Film

The Passion of the Christ, di Mel Gibson

Il film di Gibson: The Passion of the Christ

Nessun colpevole, vince il perdono

 

 
 di A. Tornielli


Il senso della Passione di Cristo che emerge dirompente dalle crude immagini del film di Mel Gibson, una grande rievocazione delle «passioni» medioevali del Venerdì Santo narrata con la tecnica del cinema dell'era digitale, sta in quella croce che si erge al centro del Golgota, in mezzo a quelle dei due ladroni. Quel legno piantato nel ventre delle terra e innalzato verso il cielo, che gronda a non finire del sangue fuoriuscito dalla carne martoriata di Cristo, ha diviso in due la storia dell'umanità. Quel rabbi galileo che insegnava a perdonare e ad amare persino i nemici, l'uomo che aveva detto di essere lui stesso non soltanto la «verità» e la «vita», ma anche l'unica «via» per raggiungerla, quel Gesù che ha scelto liberamente di farsi appendere al più terribile dei supplizi dell'epoca, la croce, per caricare su di sé il peccato del mondo, ha spaccano in due la storia.
All'inizio del film, in un Getsemani immerso nella nebbia, il diavolo dalle inquietanti sembianze androgine - superbamente interpretato da Rosalinda Celentano - tenta il Nazareno dicendogli: «Come può un solo uomo portare sulle sue spalle tutti i peccati degli uomini?». E mentre la vittima sacrificale, fustigata, schernita e sottoposta a indicibili sofferenze, viene inchiodata sulla croce e innalzata, il ritmo quasi esasperato della brutale esecuzione viene interrotto da ripetuti flash-back che inquadrano l'ultima cena, e il Maestro che ripete «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, offerti in Sacrificio per voi, in remissione dei peccati». S'innalza la croce e Gibson vuole ricordare allo spettatore che quel sacrificio così cruento si ripete da allora in modo incruento ogni volta che il prete solleva l'ostia consacrandola. «La Messa - ricorda papa Wojtvla nell'ultima sua enciclica dedicata all'eucarestia - è ad un tempo e inseparabilmente il memoriale del sacrificio nel quale si perpetua il sacrificio della croce e il sacro banchetto della comunione al corpo e al sangue del Signore».
Sarebbe interessante rileggere, alla luce del racconto evangelico, le varie scene e i personaggi (dal ruolo centrale di Maria alla discreta ma significativa presenza della moglie di Ponzio Pilato, interpretata da Claudia Gerini). Ma è doveroso dire, innanzitutto che chi può finalmente vedere il film, ha l'impressione di assistere a qualcosa di completamente diverso da ciò che si aspettava avendo letto le polemiche di questi mesi. The Passion of the Christ si presenta infatti fedele al racconto degli evangelisti e per nulla antisemita.
Lo stesso ruolo del sinedrio nella richiesta di condanna a morte per l'uomo che diceva di essere il Messia - ma un Messia divino, che prometteva la liberazione dal peccato e non l'agitatore politico venuto a liberare Israele dalla dominazione romana - appare in qualche modo mitigato dal fatto che due sacerdoti tentano di difendere il Nazareno. Non si capisce dunque per quale motivo oggi lo spettatore dovrebbe estendere le responsabilità del sadduceo collaborazionista Caifa e del suocero Anna, con quella di tutto il popolo ebraico, che non era certamente rappresentato dalla piccola folla che chiede la crocifissione di Gesù davanti al debole Ponzio Pilato, pronto a concederla, dopo qualche tentennamento. Mentre Cristo porta la croce, nello straziante percorso che si snoda per la «via dolorosa» della Gerusalemme-Matera, ci sono persone che lo scherniscono e lo ingiuriano, ma ce ne sono altre addolorate, che chiedono ai soldati romani di smetterla di percuoterlo. A proposito dei romani, la brutalità maggiore è proprio la loro, molto più violenti, crudeli e insensibili delle guardie ebraiche al servizio del Sinedrio. Certo, né le une né gli altri ci fanno una gran figura, ma è altamente probabile che all'epoca non ci si comportasse con i prigionieri da portare a morte secondo la Convenzione di Ginevra.
Nessuna colpa scaricata sulle spalle di un popolo, dunque, nel film del «tradizionalista» Mel Gibson, ma una responsabilità caricata sulle spalle di tutti gli uomini, a cominciare dall'autore e regista, che ha prestato la mano al soldato che conficca il primo chiodo sulla carne di Cristo. Come del resto insegnava il cinquecentesco catechismo tridentino: «Delitto ben più grave in noi che negli ebrei. Questi... se avessero conosciuto il re della gloria, non l'avrebbero giammai crocifisso; mentre noi, pur facendo professione di conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti, e quasi sembriamo alzare le mani violente contro di lui». La stessa convinzione espressa nel 1968 da Paolo VI, il Papa che ha portato a termine il Vaticano II: «Noi siamo corresponsabili di questo sacrificio. Come mai? Perché Gesù è morto per noi, è morto per causa nostra. Voi siamo parte in causa nel dramma della croce».
Non è un caso che nella parte finale del film il Nazareno gridi «Padre perdonali perché non sanno quello che fanno». Amore, perdono, donazione totale di sé fino alla fine. Questo è il messaggio di The Passion of the Christ.
 
 

Film: «Il film di Gibson: The Passion of the Christ. Nessun colpevole, vince il perdono» di A. Tornielli, Il Giornale, giovedì 26 febbraio 2004, p. 17

 

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