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di
Christian Rocca
New York. Immaginate due ore di pulp fiction applicate alla passione di
Cristo, con torture, scudisciate, martellate, frustate, chiodi infilzati,
braccia spezzate, sputi, pugni, calci, sangue, sangue, tanto sangue.
Immaginate un Vangelo secondo il Marchese de Sade girato con la consulenza
di Quentin Tarantino e troverete Kill Jesus ovvero "The Passion of the
Christ", il film di Mel Gibson che negli Stati Uniti esce domani, mercoledì
delle ceneri, ma che ieri il Foglio ha visto in anteprima in una sala
privata di Manhattan.
Con la potenza delle immagini e l'uso dell'aramaico e del latino (e dei
sottotitoli) il film di Gibson racconta le ultime dodici ore di vita o,
meglio, l'inizio della morte e la lenta agonia di Gesù di Nazareth. C'è solo
questo, nel film. Non c'è l'insegnamento di Gesù, non c'è la sua missione,
non c'è nulla di tutto ciò se non la sua straordinaria soglia di
sopportazione del dolore. Più di tre quarti del film sono sulla tortura
subita da quest'uomo alto, bello, con la barba e i capelli lunghi come da
immaginario e come prescrive quell'antico testo sacro che è "Jesus Christ
Superstar" (copyright di Christopher Hitchens). Gesù viene torturato e
quando sembra che finalmente sia finita, che abbia ricevuto una punizione
più che sufficiente, le torture riprendono più feroci di prima e il sangue
sprizza più copioso, il suo corpo viene battuto, brandelli di carne si
staccano, gli occhi sono così gonfi da non potersi più aprire. La violenza
del film è brutale, assoluta, selvaggia, quasi grottesca, come in "Pulp
Fiction" appunto, spesso evidenziata dall'uso della slow motion. Gibson ha
voluto far sentire quel dolore anche agli spettatori, e c'è riuscito, e più
continuano le torture e le percosse lungo la via Crucis più chi guarda il
film si sente in colpa per non essere in grado di fermare il massacro. Lo
scopo di Gibson è proprio quello di farci sentire peccatori e
corresponsabili, ancora oggi, della morte di nostro Signore, avvenuta
duemila anni fa.Gli
ebrei e i romani
Gli ebrei sono cattivi. Sono cattivi assoluti. Traditori, brutali, avidi.
Vogliono fin dal primo minuto mandare a morte Gesù, e non hanno esitazioni
né dubbi. Il sommo sacerdote del Sinedrio, Caifa, urla ogni due minuti "a
morte, a morte" e aizza la folla ebraica a chiedere la condanna, come
neanche a una riunione di MicroMega. La crocifissione come momento magico
dell'ebraismo, così sembra.
I romani sono, invece, buoni. All'inizio sembrano addirittura il Settimo
cavalleggeri, sembra che siano arrivati i nostri quando impediscono il
linciaggio notturno di Gesù. Ponzio Pilato, governatore della Palestina, non
è la rude longa manus di Roma a Gerusalemme, è piuttosto una specie di Paul
Bremer appena giunto da Yale per ricostruire la Palestina. Non vuole
condannare Gesù, cerca in tutti i modi di salvarlo, tenta ogni trucco,
chiede pietà, si interessa di questioni teologiche, una specie di
governatore compassionevole. Cede solo perché il suo innocentismo ha fatto
già scoppiare una rivolta del popolo ebraico. Se ne lava le mani perché teme
che il prossimo a essere linciato potrebbe essere lui.
Nella seconda metà del film, una volta condannato Gesù, gli ebrei non sono
più centrali nel racconto. Le folle giustizialiste scompaiono, più Gesù si
avvicina faticosamente al Golgota più restano solo i suoi pochi fedeli,
quelli che tentano di dargli una mano, che gli vorrebbero dare conforto. Nel
momento clou della via Crucis, a pochi passi dal luogo della crocifissione,
quando ormai il corpo e il viso di Gesù hanno perso sembianze umane per
trasformarsi in un dipinto di Caravaggio, gli si avvicina la Veronica per
asciugargli il viso ma la scena perde pathos quando lo spettatore italiano
si accorge che la Veronica è interpretata dalla bravissima Sabrina
Impacciatore, già imitatrice di Marina La Rosa del Grande Fratello.
Gli ebrei buoni sono solo quelli convertiti. E' un'impressione confermata da
una delle ultimissime scene di "The Passion" quando Gesù muore e si avvera
la profezia della distruzione del Tempio di Gerusalemme (in realtà un falso,
il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto dai romani una quarantina di anni
dopo). Lì Caifa, interpretato da Mattia Sbragia, capisce di avere ucciso
Dio.
Anche i romani cambiano nella seconda parte del film. Se all'inizio sono i
buoni, in seguito sono i cattivi torturatori di Cristo. La violenza dei
soldati è gratuita, paradossale. I capi restano ancora buoni, di tanto in
tanto intervengono per fermare il macello.
Oltre a questo ritratto del Sinedrio e del popolo ebraico sono due i momenti
a rischio di antisemitismo. Uno è nascosto, l'altro è palese. Quest'ultimo
si trova a metà del film e segue la terribile scena delle frustate e quant'altro
a Gesù, ordinate da Pilato per andare incontro ai desideri del popolo
ebraico. A differenza di altri film, anche quelli più violenti, gli
spettatori non vedono soltanto lo strumento di tortura e poi la ferita sul
corpo dell'attore, ma anche il punto di contatto e lo vedono ripetuto per
una cinquantina di volte. La scena è interrotta da uno dei vice di Pilato
che porta Gesù di fronte al suo capo e al cospetto del popolo di
Gerusalemme. Pilato, ritratto sempre più come il secondo eroe del film,
guarda con orrore quanto è stato fatto a Gesù e quindi chiede agli ebrei
guidati da Caifa: "Non è abbastanza?". "No, crocifiggilo", urla la folla
aizzata dal capo del Sinedrio. Pilato, allora, quasi implorante chiede a
Gesù di dire qualcosa: "Non sai che ho il potere di liberarti e quello di
crocifiggerti?". Gesù gli dice che il potere proviene da Dio e, riferendosi
al capo religioso degli ebrei, dice: "Chi mi ha consegnato nelle tue mani ha
una colpa più grande".
Il versetto non tradotto
La seconda accusa di antisemitismo è nascosta nella stessa identica scena,
ed è comprensibile soltanto a chi parli aramaico o abbia studiato il Talmud.
Nel momento in cui Pilato se ne lava le mani e decide per la condanna, si
alza una voce dalla folla che urla un versetto del Vangelo secondo Matteo
che da duemila anni è considerato una delle cause principali
dell'antisemitismo antico e moderno: "Il suo sangue ricada sopra di noi e
sopra i nostri figli". Gibson ha deciso di non fornire la traduzione del
versetto, proprio per evitare polemiche e accuse, ma lo ha lasciato nella
lingua originale. Il regista è certo che i Vangeli siano il racconto
dettagliato e fedele di quattro discepoli-cronisti presenti sul luogo dove
sono successi i fatti. Lo ha detto anche esplicitamente in due recenti
interviste televisive: "Queste cose sono scritte nella Bibbia, e chi le ha
scritte c'era, era lì, le ha viste". La questione è controversa, nonostante
gli ultimi studi dicano il contrario c'è chi resta convinto che i Vangeli
siano stati scritti molti anni dopo i fatti che narrano.
Gibson è convinto di aver fatto un film fedele a come si è svolta la storia
quel giorno del 33 (altre datazioni dicono il 30) dopo Cristo e ha scelto
qua e là dai Vangeli le frasi e gli elementi per ricostruirla.
Fatta eccezione per la presenza del diavolo, interpretato da Rosalinda
Celentano, non c'è quasi spazio per l'interpretazione artistica o per il
tocco dello sceneggiatore. Quello che c'è scritto nelle Scritture è sacro e
come tale va rispettato e professato. Le interpretazioni del testo e le
dispute teologiche sono sovrastrutture, secondo Mel Taliban Gibson, il quale
per interpretare Gesù ha scelto James Caviezel, un bravo attore con la
fortuna di avere le iniziali, JC, uguali a quelle di Jesus Christ. E'
sufficiente la grandiosa potenza della parola di Dio. E' il Vangelo,
bellezza e non puoi farci niente.
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