ISLAM


Il terrore del burqa 

di Ferdinando Camon

Terra dell'Afghanistan, deserta, bruciata dal sole. Nel deserto, un piccolo accampamento, tre-quattro tende, col segno della Croce Rossa. E' un posto medico. Vi lavorano due dottoresse occidentali, mettono gambe di legno a chi è saltato su una mina. Ogni tanto passa un elicottero occidentale, e porta gli arti costruiti di fresco. Da terra le donne forniscono i dati via-radio: "Due gambe, per maschio adulto, alto; una sola gamba, per maschio giovane, basso; ...".


Dal cielo piovono i paracadute, bianchi, di carta. Mentre oscillano in aria, fanno dondolare le gambe senza corpo: pare che scendano paracadutisti tagliati a metà, senza la parte di sopra. A terra, sulla sabbia, è un accorrere di uomini monchi, senza la parte di sotto, puntellati sulle stampelle, verso i paracadute più vicini: chi conquista due gambe piovute dal cielo, se le tiene. E così tutti s'innestano gambe sbagliate, troppo lunghe, troppo corte. Meglio che niente. Con una o due gambe sbagliate lavori e vivi; senza gambe non lavori e muori. Questa delle "gambe che scendono dal cielo" è (era, fino ai bombardamenti americani) una scena normale nella vita quotidiana in Afghanistan. Oggi piovono pacchi-viveri.


Allora piovevano gambe artificiali. La scena-madre, quella che contiene e genera le altre, è la più normale di tutte, e l'abbiamo vista tante volte: le donne col burqa. Sono donne-cancellate, donne-vergogna, donne-appendici. Quando una famiglia afghana si fa una foto per i documenti, i maschi sono scoperti, le donne sono nascoste dal burqa. Il volto dei maschi garantisce l'identità delle donne. Abbiamo sempre pensato che, se Bin Laden scappa, scappa nascosto in un burqa. Scopriamo adesso (un regista iraniano lo rivela), che quando passa un corteo di donne in burqa, metà sono uomini. Uomini fuori posto, che scappano dall'Afghanistan e non possono, o che rientrano e non possono. In pieno deserto, ogni tanto c'è un posto di blocco: un taleban e una donna in burqa. Il taleban non può vedere le donne, e non fa il controllo. La sua aiutante in burqa, equivalente ad una poliziotta, può, e controlla tutti.


Gli uomini scoperti in burqa vengono portati via. E' un posto di blocco regolare. Ce ne sono di banditeschi: uomini armati, anche talebani, che rapinano tutto. I rapinati sono stati educati a ringraziare Allah per tutto, e ora lo ringraziano, con voce cantilenante, anche per la rapina. Nelle formule, Allah (per il quale il Corano ha inventato 99 appellativi) è sempre chiamato "clemente" e "misericordioso". Anche la rapina è una forma di clemenza: tu non sai perché, ma sai che lo è, e per quella clemenza devi ringraziare. Il taleban rapinatore, intermediario fra Allah e te, intende il ringraziamento come una presa d'atto della sua generosità, in fondo non ti ha ucciso. Oggi i giornali dicono che nei pacchi-viveri paracadutati in Afghanistan, gli americani mettono una foto di New York con le Due Torri, una foto senza le Due Torri, un mazzo di fiori, e viveri. Le foto perché gli afghani non sanno cos'è successo, non hanno giornali né radio né tv. Non hanno informazione. E non hanno cultura.


Con l'arrivo dei talebani, su 30 milioni di abitanti la metà, le donne, non possono studiare. L'incrocio fra donne che non possono studiare e uomini che non possono vedere le donne, crea un problema medico: esistono solo medici maschi, i quali non possono visitare le donne. Possono controllare soltanto la bocca, un occhio e un orecchio, attraverso un buco nella tenda. Tutti i bambini vogliono diventare talebani, perché solo nelle scuole coraniche c'è da mangiare. Essere taleban vuol dire vivere. E così il cerchio si chiude: chi segue il film "Viaggio a Kandahar", girato da un regista iraniano e quindi vicino alla cultura che descrive, sente che il sistema talebanico è chiuso come ogni sistema di casta: si può spezzare solo dall'esterno, e solo con la forza.

Ferdinando Camon
Il Giorno, 14.10.01