Film

The Passion of the Christ, di Mel Gibson

Il film di Gibson: The Passion of the Christ

Mel Gibson, il nuovo evangelista
 

Il film sulla Passione di Cristo è già una leggenda, sebbene in pochissimi l'abbiano visto. Parla senza riserve al mondo bambino che si credeva padrone di se stesso.
 

 
 di Giuliano Ferrara


Il film di Mel Gibson sulla Passione di Cristo è già una leggenda, sebbene in pochissimi l'abbiano visto. Nel composto e austero e laico Corriere della sera, Vittorio Messori ha perfino testimoniato, come fosse nell'ordine naturale delle cose, che durante le riprese i miracoli, le conversioni e le estasi coronavano il set come gemme della fede. Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini nacque e visse come belluria e ornamento di un'anima di poeta, ma non ha mai incontrato la politica e la storia, sollecitò al massimo la curiosità di un pubblico ristretto per l'accostarsi a temi religiosi di un intellettuale di sinistra, cattolico e maledetto. Era cinema d'autore, una deviazione intimista dalla linea editoriale dei polpettoni biblici alla Cecil B. De Mille.
 

Un tempo Hollywood divorava e digeriva la religione. Ora la religione, il «cattolicesimo radicale» di cui parla Messori, sta per divorare Hollywood. Le ragioni sono sottili ma anche di per sé evidenti. La religione è diventata la nostra angoscia quotidiana, si sente il suo zampino, anzi il suo artiglio, nella carne febbricitante dei tempi. La si intuisce come massimo problema contemporaneo dietro il terrorista islamico suicida, dietro la grande e tragica storia dello Stato d'Israele, dietro uno dei pontificati più energici e longevi della storia dei papi, dietro la bioetica e i suoi dilemmi; e la si intravede nel racconto delle preghiere mattutine della Casa Bianca di George W. Bush, nelle sentenze delle corti americane o nelle leggi della République sui simboli religiosi ostentati in pubblico, nella contesa di civiltà intorno al corpo della donna, nei mea culpa pontificali, nello splendore del Giubileo del millennio, nella caduta «polacca» del Muro di Berlino, nei conflitti intorno alla costituzione europea, nell'antisemitismo diffuso, nei movimenti neocristiani d'America, nella lotta contro le sette, nel pacifismo ecumenico e interreligioso, nella grande crisi postconciliare e nel conflitto proselitistico tra cattolici e ortodossi.

La religione è dovunque come concetto e rebus geopolitico, ma con il film di Mel Gibson arriva nel tempio universale del cinema come racconto materiale, come dettaglio e dolore fisico cotto nel sangue del Risorto, non più metafora e sublimazione governabili nella foresta dei simboli. Colpa, punizione, salvezza, espiazione fanno parte da sempre dell'immaginazione giudaico-cristiana, ma come dottrina o catechismo, come fede popolare, come liturgia e amministrazione cerimoniale delle feste comandate. Altro è il racconto realista, la smoderata ambizione di chi ha fatto trapelare, mettendolo in bocca al Papa, il progetto di raccontare le cose per come esse effettivamente sono accadute. Sarà una bomba emozionale di proporzioni inaudite, c'è da prevederlo.

Non so se la nostra sia l'epoca di un nuovo grande risveglio religioso, ma l'operazione colossale messa in piedi con il ritorno della Passione più carnale va in quella direzione, converge con questo sospetto sempre più diffuso. La religione del Concilio tendeva all'occultamento della differenza e alla disciplina spirituale come valore universale, ora esplode l'identità come differenza assoluta.
Gibson sembra avere intercettato questa nuova e antichissima dimensione dell'esistenza umana, e la ripropone senza scrupoli, da cattolico radicale militante. Il suo film, prima dell'uscita, ha già innescato la diffidenza quando non la lotta teologica in seno alla Chiesa di Roma; è atteso al varco delle reazioni di ebrei e di islamici nel grande mondo semita in ebollizione; ma soprattutto potrebbe sfondare al botteghino e saldarsi con una strana e inquieta Pasqua del 2004, con un immenso pubblico in attesa della processione e della Via Crucis irrorate di nuovo sangue, il sangue iperrealista del cinema moderno. Un corto circuito di proporzioni oggi incalcolabili.

Può anche essere che il mezzo invece annulli il messaggio, e che la regola registrata da Montaigne, secondo cui «una forte immaginazione produce l'avvenimento», stavolta faccia cilecca, flop. Ma ne dubito. Al tradizionale bisogno di credere, banalizzato e parrocchializzato in mille modi nel linguaggio contemporaneo, si è sostituita l'urgenza di ascoltare una storia vera, di riprodurre l'avvenimento che è alle nostre spalle. Nell'impasto annunciato di cristianesimo americano e tradizionalismo europeo, questo film sulla Passione, girato e doppiato in lingue come l'aramaico e il latino che nessuno conosce più, si annuncia come un superbo E. T. capace di parlare senza riserve al mondo bambino che si credeva padrone di se stesso.

 

 

Film: «Il film di Gibson: The Passion of the Christ. Mel Gibson, il nuovo evangelista» di Giuliano Ferrara, Panorama 20/2/2004

 

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