Film

The Passion of the Christ, di Mel Gibson

Il film di Gibson: The Passion of the Christ

La memoria del Cristo, fatto storico e carnale

 

 
 di Simone Fortunato


Il corpo di un uomo martoriato, piegato, straziato dai colpi ripetuti di uomini crudeli. Le piaghe che sanguinano. La pelle che si lacera. Le ossa che si spezzano. Lacrime e sangue per un uomo che soffre come nessun uomo ha mai sofferto. Le lacrime di un uomo che è Dio e che per questo è odiato dal mondo. E' questo il Cristo di Mel Gibson: il Dio che si è fatto carne ed è entrato nella storia dell'uomo trasfigurandola e salvandola per sempre. Non c'è nulla di spirituale, mistico e ascetico, almeno nel senso riduttivo e modaiolo dei nostri tempi, ne La passione di Cristo. Dio è uomo e carne. Parla il linguaggio degli uomini (e in questo senso la scelta di sottotitolare il film lasciandolo in latino e aramaico è tanto coraggiosa quanto necessaria per evidenziare il fatto storico di Cristo). Lavora come gli uomini. Ha una madre e amici che chiama fratelli. La sua amicizia è calorosa e fedele. Con Lui, bisogna fare i conti. Il Suo sguardo non ti lascia indifferente, nel bene e nel male: c'è chi (il soldato ebreo, il soldato romano, la moglie di Pilato) rimane avvinto dal Suo sguardo; c'è chi (Pietro) piange amaramente alla sua vista, dopo averlo tradito; c'è chi dispera della propria vita dopo il tradimento terribile (Giuda) e c'è anche chi gode bestialmente alla vista del Suo sangue e della Sua carne sfracellata (gli aguzzini romani). Chi non è cambiato di fronte all'incontro con Cristo è il Principe delle Tenebre, che accompagna, da apparente, semplice spettatore, la morte di Cristo, sicuro della vittoria sulla terra. Demonio, per una volta, reso al cinema in maniera rispettosa e non spettacolare, ma autenticamente terribile ed angosciante.

E' un film popolare, quello di Gibson, nel senso più nobile del termine: nel senso di un film in cui un intero popolo - quello cristiano - potrà riconoscersi. Nella Madonna cinquantenne interpretata sontuosamente dalla Morgenstern, vera Mater dolorosa, non potranno che riconoscersi tutte le madri del mondo. Quelle che hanno sofferto e piangono per i propri figli. Nelle rughe e nelle occhiaie di Lei, rivedranno se stesse e la propria eroica fatica dell'essere madri ogni giorno: dal concepimento alla nascita dolorosa, alla cura dei bambini fino all'educazione dei più grandi. E nel dolore immane di Lei, troveranno, per grazia di Dio, consolazione anche i più grandi dolori della vita. Perché nessuno ha sofferto più di Lei. E nessuno ha patito più di Lui.

Un film popolare e realista, e per questo scomodo. Perché il Potere è ferito dalla memoria del Cristo, fatto storico e carnale. Nessuno, tra gli altri film su Cristo, ha generato tante polemiche quante La Passione. Non il televisivo Gesù di Nazareth di Zeffirelli, troppo spirituale e ascetico per colpire veramente. E certo, nemmeno il mistico I giardini dell'Eden di Alessandro D'Alatri. Regge il confronto in fatto di carnalità e concretezza solo Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, ridotto però dalla critica militante a film più politico che autenticamente religioso. Ma se al film dell'ateo Pasolini, che pure ha molto in comune con quello di Gibson, dalle location a Matera all'aderenza al testo evangelico, fino alla centralità della figura della Madonna, mancava una vera Redenzione (e in effetti il finale, con l'annuncio della Resurrezione mostra tutto il rispetto di Pasolini di fronte al sacro ma anche l'impossibilità di un ateo di entrare a vedere il sepolcro), in quello del cattolico Gibson, il finale riassume il forte realismo che segna il film intero. Cristo risorto ascende al Cielo con le mani trafitte: ancora una volta lo scandalo di Dio fatto uomo.

 
 

Film: «Il film di Gibson: The Passion of the Christ. La memoria del Cristo, fatto storico e carnale», di Simone Fortunato, CulturaCattolica.it,  08 aprile 2004

 

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