The Passion of the Christ, di Mel Gibson |
Il film di Gibson:
The Passion of the Christ |
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di Andrea Piersanti E' durissimo. IL film di Mel Gibson è veramente duro e non concede spazio alla fantasia. La passione di Gesù è descritta nei particolari, senza indulgenze estetiche, ma anche senza falsi pudori. Gli uncini dei flagelli strappano la carne viva e lo spettatore soffre e sussulta insieme con il sanguinante protagonista della storia. Per tutto il film. Due ore e dieci minuti di sofferenza vera. Due ore e dieci minuti di autentica commozione. Dalla proiezione di "The passion of the Christ" si esce scioccati e colpiti nel più profondo e intimo dei sentimenti. Questa scelta di linguaggio, è facile prevederlo, provocherà più di una polemica. Mentre il can can mediatico sul presunto contenuto antisemita del film si scioglierà come neve al sole non appena il pubblico potrà constatarne da solo l'assoluta e totale infondatezza, nuovi focolai di polemica si accenderanno invece per il tono esplicito del film e per il suo linguaggio. Il sangue corre copioso sullo schermo e tante saranno le domande che questo susciterà. La situazione del Medio Oriente è esplosiva e il mondo non sente il bisogno di nuovi integralismi. Il film sarà visto da centinaia di milioni di persone in tutto il mondo e a molti sembrerà un inno al fondamentalismo. Ci vorrebbe l'aiuto di una équipe di psicologi per capire quale effetto potranno avere quelle immagini sulle menti e sui cuori dei più deboli. E' facile intuire però perché Mel Gibson, nonostante ciò, abbia voluto fare comunque un film così. Un film che inizia con uno schiocchio sparato fortissimo negli altoparlanti della sala. E'il rumore del sandalo di Gesù che schiaccia, con un "crack', la testa del serpente. E' una scelta di campo inusuale e "scandalosa" da parte di Gibson, nei tempi del politicamente corretto ad ogni costo. La società contemporanea, la cosiddetta "società delle immagini", è fortemente scristianizzata. La durezza dei cuori degli uomini del terzo millennio è paragonabile in qualche modo solo alle risa volgari e sguaiate dei soldati romani che, anche nel film di Gibson, picchiano e poi crocifiggono Gesù. C'è un lega- me stretto fra l'evento di duemila anni fa e la nostra vita quotidiana. I cuori sono diventati di pietra, gli occhi sono serrati (anche se ottusamente aperti sul caleidoscopio delle immagini della modernità, come ha già detto Stanley Kubrick con il suo film-testamento "Eyes Wide Shut") e le orecchie sono sorde ai lamenti della coscienza. Oggi come allora, duemila anni fa. A questo potrebbe avere contribuito un certo annacquamento operato sul messaggio evangelico. Come se arte figurativa prima, e cinema e televisione dopo, avessero trascurato un aspetto importante della vita di Gesù: la sua sofferenza, umana e divina. C'è un solo fotogramma, nel film, che da solo varrebbe l'intero prezzo del biglietto. Dopo la morte di Gesù sulla Croce, la macchina da presa, che fino a quel momento ha seguito il dramma senza mai staccarsi da terra, prende il volo e lo spettatore si trova improvvisamente a guardare la scena dall'alto dei cieli. L'immagine è come trasfigurata in uno strano effetto a occhio di pesce. Poi anche quella bizzarra rotondità si muove e comincia a precipitare verso la terra dove si schianterà in pochi secondi. E' la prima goccia d'acqua del finimondo che si scatena sul Golgota. Si rimane stupefatti.
La sequenza, brevissima,
rimane nell'immaginario dello spettatore annichilito. E' come se Gibson
abbia avuto l'ardire di poter immaginare e poi di voler raffigurare lo
sguardo e, soprattutto, il pianto di Dio. Un gesto di arroganza salutare,
pazzesco ma baciato dalla grazia. Per troppo tempo abbiamo trascurato la
sofferenza di Dio. Una sofferenza che è specchio e immagine della nostra
stessa sofferenza nel peccato. Solo così infatti si può capire perché Gibson
abbia voluto essere così duro nella rappresentazione della violenza inflitta
a Gesù. E' infatti, la stessa violenza che abbiamo inflitto a noi stessi.
Quelle carni martoriate sono le nostre. Le lacrime di Maria sono le nostre.
Per questo il dolore di Gesù, sullo schermo gigante di Mel Gibson, ci
colpirà così tanto. Trroveremo un forte motivo di identificazione e non sarà
facile liberarsi da uno strano sentimento. E una domanda ci coglierà
all'improvviso, alla fine della proiezione, all'uscita della sala
cinematografica: dove siamo stati in questi ultimi duemila anni? Come
abbiamo fatto a dimenticare? |
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Film: «Il film di Gibson: The Passion of the Christ. La testa del serpente schiacciata, gli uncini nella carne e il pianto di Dio» di Andrea Piersanti, Il Foglio 26.02.2004 |