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di
Jacob Giovanna
Il 22 ottobre 2001 alcune ragazze musulmane della periferia parigina, in un
manifesto dal titolo “Ni putes, ni soumises”, dichiaravano di non volere più
essere «soffocate dal maschilismo degli uomini dei nostri quartieri che in
nome di una tradizione negano i nostri diritti più elementari».
«Chador come aperitivo dell’harem?»
Come gli omosessuali al Gay Pride, oggi eserciti di donne musulmane marciano
in corteo per rivendicare l’orgoglio di esibire il velo. Succede in Francia,
dopo la legge che lo ha vietato. Succederà in Italia, quando si
moltiplicheranno i casi come quello della maestra velata assurta a povera
vittima della nostra “intolleranza” e subito adottata come un mite panda
dalla Tv nazionale e dalla multiculturale municipalità di Ivrea. In linea di
principio, se queste donne vogliono essere schiave è un loro diritto.
Tuttavia questo loro “diritto” lede, indirettamente, un certo diritto delle
donne che non vogliono essere “soumises”. Quale diritto? Quello di non
essere trattate come “putes”. Se sei donna, ti basta prendere un mezzo
pubblico affollato di immigrati musulmani per capire ciò di cui parlo.
Coprendo la testa con lo stesso pudore con cui si coprono le parti basse, il
velo stabilisce una equivalenza oscena fra il volto, cioè l’identità
femminile, e le parti basse. Il corpo e il volto della donna cessano di
essere il suo corpo e il suo volto per diventare un accessorio del piacere
maschile. Quando il maschio ha altro a cui pensare, l’accessorio deve essere
riposto nella sua custodia-velo. Quando è il momento di pensarci, via la
custodia. Il velo ha la stessa funzione del costume addosso ad una
spogliarellista: eccita il piacere dello svelamento. Il chador è l’aperitivo
dell’harem. Mohammed Atta si preparava all’impresa dell’11 settembre davanti
agli spogliarelli. Gli “esseri impuri” cui non stringeva la mano e che non
voleva ai suoi funerali gli andavano bene solo per fare le porcherie. Un
immigrato islamico con regolare permesso di soggiorno ha spiegato bene quale
fosse il punto di vista di Mohammed Atta e di quelli come lui: «Tutte le
religioni vedono la donna per ciò che è: fonte d’impurità e di corruzione.
L’atto della prima donna, Eva, fu la seduzione di Adamo per indurlo a
trasgredire la legge di Dio. Il regresso culturale dell’Occidente
femminilizzato favorisce amoralità e ignoranza» (Al Ghazali Giabir,
Repubblica, 7\12\02).
Velo e violenza
Quando le femministe protestavano contro la “donna oggetto” nella pubblicità
e al cinema, non avevano capito che la vera “donna oggetto” è quella cui è
vietato apparire nella pubblicità e al cinema. Quando le femministe
sostenevano che la pornografia avrebbe incoraggiato la violenza sessuale
sulle donne, non avevano capito che il velo la incoraggia molto di più. Si
copre solo ciò che è osceno. Coprendola dalla testa ai piedi, il velo e
l’abito musulmani urlano che la donna è una creatura oscena che provoca
nell’uomo, come tutte le oscenità pornografiche studiate dai ricercatori
comportamentali, certe reazioni pavloviane o riflessi condizionati. Quindi
se un uomo violenta una donna è colpa della donna che lo ha provocato con la
sua presenza. Non è una esagerazione retorica: in tutti i paesi musulmani in
galera o sottoterra non ci vanno gli stupratori ma le donne stuprate. Nei
paesi in cui è in vigore la sharia, una donna violentata che si rivolge alla
polizia rischia il carcere per dichiarazioni oscene, a meno che non sia in
grado di portare quattro maschi adulti di provato zelo religioso come
testimoni della violenza subita. Ma il peggio è fuori dal carcere, dove la
donna deve scegliere fra il suicidarsi o l’essere uccisa dai familiari per
salvare l’onore della famiglia (il gesuita Samir Khalil Samir ha raccontato
di una sedicenne palestinese uccisa dai genitori dopo essere stata
violentata dai due fratelli maggiori; cfr. Antonio Socci, Il Giornale,
2\2\04). Se una donna velata e sottomessa può apparire al maschio musulmano
come la colpevole provocatrice di pulsioni incontrollabili, tanto più lo
appare una libera donna “svelata”. Poiché la donna “svelata” è per
definizione “infedele”, ossia non essere umano ma “cagna” (appellativo molto
usato dai predicatori islamici per designare la donna cristiana), il maschio
musulmano è convinto che a violentarla non si fa poi un gran peccato (non a
caso nel Medio Evo i “mori” avevano fama di infaticabili stupratori di donne
cristiane). Appunto. La libera donna occidentale non è forse la vera
colpevole del “regresso culturale dell’Occidente femminilizzato”? Di fatto
si constata che, ad esempio, nelle banlieu parigine il numero degli stupri
di gruppo è aumentato del 60 per cento dal 1995 al 2000 (la franco algerina
Samira Bellil, stuprata in gruppo tre volte perché troppo “libera” per una
musulmana, ci ha scritto un libro: Via dall’inferno, Fazi, 2004). O che,
come un eurodeputato danese denunciava tre anni fa a Romano Prodi, «nel
nostro paese abbiamo avuto tutta una serie di stupri di gruppo perpetrati da
giovani musulmani ai danni di donne e ragazze minorenni danesi» e «la prego
di volere osservare che i musulmani non violentano le ragazze musulmane e
che i danesi non violentano né trucidano i musulmani. Sono gli immigrati che
esercitano una violenza razzista contro la popolazione del paese» (Morgens
N. J. Camre, Tempi, 22\11\00).
Il velo è un segnale pavloviano che incentiva la violenza sulle donne che
non lo portano. Per proteggere la dignità delle donne libere è necessario
battersi contro l’arroganza delle donne che ostentano la schiavitù
volontaria come forma di rivendicazione della loro identità-culturale.
L’alleanza tra illuministie talebani
«La storia dovrebbe averci insegnato che niente è peggiore per la morale e
per il mondo che la visione morale del mondo» (Alain Finkielkraut). Spesso
le peggiori azioni dell’uomo hanno all’origine le migliori intenzioni. Il
velo ha all’origine delle intenzioni addirittura ottime: aiutare l’uomo al
rispetto e alla fedeltà coniugale e valorizzare la personalità della donna
(sta scritto: «Dissimulare alcune parti di ciò che appare per far apparire
la profondità del proprio essere»). In linea di principio queste idee sono
condivise anche dalla tradizione cristiana, che raccomanda maggior prudenza
di quella suggerita da certe mode post-sessantottine. In effetti, che cosa
oppone l’Occidente post-sessantottino al velo? Aneddoto rivelatore, nella
stessa città in cui alcune ragazze musulmane scrivono “Ni putes, ni soumises”,
in un negozio molto trendy vanno a ruba delle magliette con la scritta “I’m
a bitch”, taglia: 12 anni. Da tutte le indagini recenti risulta che i nostri
adolescenti imparano il sesso sui prodotti pornografici, che costituiscono,
assieme alla prostituzione, uno dei business in assoluto più fiorenti di
tutta l’economia occidentale.
Nella cultura di massa uomini e donne – nonché uomini con uomini e donne con
donne – sembrano esistere solo per andare a letto insieme (basta dare
un’occhiata a film, telefilm, soap opera). La tentazione, di fronte a questa
decadenza di civiltà, è quella di rivalutare la saggezza musulmana del velo
e della segregazione sessista (oltre a portare il velo in pubblico, le donne
non possono stringere la mano o solo parlare ad un uomo che non sia padre,
fratello o marito). Apparentemente questa segregazione sembrerebbe un
rimedio all’ossessione sessuale. In realtà la conferma. Sia l’integralismo
islamico, sia il sentimentalismo naturista postsessantottino, uccidono il
rapporto fra uomo e donna riducendolo ad attrattiva e commercio sessuale
(matrimoniale l’uno, extramatrimoniale l’altro). Ed entrambi si risolvono
nella sopraffazione dell’uomo sulla donna. Che nell’islam il rapporto fra
l’uomo, spesso poligamo, e la donna, spesso infibulata, non nasca su un
piede di parità è fin troppo chiaro a tutti. Che la mera libertà sessuale
non rappresenti di per sé un avanzamento sulla strada della parità, almeno
le femministe storiche lo hanno chiaro. Ma proprio perché i due estremi
opposti alla fine si toccano, oggi in Occidente troviamo sedicenti
femministe che, come Naomi Wolf, guardano con ammirazione al velo e alla
segregazione sessista come nuova “tecnica” erotica. La decadenza illuminista
si allea con l’oscurantismo talebano. In questa tenebra c’è una sola
speranza per gli uomini e le donne: il cristianesimo. Solo Cristo può
salvare gli uomini e le donne dalla corruzione reciproca per renderli amici.
P.S. Laddove si è ribellata all’oppressione maschile, la donna non riesce a
fare figli. Laddove è schiava, fa troppi figli. Il surplus di figli delle
schiave viene a riempire gli spazi lasciati vuoti dai figli non nati dalle
donne libere. Poiché i figli delle schiave ricevono una educazione che
legittima la schiavitù femminile, entro qualche decennio nell’Occidente che
ha liberato la donna non ci saranno più donne libere. E il maschio tornerà
ad essere un porco con scettro e corona.
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