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Una sorpresa
37. Dobbiamo riconoscere che il fenomeno di una massiccia
immigrazione ci ha colti un po' tutti di sorpresa.
È stato colto di sorpresa lo Stato, che dà tuttora
l'impressione di smarrimento e pare non abbia ancora
recuperata la capacità di gestire razionalmente la
situazione, riconducendola entro le regole irrinunciabili e
gli ambiti propri di un'ordinata convivenza civile.
E sono state colte di sorpresa anche le comunità cristiane,
ammirevoli in molti casi nel prodigarsi ad alleviare disagi
e pene, ma sprovviste finora di una visione non astratta,
non settoriale, abbastanza concorde. Le generiche
esaltazioni della solidarietà e del primato della carità
evangelica - che in sé e in linea di principio sono
legittime e anzi doverose - si dimostrano piuttosto bene
intenzionate che utili quando non si confrontano davvero con
la complessità del problema e la ruvidezza della realtà
effettuale.
L'annuncio del Vangelo
38. Deve essere ben
chiaro che non è di per sé compito della Chiesa come tale
risolvere ogni problema sociale che la storia di volta in
volta ci presenta. Le
nostre comunità e i nostri fedeli non devono perciò nutrire
complessi di colpa a causa delle emergenze imperiose che
essi con loro forze non riescono ad affrontare. Sarebbe un
implicito, ma comunque grave e intollerabile "integralismo"
il credere che le aggregazioni ecclesiali possano essere
responsabilizzate di tutto.
Compito nostro inderogabile è invece l'annuncio del
Vangelo e l'osservanza del comando dell'amore.
39. Prima di tutto l'annuncio del Vangelo. Dovere statutario
della Chiesa Cattolica, e in essa di
ogni battezzato, è di
far conoscere a tutti esplicitamente Gesù di Nazaret, il
Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore
dell'universo, unico Salvatore dell'umanità intera.
Tale missione può essere efficacemente coadiuvata, ma non
può essere in alcun modo surrogata da qualsivoglia attività
assistenziale. Essa suppone la nostra attitudine al dialogo
sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può mai
risolversi nel solo dialogo. Può essere favorita dalla
nostra conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si
avvera soltanto quando noi riusciamo a portare all'esplicita
conoscenza di Cristo quei nostri fratelli, che
sventuratamente ancora non ne sono beneficiati.
Non bisogna poi dimenticare che l'azione evangelizzatrice è
di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni
di destinatari: "Predicate il Vangelo a ogni creatura" (cf.
Mc 16,15), ci ha detto il Risorto. E non è mai giustificata
una rassegnata rinuncia a questo proposito, nemmeno quando,
umanamente parlando, sembri poco prevedibile il
conseguimento di qualche risultato positivo:
chi crede nella
forza sovrumana dello Spirito Santo, non desiste mai dall'annunciare
la strada della salvezza.
40. È molto importante infine che tutti i cattolici si
rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità,
che essi hanno nei confronti di tutti i nuovi arrivati
(musulmani compresi).
Per essere però buoni evangelizzatori essi devono crescere
sempre più nella gioiosa intelligenza degli immensi tesori
di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la
fortuna di possedere: è un'effusione di luce divina,
assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi
offerti dalle varie religioni e dall'Islam; e noi siamo
chiamati a renderne partecipi appassionatamente e
instancabilmente tutti i figli di Adamo.
41. Senza dubbio dovere nostro è anche l'esercizio della
carità fraterna. Di fronte a un uomo in difficoltà - quale
che sia la sua razza, la sua cultura, la sua religione, la
legalità della sua presenza - i discepoli di Gesù hanno
l'obbligo di amarlo operosamente e di aiutarlo a misura
delle loro concrete possibilità.
Di questa responsabilità
noi siamo tenuti a rendere conto al Signore; ma solo a lui,
e a nessun altro.
Approccio realistico
42. Nel variegato panorama dell'immigrazione, le comunità
cristiane non possono non valutare attentamente i singoli e
i diversi gruppi, in modo da assumere poi realisticamente
gli atteggiamenti più pertinenti e opportuni.
Agli immigrati cattolici
- quale che sia la loro lingua e il
colore della loro pelle -
bisogna far sentire nella maniera
più efficace che all'interno della Chiesa non ci sono
"stranieri": essi a pieno titolo entrano a far parte della
nostra famiglia di credenti e vanno accolti con schietto
spirito di fraternità. Quando sono presenti in numero
rilevante e in aggregazioni omogenee consistenti, andranno
sinceramente incoraggiati a conservare la loro tipica
tradizione cattolica, che sarà oggetto di affettuosa
attenzione da parte di tutti.
Ai cristiani delle antiche Chiese orientali, che non sono
ancora nella piena comunione con la sede di Pietro,
esprimeremo simpatia e rispetto. E, in conformità agli
accordi generali e secondo l'opportunità, potremo favorirli
anche dell'uso di qualche nostra chiesa per le celebrazioni.
Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e,
quanto è possibile, aiutati nelle loro necessità. Non va
però in nessun modo disatteso quanto è detto nella Nota Cei
del 1993: "Le comunità cristiane, per evitare inutili
fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere
a disposizione, per incontri religiosi di fedi non
cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto
cattolico, come pure ambienti destinati alle attività
parrocchiali" (Ero forestiero e mi avete visitato 34).
Considerazione generale
43. Possiamo aggiungere un'annotazione, che riguarda da
vicino soprattutto il comportamento auspicabile dello Stato
e di tutte le varie autorità civili.
I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere
solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro
peso).
Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare
l'identità propria della nazione. L'Italia non è una landa
deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni
vive e vitali, senza un'inconfondibile fisionomia culturale
e spirituale, da popolare indiscri-minatamente, come se non
ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che
non deve andare perduto.
In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di
una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di
partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E
le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato
della questione.
In ogni caso, occorre che
chi intende risiedere stabilmente
da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a
conoscere al meglio le tradizioni e l'identità della
peculiare umanità della quale egli chiede di far parte.
44. Sotto questo profilo, il caso dei musulmani va trattato
con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di
alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso
giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col
nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra
(fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto
hanno una visione rigorosamente integralista della vita
pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e
politica fa parte della loro fede indubitabile e
irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla
valere aspettano prudentemente di essere diventati
preponderanti.
Mentre spetta a noi evangelizzare, qui è lo Stato - ogni
moderno Stato occidentale - a dover far bene i suoi conti.
Cattolicesimo "religione nazionale storica"
45. Da ultimo, sarà bene che nessuno ignori o dimentichi che
il cattolicesimo - che non è più la "religione ufficiale
dello Stato" - rimane nondimeno la "religione storica" della
nazione italiana, oltre che la fonte precipua della sua
identità e l'ispirazione determinante delle nostre più
autentiche grandezze.
Perciò è del tutto incongruo assimilarlo alle altre forme
religiose o culturali, alle quali dovrà sì essere assicurata
piena libertà di esistere e di operare, senza però che
questo comporti o provochi un livellamento innaturale o
addirittura un annichilimento dei più alti valori della
nostra civiltà.
Va anche detto che è una singolare concezione della
democrazia il far coincidere il rispetto delle minoranze con
il non rispetto delle maggioranze, così che si arriva di
fatto all'elimi-nazione di ciò che è acquisito e
tradizionale in una comunità umana. Si attua
un'"intolleranza sostanziale", per esempio, quando nelle
scuole si aboliscono i segni e gli usi cattolici, cari alla
stragrande maggioranza, per la presenza di alcuni alunni di
altre religioni.
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