominci a pretendere che anch’io straveda per i poveri e
porga la mia, di guancia, allora non ci siamo.
Ricordo che, qualche anno fa, in una puntata di uno di quegli show che
contrapponevano litiganti, da una parte c’era un prete che aveva aperto un
«centro di accoglienza» nella sua parrocchia e, dall’altra, gli abitanti del
quartiere interessato; questi, dall’oggi al domani, si erano ritrovati a
dover fare i conti con risse, scippi, spaccio e paura di uscir di casa.
Certo, il prete accoglieva solo brave persone e onesti lavoratori, e i
corollari non erano colpa sua. Tuttavia, egli inveiva contro i concittadini
accusandoli di scarsa «solidarietà». Io stesso ho partecipato, in altra
occasione, a dibattito televisivo in una città «rossa», il cui quartiere più
«rosso» non voleva un progettato «campo nomadi»: cifre alla mano, i furti e
le aggressioni avevano subito un’escalation e quei cittadini
proponevano di distribuirla, la «solidarietà», anche fra gli altri
quartieri.
E’ noto che, più recentemente, certi comboniani di Castelvolturno
(cinquemila extracomunitari su diciottomila abitanti) si sono incatenati
davanti alla prefettura per denunciare le «violenze» poliziesche contro gli
immigrati illegali e la «nazista» legge Bossi-Fini.
Sappiamo come vanno le cose, in casi del genere: se ti lamenti del disagio
sei un «razzista» o, se sei un parrocchiano frequentante, un «egoista» che
pensa solo alla sua comodità infischiandosene dei bisognosi. Un libro che ha
molto venduto ricorda agli italiani «quando gli albanesi eravamo noi»; cioè,
che anche gli italiani sono stati immigrati e che erano giudicati «brutti,
sporchi e cattivi».
Dunque, zitti e mosca. Già, però il problema rimane. Ed è un problema che
può essere risolto solo con leggi e polizia che applichi. Le Beatitudini
fanno parte di una morale francescana che non può venire imposta a tutti da
qualcuno che ha sbagliato o vocazione o posto dove esercitare la stessa.
I primissimi cristiani, per esempio, vivevano in comunità di beni, ma (come
dimostra l’episodio di Anania e Saffira negli Atti degli Apostoli)
l’assoluta libertà e volontarietà della loro oblazione faceva la differenza
tra il Vangelo e il comunismo.
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