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di
Magdi Allam
«Massacri. Distruzioni. Assassinii. Brutali bombardamenti. Attacchi
indiscriminati. Punizioni collettive. Azioni vendicative». «Martiri.
Martirizzati. Vittime. Resistenti. Combattenti. Civili inermi. Donne e
bambini innocenti». Queste le parole chiave ricorrenti nei servizi di
Al
Jazira e di Al Arabiya , trasmessi ieri alle 17 e alle 18, sui
combattimenti tra gli americani e le milizie sciite di Moqtada Al Sadr a
Kerbala e sul bombardamento israeliano a Rafah a sud di Gaza. Accomunando in
modo indistinto e automatico, da un lato, americani e israeliani e,
dall'altro, iracheni e palestinesi. Per contro i funerali di Ezzedine Salim,
il presidente del Consiglio di governo di transizione iracheno assassinato
il 17 maggio, sono stati ignorati dalle due maggiori televisioni arabe di
sole news. Nonostante a Bassora, la sua città natale, decine di migliaia di
persone abbiano seguito il feretro in una evidente manifestazione popolare
di denuncia e di sfida al terrorismo di Al Qaeda che ha rivendicato
l'attentato suicida.
Nessuna grande testata giornalistica o televisiva araba ha avuto
l'obiettività professionale e il coraggio civile di definire «azione
terroristica» l'efferato attentato di due kamikaze che si sono fatti
esplodere all'interno della «zona verde» di Bagdad, uccidendo Salim e una
decina di persone al seguito. Né tantomeno qualcuno si è azzardato ad
attribuire a Salim il titolo di «martire» che viene indiscriminatamente e
acriticamente elargito a tutti i morti palestinesi e iracheni. Sia che si
tratti di feroci terroristi o di povere vittime innocenti. Perché nella
sostanza tutti condividono l'opinione espressa dal sedicente «Movimento
della resistenza araba - Brigate al Rashid» che tramite un sito islamico ha
rivendicato la strage. E cioè che Salim fosse un «traditore e mercenario».
Per contro i due kamikaze vengono esaltati come «martiri e eroi».
L'affinità ideologica tra gli ispiratori del terrorismo islamico e gli
artefici dei media arabi si basa sulla condivisione di un radicato
antiamericanismo e antiebraismo che si coniuga con la più assoluta
relativizzazione del valore della sacralità della vita. Per cui la
valutazione delle vittime e dei carnefici cambia a seconda della loro
identità etnica, confessionale o politica. Il quotidiano ufficioso egiziano
Al Ahram si limita a titolare in apertura «Ucciso il presidente del
Consiglio di governo iracheno». Un linguaggio asettico che ritroviamo sulla
prima pagina di Asharq al-Awsat , il più prestigioso quotidiano
saudita: «Un gruppo sconosciuto rivendica l'uccisione del presidente del
Consiglio di governo». Soltanto nel titolo del quotidiano libanese Al
Hayat si accenna alla presenza del kamikaze, utilizzando tuttavia un
termine neutro: «Attentatore suicida uccide il presidente del Consiglio di
governo». Le parole «terrorismo» e «terroristi» non compaiono mai neppure
nei servizi dei tre importanti quotidiani arabi. Quasi fossero tabù.
Salim era «colpevole» perché sciita e per aver cooperato con gli americani.
Il suo barbaro assassinio conferma la matrice terroristica che è alla base
dell'ondata di violenza che imperversa in Iraq. E che si interseca con la
tendenza a strumentalizzare il crescente scontento popolare nei confronti
del malgoverno americano per attribuire al terrorismo la connotazione di
«resistenza». Ma che lascia sin d'ora trasparire il rischio di una guerra
civile tra la minoranza sunnita, che fa da sponda alla sedicente «Resistenza
irachena» e ai terroristi di Al Qaeda, e la maggioranza sciita che è una
galassia composita e conflittuale. Al suo interno la milizia Al Mahdi di
Moqtada Al Sadr, un giovanotto di ventotto anni con improbabili ambizioni di
leadership , è temuta e invisa dalla gran parte del clero e della
base sciita, a cominciare dal grande ayatollah Ali Sistani.
Eppure le televisioni arabe descrivono l'attuale storia del Medio Oriente in
modo manicheo e demagogico. Che nella sostanza premia come «buoni» la
sedicente «Resistenza irachena», Al Qaeda, Moqtada Al Sadr, Hamas e Arafat.
Mentre condanna come «cattivi» l'America, l'Occidente, Israele e tutti i
«collaborazionisti». Basta valutare la scelta delle immagini, i commenti dei
giornalisti e gli stralci delle dichiarazioni diffuse. Ad esempio l'insieme
del materiale messo in onda ieri da Al Jazira in apertura dei
telegiornali ripeteva il medesimo concetto: il processo intentato contro gli
aguzzini americani del carcere di Abu Ghraib è una farsa; il tribunale
americano è illegittimo; gli iracheni vendicheranno per conto proprio le
vittime delle torture americane. Ebbene è tutt'altro che informazione
obiettiva. Piuttosto è apologia e incitamento alla sovversione e alla
violenza. Fatta direttamente da una televisione in grado di condizionare le
menti e gli animi di decine di milioni di arabi. |
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Islam:
«L'affinità ideologica tra gli ispiratori del terrorismo islamico e gli
artefici dei media arabi si basa sulla condivisione di un radicato
antiamericanismo e antiebraismo che si coniuga con la più assoluta
relativizzazione del valore della sacralità della vita.
Media e ideologia - Kamikaze eroi e traditori nelle tv arabe», di Magdi Allam,
Il Corriere della
Sera, 20 maggio 2004
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