Siamo
ancora tutti sconvolti per l'orrore dell'11 settembre
2001: un giorno che - qualunque cosa accada - resterà
purtroppo nella storia.
E mancano ancora gli elementi obiettivi per poter
individuare gli autentici responsabili del crimine: stiamo
elencando solo i sospetti; ci s'interroga sulla perdurante
assenza d'una rivendicazione esplicita; si valuta - non
sempre serenamente - la qualità delle prese di distanza
dall'accaduto da parte di personaggi che i mass media, a
torto o a ragione, ritengono sospettabili se non altro di
complicità e di simpatia nei confronti degli attentatori.
Un'elementare
norma di prudenza e d'onestà prescriverebbe, in casi
come questi, un riflessivo silenzio finché il quadro non
divenga più chiaro. Conosciamo
tutti il diabolico meccanismo massmediale del nostro
tempo: ora l'impressione, la costernazione, l'indignazione
sono grandi: ma chiodo scaccia chiodo, e non sarebbe la
prima volta che, al sopravvenire magari di altre notizie o
semplicemente con il passare del tempo, i sentimenti
svaniscono e l'oblio prevale.
Purtroppo, uno dei difetti del nostro sistema fondato
sulla sovrainformazione è la memoria corta.
È
dunque grave, pur se del tutto normale, che siano
in troppi a parlare: e che pareri avventati e proposte
aberranti vengano, in questo eccezionale momento, non solo
tollerati ma addirittura presi per buoni. Un senso di
pietas nei confronti di noialtri poveri esseri umani
c'impedisce di prendere anche solo in considerazione le
troppe voci di sciagurati che chiedono cieche rappresaglie
o addirittura guerra (ma contro chi?). Più grave sembra,
anche perché proviene da fonti in apparenza più
autorevoli e responsabili, l'estesa anzi quasi
generalizzata accusa - non ancor sostenuta da prove certe
- nei confronti di personaggi del mondo islamico. Si
citano al riguardo, come se fosse una prova, alcune
ripugnanti manifestazioni
di giubilo
colte dalla camera televisiva in certe città di qualche
paese arabo, soprattutto in Palestina. Ma, francamente,
tali disgustose scene provano solo quel che già sappiamo
della natura umana: il livello di bassezza cui possono far
giungere l'ignoranza associata alla sofferenza.
Perché non
bisogna dimenticare che quelle immagini ci vengono da un
mondo di gente che a sua volta soffre; e
che non è, spesso, meno innocente delle vittime di New
York e di Washington.
Ricorrente,
poi, l'accusa a Usama Bin Laden: che ormai sembra aver
definitivamente impersonato il ruolo d'una sorta di
versione postmoderna del mito medievale del «Veglio
della Montagna» l'oscuro potentissimo signore che da
un celato recesso fra i monti dell'Asia comanda un
esercito di assassini fanatici. Il «Veglio della Montagna»
storico era un capo musulmano sciita, considerato eretico
dal resto dell'Islam. L'odierno «Veglio della Montagna»
è a sua volta un rappresentante autorevole dell'Islam?
Tale fede può riconoscersi in lui? Molti osservatori,
ohimè accreditati, anche nel nostro Paese, giurano di sì;
ed è gente che spergiura che questo è il vero Islam, una
dottrina che predica l'asservimento o l'annientamento di
tutti i nemici, una fede che ha inscritta la violenza e la
guerra nel suo stesso libro sacro, il Corano. I
giornalisti e gli opinion makers che sostengono queste
vergognose sciocchezze hanno sovente accesso alla tv e ai
giornali, scrivono libri, sono consiglieri di politici
autorevoli.
Il
Corano parla spesso di guerra: non tanto quanto ne
parla la Bibbia, ma abbastanza. Muhammad era, come Mosè,
un profeta armato. Vi sono nel Corano anche frasi che,
distaccate dal loro contesto, suonano come truculente; e
che parrebbero sconfessarne altre che, invece, parlano di
carità, di pace e di misericordia. Ma non sta forse
scritto anche nel Vangelo che chi non ha una spada deve
procurarsela vendendo il mantello, che Gesù è venuto a
portare la guerra anziché la pace, e pretende che per
seguirlo si debba odiare il padre e la madre? Noi sappiamo
bene che quei versetti evangelici hanno un valore
allegorico e che debbono essere interpretati, soggetti a
un'attenta esegesi. Per i cattolici, l'autorità
ecclesiale ha anche questa funzione.
L'Islam
non conosce una disciplina ecclesiale ma ha molte scuole
teologiche e giuridiche. Teologia e diritto, teologia
e politica, sono strettamente correlate: ma anche soggette
a una continua problematica giurisprudenziale. Questa è
la chiave ch'è necessario tener presente per
capire come l'Islam sia una realtà religiosa e culturale
estremamente sensibile e flessibile, che nei secoli è
riuscita ad adattarsi a infinite situazioni e ad assorbire
e metabolizzare un alto numero di culture.
L'Islam ha accolto varie correnti del pensiero ebraico, ma
anche platonico, neoplatonico, aristotelico; ha assorbito
l'insegnamento delle scuole astronomiche persiane e di
quelle matematiche indiane; ha saputo reinventare
l'astronomia, la medicina, la chimica; e tutto questo
sapere ce l'ha passato fra XII e XIII secolo,
consentendoci di fondare la modernità.
Abbiamo
convissuto con l'Islam. Abbiamo scambiato con il suo
mondo non solo merci, ma anche forme di sapere. I nostri
rapporti amichevoli e pacifici con esso sono stati
qualitativamente e quantitativamente superiori - e di gran
lunga - a tutte le crociate e a tutti i jihad del mondo.
Questo non è un mio parere: è, obiettivamente, storia
scritta e riscritta che solo alcuni divulgatori semicolti
si ostinano a ignorare. Leggetevi Il mondo musulmano di
Biancamaria Scarcia Amoretti (Carocci); vedrete
l'inimmaginabile varietà di esperienze, di voci, di
tradizioni, di problematiche, di situazioni che si agitano
nell'Islam e nei suoi quindici secoli di storia;
conoscerete la straordinaria ricchezza delle splendide
culture alle quali esso ha fornito un'anima. Altro che
fanatismo.
L'Islam
ha molti volti e molte scuole; sta in questi anni
affrontando il problema del rapporto con la modernità
occidentale, e lo fa con una pluralità di voci e di
atteggiamenti la stragrande maggioranza dei quali s'ispira
a una volontà di solida convivenza pacifica e di franco,
sereno confronto. Certo, non va dimenticato che la quasi
totalità dei musulmani vive all'interno di quell'oltre
80% dei popoli della terra che subiscono la
globalizzazione ma senza godere del benessere che
interessa invece la maggioranza degli occidentali.
La
miseria, la fame, l'ingiustizia, lo sfruttamento, sono
duri da tollerare. In passato, c'è stato chi è
insorto e ha anche ucciso nel nome del cristianesimo: la
religione di Gesù è forse responsabile diretta di
questo? Non sono stati pochi gli irlandesi che si
riconoscevano nel terrorismo assassino, quello che
ammazzava gli innocenti nei pubs di Londra; ed erano
spesso ragazzi che andavano a messa ogni domenica. Ci
meraviglieremo se - su un miliardo di musulmani la
stragrande maggioranza dei quali è povera, e molti sono
esposti all'embargo, ai bombardamenti, alle rappresaglie -
le centrali del terrorismo fondamentalista riescono a
mettere insieme qualche migliaio di disgraziati che la
disperazione spinge al fanatismo? È una percentuale
minima. E, quei disgraziati, dovremo davvero condannarli
senza cercar nemmeno di capire le ragioni di quei gesti
che pure, in se stessi, non possono se non essere
condannati?
È
dunque essenziale non abbandonare, bensì semmai
intensificare il dialogo con le comunità islamiche. È
necessario conoscerle e farci conoscere: chiarire a noi
stessi (e anche a loro) che nulla nella parola da Dio
trasmessa ai figli di Abramo giustifica la violenza, anche
se nella storia essi troppo spesso ne hanno abusato. Nulla
sarebbe più ingiusto, più insensato e più criminale
dell'incitamento indiscriminato a un'interpretazione dei
fatti dell'11 settembre nel senso dello scontro «tribale»
tra libertà, civiltà e modernità da una parte,
fanatismo islamico dall'altra.