Film

The Passion of the Christ, di Mel Gibson

Il film di Gibson: The Passion of the Christ

Le visioni della Passione di Gesù avute da Santa Anna Catherine Emmerick che hanno ispirato il Film di Mel Gibson
 

 
 Giancarlo Padula


“La Dolorosa Passione di nostro Signore Gesù Cristo” è un libro sostanzialmente introvabile in commercio, ma lo si può consultare nelle biblioteche soprattutto dei Padri Agostiniani, perché S. Anna Catherine Emmerick era di questo Ordine. Mistica stigmatizzata tedesca, nata a Flanske in Westfalia nel 1774 e morta a Dolmen nel 1824, di famiglia contadina entrò nelle Agostiniane di Agnetenberg (1802). Soppresso il monastero da Napoleone nel 1811, visse a casa di una pia vedova. Nel 1812 cominciarono le manifestazioni straordinarie. Una doppia croce sanguinante sul petto e, l’anno dopo, le stigmate alle mani e ai piedi. Nel 1789 gli apparve Gesù che le offrì la corona di spine, lei accettò ed ebbe così sulla fronte le prime stigmate. Quando Anna Caterina aveva 45 anni, attirato dalla sua fama, venne a visitarla il famoso scrittore e poeta Clemens Maria Brentano, uno dei più importanti rappresentanti del Romanticismo tedesco. Appena le si presentò la veggente lo riconobbe e giorno dopo giorno cominciò a raccontare tutta la sua narrazione, dodicimila pagine che descrivono nei dettagli la vita di Gesù e di Maria. Le visioni della Emmerick erano del tutto particolari: lei si separava dal corpo dopo essere stata “chiamata” dal suo angelo custode e il suo spirito si recava in Terra santa dove assisteva agli episodi evangelici come se stessero avvenendo in quel momento; il giorno dopo li descriveva a Brentano. Una delle ultime edizioni italiane del libro è stata a cura della L.I.C.E – R. Berruti & C di Torino, del 1937, (anche le edizioni Ancora di Milano hanno pubblicato materiale inerente a questo volume, intorno agli anni cinquanta). Nella copertina compare la dicitura: “Unica traduzione italiana di Olivia Rudella Gerevini, della 55° edizione tedesca autorizzata dalla Casa Editrice G.J. Manz di Regensburg (Baviera).

 

Gesù nell’Orto degli Ulivi: “Quando Gesù, dopo l’istituzione del Santissimo sacramento dell’Altare, lasciò il Cenacolo con gli undici apostoli”, si legge tra l’altro, “l’anima sua era già turbata e la sua tristezza andava sempre crescendo. Egli guidò i compagni, per un sentiero nascosto nella Valle di Giosafat, e di là si diresse con loro al monte degli Olivi; quando furono giunti davanti alla porta, vidi la luna non interamente piena levarsi sulla montagna. Il Signore, errando con i compagni nella valle, diceva che sarebbe ritornato in quel luogo per giudicare il mondo, ma non povero e languente come lo vedevano allora, e che in quella seconda venuta altri avrebbero tremato e gridato: I suoi discepoli non lo compresero, e cedettero, cosa che accadde loro più volte in quella notte, che la debolezza e l’esaurimento lo facessero delirare … Gesù andò a pregare nella parte più selvaggia … Gesù era molto triste e presentiva l’avvicinarsi del pericolo e i discepoli ne erano assai turbati. Egli disse allora a otto di loro di rimanere nell’orto del Getzemani: “Restate qui, disse, mentre io vado a pregare nel luogo che ho scelto” … era indicibilmente triste, perché sentiva l’avvicinarsi dell’angoscia e della prova; Giovanni gli chiese come mai Lui, che li aveva sempre consolati, potesse essere così abbattuto: “L'anima mia è triste fino alla morte”; rispose, e, guardando intorno a sé, vide da ogni lato l’angoscia e la tentazione avvicinarsi come nubi cariche di immagini spaventevoli: “Fermatevi, vegliate con me; pregate affinché io non abbia a cadere in tentazione” … La sua tristezza e la sua angoscia crescevano ed Egli si ritirò tutto tremante in fondo alla grotta, come uno che, perseguito da spaventoso uragano, cerchi un rifugio per pregare; ma le visioni minacciose lo seguirono anche nella grotta e si fecero ancora più distinte. Quella stretta caverna sembrava racchiudere l’orribile spettacolo di tutti i peccati commessi dalla prima caduta fino alla fine del mondo, e quello del loro castigo; perché proprio nell’Orto degli Ulivi si erano rifugiati Adamo ed Eva quando erano stati scacciati dal Paradiso e mandati raminghi sulla terra inospitale, e avevano pianto e tremato in quella stessa grotta. Ebbi allora la chiara impressione che Gesù, abbandonandosi ai dolori della Passione che stava per cominciare,e offrendosi in olocausto alla Giustizia Divina per soddisfare e riparare i peccati del mondo, facesse rientrare in qualche modo la sua divinità in seno alla Santissima Trinità, per rinchiudersi sotto l’effetto della sua carità infinita, nella sua paura, amante e innocente umanità che, armata solo dell’amore che infiammava il suo cuore di uomo, si immolava, per tutti i peccati del mondo, per tutte le angosce e tutte le sofferenze. E volendo soddisfare per l’origine e lo sviluppo di tutti i peccati e di tutti gli istinti pravi, il misericordioso Gesù, prese nel suo cuore, per amore di noi peccatori, la radice di ogni espiazione santificante, e allo scopo di soddisfare per i peccati infiniti, lasciò crescere e dilatarsi questa pena infinita come un albero dalle mille braccia, e penetrare in tutte le membra del suo sacratissimo corpo, in tutte le facoltà l’anima sua santissima. Così, abbandonato interamente alla sua umanità, implorando Iddio con tristezza e angoscia inesprimibile, cadde col viso a terra, mentre tutti i peccati del mondo gli apparivano in forme innumerevoli con tutta la loro bruttezza interiore: li prese allora tutti sopra di sè, e si offerse, nella sua preghiera, alla giustizia del Padre Celeste, in riparazione di questo spaventevole debito ...”

“Ma Satana che, in forma orribile s’agitava con riso infernale in mezzo a tanti orrori, si eccitava in un furore sempre crescente contro Gesù, e facendo passare davanti a lui dei quadri sempre più spaventosi, gridava sena posa alla sua umanità: «Come! Anche questo vuoi prendere sopra di te? E sopportarne la pena? Vuoi tu soddisfare per tutto questo?». Ma intanto, da quella parte del cielo dove il sole si mostrava fra le dieci e le undici del mattino, partì un raggio simile ad una via luminosa: era una schiera d’angeli che scendeva fino a Gesù per infondergli forza e sollievo.

Il resto della grotta era pieno di spaventose visioni di peccato e di spiriti malvagi, dileggiatori e accaniti; Egli prese tutto sopra di sè, ma il suo cuore, il solo che amasse perfettamente Dio e gli uomini in questo deserto d’orrore, i sentì crudelmente torturato e straziato sotto il peso di tanto abominio. Ah! Vidi allora tante cose che un anno intero non basterebbe a narrarle. Quando quella massa di delitti fu passata sopra il suo capo come un oceano e che Gesù, volontaria vittima d’espiazione, ebbe chiamato sopra di se le pene e i castighi dovuti a tutti quei peccati, Satana gli suscitò contro, come altra volta nel deserto, innumerevoli tentazioni, e osò perfino presentargli – a Lui che era la purezza medesima! – una serie di accuse: «Come! Diceva, vuoi prendere tutto questo sopra di te, e tu stesso non sei puro! Guarda questo! E questo! E quest’altro ancora!» e fece sfilare davanti a Lui, con impudenza infernale, una quantità immensa di accuse immaginarie, rimproverandogli gli errori dei suoi discepoli, gli scandali che questi avevano dato, e il turbamento che Egli aveva portato nel mondo, rinunciando alle antiche usanze. Satana si fece il più abile e il più severo dei Farisei e gli rimproverò d’essere stato l’occasione del massacro degli Innocenti, e della pena e del pericolo dei suoi genitori in Egitto, gli rimproverò di non aver salvato Giovanni Battista dalla morte, d’aver disunito molte famiglie, d’aver protetto uomini screditati, d’aver omesso di guarire parecchi malati, (Nelle sue visioni sugli anni della predicazione di Gesù, ella vide l’11 dicembre 1822, il Signore permettere ai demoni usciti dagli ossessi di Gerasa di entrare in una mandria di porci. Vide ancora questa circostanza particolare: che gli indemoniati rovesciarono prima una grande vasca piena di una bevanda fermentata) e ai demoni di precipitare in mare i loro suini; gli imputò le colpe di Maria Maddalena, perché non le aveva impedito di ricadere nel peccato; l’accusò d’aver abbandonato la sua famiglia, di aver dilapidato i beni altrui; insomma il tentatore presentò all’anima di Gesù per abbatterlo, tutto quanto avrebbe rimproverato in punto di morte a un uomo ordinario, che avesse compiuto tutte quelle azioni senza motivi superiori; perché a lui era nascosto che Gesù fosse figlio di Dio e quindi lo tentava solo come il più giusto tra gli uomini.

Il nostro Divino Salvatore lasciò talmente predominare in sè la sua santa umanità, che volle soffrire persino la tentazione della quale sono assaliti circa il merito delle loro opere buone gli uomini che muoiono santamente e permise, per vuotare tutto intero il calice dell’agonia, che lo spirito del male, al quale la sua divinità era nascosta, gli presentasse tutte le sue opere di carità come altrettanti atti colpevoli, che la grazia di Dio non gli aveva ancora rimessi. Gli rimproverò di voler cancellare i peccati degli altri, mentre Lui stesso, sprovvisto di ogni merito, doveva soddisfare il debito contratto con al Providenza divina per molte pretese opere buone. La divinità di Gesù permise che il nemico tentasse la sua umanità come potrebbe tentare un uomo che volesse attribuire un valore proprio alle sue buone opere, oltre quello solo che possono avere in unione ai meriti della morte del Salvatore. Così il tentatore gli presentò le opere del suo amore come atti sprovvisti di merito, che lo costituivano debitore verso Dio: fece come se Gesù ne avesse, in qualche modo, prelevato il merito su quello della sua Passione non ancora consumata e di cui satana non conosceva ancora il valore infinito, e per conseguenza, come se non avesse soddisfatto per le grazie ricevute in occasione di queste sue opere. Gli pose sotto gli occhi dei contratti nei quali tutte le sue buone opere erano scritte come debiti, e diceva, sottolineandole, col dito: «Tu sei ancora debitore per questa e per quest’altra, ecc.». Infine svolse davanti a Lui un contratto dove stava scritto che Gesù aveva ricevuto da Lazzaro e speso il denaro ricavato dalla vendita della proprietà di Maria-Maddalena a Magdala e gli disse:«Come hai tu osato dissipare il bene altrui e usare un simile torto a questa famiglia?». Io vidi le immagini di tutti i peccati per i quali il Signore s’era offerto di espiare e sentii con Lui tutto il peso delle gravissime accuse che gli venivano elevate contro dal tentatore; poiché fra i peccati del mondo che il Salvatore s’era addossato, vidi anche i miei, pur tanto numerosi, e dal cerchio di tentazioni che lo stringevano si sprigionò verso di me come una corrente dove tutte le mie colpe prendevano forma di visione. Intanto io avevo gli occhi sempre fissi sul mio celeste Fidanzato, gemevo, pregavo con Lui, e mi volevo con Lui verso gli angeli consolatori. Ah! Il Signore si torceva come un verme sotto il peso del suo dolore e della sua angoscia. Io, durante le accuse di satana contro Gesù, duravo a fatica a trattenere la mia collera; ma quando il tentatore parlò della vendita dei beni di Maddalena, mi fu impossibile contenermi e gridai: «Come puoi imputargli a peccato la vendita di quei beni? Forse che non hai visto il Signore impiegare in opere di misericordia la somma consegnatagli da Lazzaro, e liberare a Thirza ventisette poveri prigionieri per debiti?». In principio Gesù era inginocchiato e pregava abbastanza calmo; ma più tardi l’anima sua fu spaventata alla vista dei delitti innumerevoli degli uomini e della loro ingratitudine verso Dio ed Egli fu in preda ad un’angoscia e ad un dolore così violenti che esclamò, tremando e rabbrividendo: «Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice! Padre mio, tutto ti è possibile: allontana questo calice!». Poi si riprese e disse: «Però sia fatta la tua volontà e non la mia».

“Mentre l’umanità di Cristo era schiacciata sotto quella massa spaventosa di sofferenze, notai un movimento di compassione tra gli Angeli: vi fu una piccola pausa,e mi sembrò che desiderassero ardentemente di consolarlo e a questo scopo pregassero davanti al trono di Dio; vi fu come una lotta di un istante fra la misericordia e la giustizia di Dio, e l’amore che si sacrificava. Mi fu mostrata un’immagine di Dio, non sul trono come l’altra volta, ma come una forma luminosa, e vidi la natura divina del Figlio nella persona del Padre e come ritirata nel seno di Lui; la persona dello Spirito Santo che procedeva del Padre e dal Figlio e che stava come tra loro, mentre che il tutto non formava che un solo Dio. Ma queste cose sono inesprimibili perché io ebbi, piuttosto che una visione con figure umane, una percezione interiore in cui mi venne dimostrato per mezzo di immagini che la volontà divina di Cristo si ritirava sempre più nel Padre per lasciar pesare sulla sua umanità tutte quelle sofferenze che la sua volontà umana pregava il Padre di far deviare da Lui. Vidi nel momento della compassione degli angeli, quand’essi desideravano di consolare Gesù, che, infatti, in quell’istante ricevette da loro qualche sollievo. Poi tutto disparve, e gli angeli abbandonarono il Signore, l’anima del quale stava per entrare in un nuovo ciclo di angosce. Quando il Redentore, sul monte degli Olivi, si abbandonò come un uomo vero e reale, alla tentazione della ripugnanza umana per il dolore e per la morte, quando volle provare sormontare quella ripugnanza al soffrire che fa parte d’ogni dolore, fu permesso al tentatore di fare a lui tutto ciò che fa a ogni uomo che voglia sacrificarsi ad una causa santa. Nella prima agonia, satana mostrò a Nostro Signore l’enormità del debito che doveva pagare, e spinse l’audacia fino a cercare dei difetti nelle opere del Redentore medesimo. Nella seconda agonia, Gesù misurò in tutta la sua estensione e la sua amarezza il patimento espiatorio necessario per soddisfare la Divina Giustizia, cosa questa che gli fu mostrata dagli Angeli, perché non può satana far vedere che l’espiazione è possibile: il padre della menzogna e della disperazione non può far conoscere le opere della Misericordia Divina.

Dopo che Gesù ebbe resistito vittoriosamente a tutte queste lotte mediante il suo completo abbandono alla volontà del Padre suo celeste, gli fu presentato un nuovo cerchio di visioni spaventose; il dubbio e l’inquietudine che nel cuore dell’uomo precedono il sacrificio si svegliarono nel Signore, e si rivolse questa terribile domanda: «Quale sarà il profitto di questo sacrificio?». Allora il quadro del più desolante avvenire oppresse il suo cuore amoroso. Quando Dio ebbe creato il primo Adamo, lo immerse nel sonno, gli aprì il fianco e prese una costola, colla quale fece Eva, sua sposa e madre di tutti i viventi; poi gliela condusse davanti esclamando: «Costei è carne della mia carne e ossa delle mie ossa: l’uomo lascerà padre e madre per unirsi alla sua donna, e i due formeranno una sola carne». Era questo il matrimonio, del quale sta scritto: «Questo Sacramento è grande, dico in Gesù Cristo e nella sua Chiesa». Il Cristo, nuovo Adamo, voleva anch’egli lasciar cadere il sonno sopra di sé, quello della morte di croce, e voleva lasciarsi aprire il costato affinché si potesse formare la nuova Eva, sua verginale fidanzata che è la Chiesa, madre di tutti i viventi. Voleva darle il sangue e la Redenzione, l’acqua alla purificazione e il suo spirito, tra cose che rendono testimonianza in terra; voleva darle i Santissimi Sacramenti per fare di lei una fidanzata pura, santa e senza macchia; voleva essere il suo capo, e noi dovevamo essere le sue membra sottomesse al capo, le ossa delle sue ossa, la carne della sua carne. Nel prendere la natura umana, per soffrire la morte per noi, aveva lasciato anch’Egli padre e madre e s’era unito alla sua fidanzata, la Chiesa; era divenuto una sola carne con lei, nutrendola del sacramento dell’altare, col quale si unisce anche a noi. Voleva essere in terra con la Chiesa fino a che noi fossimo tutti riuniti in lei per suo mezzo perché Egli ha detto: «Le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei». Per esercitare l’incommensurabile suo amore per peccatori, il Signore s’era fatto uomo e fratello di questi peccatori medesimi, onde prendere sopra di sé la punizione dovuta ai loro delitti. Aveva veduto con grande tristezza l’immensità di questo debito e del dolore necessario per soddisfarlo, eppure s’era abbandonato con gioia come vittima espiatoria alla volontà del Padre suo celeste; ma ora vedeva i dolori, le lotte e le ferite future della sua celeste fidanzata, che voleva riscattare a così alto prezzo: vedeva l’ingratitudine degli uomini. Davanti all’anima del Signore passarono tutele sofferenze future dei suoi Apostoli, dei suoi discepoli e degli amici; gli apparve la chiesa primitiva così poco numerosa, e che a misura che andava crescendo veniva rovinata dalle eresie e gli scismi, che rinnovavano, con l’orgoglio e la disobbedienza, la prima caduta dell’uomo. Vide la tiepidezza di un numero infinito di cristiani; la menzogna e la furberia di tutti i dottori orgogliosi, i sacrilegi di tutti i preti viziosi, le conseguenze funeste di tutti questi atti, l’abominio della desolazione nel regno di Dio, nel santuario di questa ingrata umanità che egli voleva riscattare col proprio sangue a prezzo di sofferenze indicibili.

Davanti all’anima del povero Gesù, passarono, in una serie di visoni innumerevoli, gli scandali di tutti i secoli fino ai nostri tempi, e poi fino alla fine del mondo, si succedevano tutte le forme dell’errore, della furberia, del fanatismo furioso, della caparbietà e della malizia. Tutti gli apostati, gli eresiarchi, i riformatori in apparenza di santi, i corruttori e i corrotti l’oltraggiavano e lo tormentavano come se, ai loro occhi, non fosse stato ben crocifisso o non avesse sofferto nel modo inteso e immaginato dalla loro orgogliosa presunzione, e tutti facevano a gara a lacerare la veste della sua Chiesa; ognuno lo voleva avere per Redentore in un modo diverso da quello in cui s’era dato nell’eccesso del suo cuore. Molti lo maltrattavano, lo insultavano, lo rinnegavano; molti alzavano le spalle e scuotevano la testa guardandolo, evitavano le sue mani protese verso di loro, e andavano verso l’abisso, dal quale erano inghiottiti. Altri, innumerevoli, che non osavano rinnegarlo apertamente, ma che si allontanavano con disgusto dalle piaghe della sua Chiesa, come il levita si allontanò dal poveretto che era caduto sotto i colpi degli assassini, si allontanavano dalla sua sposa ferita come i figli vili e senza fede che abbandonano la madre di notte, quando girano ladri e assassini ai quali la loro negligenza o la loro malizia ha lasciato aperta la porta ed Egli li vide impadronirsi del bottino che trasportavano nel deserto, i vasi d’oro e le collane; vide che tutti gli uomini ora sarebbero stati presto separati dalla vera vigna e messi giacere fra le viti selvatiche, come un gregge disperso, in preda ai lupi, condotti da mercenari nei cattivi pascoli, e rifiutatesi di entrare nell’ovile del buon pastore che dà la vita per le sue pecorelle”.

“Pilato – giudice vile e indeciso – aveva pronunciato più volte le insensate parole: «Non trovo colpa in lui: per questo lo faccio prima flagellare e poi lo farò mettere in libertà». E gli Ebrei, (dell’epoca ndr), dal canto loro, continuavano a gridare: «Crocifiggetelo! Crocifiggetelo!». Pilato tentò ancora di far prevalere la sua volontà e diede ordine di flagellare Gesù alla maniera dei Romani. Allora gli arcieri, sospingendo e bastonando Gesù con le loro aste, lo condussero sul fondo attraverso le onde in tumulto di un popolo in furia, fino alla condanna destinata alla flagellazione, che si trovava a nord del palazzo di Pilato, poco discosta dal corpo di guardia, davanti a uno dei portici che circondavano il foro. Sopraggiunsero subito gli esecutori, con fruste, verghe e funi, che gettarono a piè della colonna. Erano sei uomini bruni, dai capelli crespi e irti, dalla barba corta e scarsa e portavano, vestito primitivo, una cintura intorno al corpo di non so quale stoffa ordinaria che, aperta ai lato come uno scapolare, copriva solamente il petto e il dorso; avevano le braccia nude e un paio di sandali in cattivo stato completavano il loro costume. Erano costoro malfattori delle frontiere dell’Egitto, condannati ai lavoro forzati nei canali, nei pubblici edifici: i più crudeli e i più ignobili di essi compivano le funzioni di esecutori nel pretorio e avevano già più volte legato a quella colonna e flagellato a morte altri poveri condannati. Somigliavano a bestie selvagge o a demoni e sembravano per metà ebbri. Incominciarono a colpire il Salvatore a pugni, trascinarlo con le corde, benché non opponesse la minima resistenza e lo legarono brutalmente alla colonna. Questa colonna era totalmente isolata e non serviva di sostegno ad alcun edificio; non era molto alta e un uomo alto avrebbe potuto, stendendo il braccio, toccarne la parte superiore, che era arrotondata e provvista d’un anello di ferro: a metà di essa, nella parte posteriore, si trovavano ancora altri anelli e uncini. Non è possibile descrivere la barbarie di quei cani furiosi contro Gesù: gli strapparono di dosso il mantello derisorio di Erode, gettandolo a terra. Gesù tremava e rabbrividiva davanti alla colonna e, benché si reggesse appena, si affettò a togliersi da solo le vesti, con le sue povere mani gonfie e insanguinate. Mentre i carnefici lo colpivano e lo urtavano Egli pregava nel modo più commovente, volgendo per un istante lo sguardo verso la Madre sua che se ne stava, trapassata dal dolore, nell’angolo di una sala del mercato: e siccome era obbligato a togliere anche l’ultimo lino che gli cingeva i reni, Egli disse, mentre si rivolgeva verso la colonna per nascondere la sua nudità: «Distogliete gli occhi da me». Non so se pronunciasse davvero queste parole o le dicesse interiormente, ma so che Maria le intese: perché nello stesso istante, Ella cadde priva di sensi tra le braccia delle pie donne che la circondavano. Gesù abbracciò la colonna: gli arcieri gli legarono alte le mani all’anelo di ferro e gli stesero talmente le braccia, che piedi legati fortemente alla base della colonna, toccavano appena terra. Il Santo dei Santi, nella sua nudità umana, fu steso così sulla colonna dei malfattori e due di questi forsennati, assetati del suo sangue, cominciarono a flagellare il suo sacratissimo corpo da capo a piedi. Le prime verghe di cui si servirono sembravano di legno bianco durissimo: ma erano forse nervi di bue, o forti strisce di cuoio bianco. Il nostro Salvatore, Figlio di Dio vero Dio e vero Uomo, fremeva e si torceva come sotto i colpi di quei miserabili; i suoi gemiti soavi e chiari erano come preghiera affettuosa sotto il sibilo delle verghe dei carnefici e di quando in quando il grido del popolo e dei Farisei veniva, come nuvola cupa d’uragano, a coprire i gemiti suoi dolorosi e pieni di benedizione. Intanto si gridava: «Fatelo morire! Crocifiggetelo!». Poiché Pilato era ancora a disputare col popolo e quando voleva dire qualche parola in mezzo al tumulto faceva suonare una trombetta per domandare un istante di silenzio, i rumori prendevano poi subito il sopravvento; e si udivano i colpi di scudiscio, i singhiozzi di Gesù, le imprecazioni degli arcieri e i belati degli agnelli pasquali, che venivano lavati a poca distanza, nella piscina delle pecore. Quand’erano lavati, venivano portati in braccio, fino alla strada che conduce al tempio, per evitare che si sporcassero, condotti poi fuori dalla parte occidentale dove ancora venivano sottoposti a un’abluzione rituale. Questi belati avevano qualche cosa di particolarmente commovente: erano l sole voci che si univano ai gemiti del Salvatore. Il popolo ebreo sostava a qualche distanza dal luogo della flagellazione; e i soldati romani erano invece collocati in diversi posti ed erano però più fitti in prossimità del corpo di guardia. Mote persone andavano e venivano, chi silenziosamente, chi con l’insulto sulla bocca: alcuni si commossero e sembrò allora che un raggio partisse da Gesù e si posasse sopra di loro. Vidi uomini infami, quasi nudi, che allestivano verghe nuove accanto al corpo di guardia ed altri che andavano in cerca di rami con le spine. Alcuni arcieri dei Principi dei Sacerdoti s’erano avvicinati ai carnefici e avevano regalato loro del denaro. Costoro venivano anche riforniti con brocche piene di un liquido rosso, del quale bevevano fino ad ubriacarsi. Trascorso un quarto d’ora, i due carnefici che flagellavano Gesù vennero sostituiti da altri due. Il corpo del Salvatore era coperto di macchie nere, livide e rosse, da cui il sangue colava fino a terra: tremava tutto ed era scosso da movimenti convulsivi. Ingiurie e scherni si incrociavamo intorno a Lui. Quella notte era stata fredda e dal mattino fino a quel momento il cielo era stato coperto: a intervalli, cadeva un po’ di grandine, con grande meraviglia del popolo. Verso mezzodì il cielo si rasserenò e brillò il sole. La seconda coppia di carnefici si avventò contro Gesù con nuovo furore; essi erano muniti di un’altra specie di verghe, specie di bastoni spinosi con nodi e punte. I loro colpi laceravano tutto il corpo di Gesù, il sangue sprizzò a distanza irrorando anche le braccia dei flagellatori. Gesù gemeva, pregava e tremava. Intanto passavano per il foro parecchi forestieri, portati da cammelli e guardavano con spavento e tristezza il doloroso quadro, mentre il popolo dava spiegazioni. Erano viaggiatori, di cui alcuni avevano ricevuto il battesimo da Giovanni e altri avevano udito il sermone di Gesù sulla montagna”. 

“Accanto alla casa di Pilato il tumulto e le grida non cessavano. Nuovi carnefici colpirono Gesù a scudisciate, servendosi di cinghie munite all’estremità di uncini di ferro, che ad ogni colpo, strappavano interi pezzi di carne. Ah! Chi potrà mai rendere questo terribile e doloroso spettacolo? Ma la loro rabbia infernale non era ancora soddisfatta: Gesù venne slegato e nuovamente attaccato, ma questa volta con il dorso volto alla colonna; siccome non poteva più reggersi, gli passarono delle corde sul petto, sotto le braccia e sotto le ginocchia, legandogli poi anche le mani dietro la colonna. Tutto il suo corpo si contraeva dolorosamente ad era coperto di sangue e di piaghe. Allora si precipitarono sopra di Lui come cani furiosi; uno di essi aveva una verga più flessibile, con la quale gli colpiva il viso. Il Salvatore aveva il corpo ridotto tutto una piaga: Egli guardava i suoi carnefici con gli occhi pieni di sangue e sembrava implorare grazia; ma il loro furore raddoppiava e i gemiti di Lui si facevano sempre più flebili. L’orribile flagellazione durava da tre quarti d’ora, quando uno straniero d’infima classe, parente del cieco Ctesifone guarito da Gesù, si precipitò verso il retro della colonna con un coltello a forma di falce e gridò con voce indignata: «Fermatevi! Non colpite questo innocente fino a farlo morire!». I carnefici che erano ebbri, si fermarono stupiti; egli allora recise rapidamente le corde che tenevano legato Gesù e poi fuggì perdendosi tra la folla. Gesù cadde quasi privo di sensi ai piedi della colonna, sul terreno tutto bagnato dal suo sangue, e i carnefici lo abbandonarono là per andare a bere, dopo aver richiamato dei subalterni, che erano occupati, nel corpo di guardia, a intrecciare al corona di spine. E mentre Gesù, coperto di piaghe sanguinanti, si agitava convulsamente ai piedi della colonna, vidi alcune ragazze di malavita, dall’aria sfrontata, avvicinarsi a Lui tenendosi per mano, fermandosi un momento e guardarlo con disgusto. In quel momento il dolore delle sue ferite si fece più vivo, ed Egli alzò verso di loro il suo viso ferito: le ragazze allora si allontanarono mentre i soldati e gli arcieri indirizzavano loro parole indecenti.

Vidi a più riprese, durante la flagellazione, molti angeli in pianto circondare Gesù, e udii la sua preghiera per noi peccatori salir costantemente al Padre in mezzo al grandinare dei colpi che cadevano sopra di Lui. Mentre Gesù giaceva nel suo sangue a piè della colonna, vidi un angelo presentargli qualche cosa di luminoso che lo ristorò e gli fece riprender forza. Gli arcieri tornarono, e a calci e a bastonate lo fecero rialzare, perché non avevano ancora finito. Gesù si protese strisciando per riprendere la fascia che gli cingeva i fianchi, ma quei miserabili la spingevano sempre più lontana, ridendo sfacciatamente, per cui il povero Gesù doveva torcersi sul terreno nella sua sanguinosa nudità, come un verme calpestato onde raggiungere la sua cintura e servirsene per coprire i suoi laceri lombi. Quando l’ebbero rimesso in piedi, non gli diedero il tempo di rivestirsi, ma gli gettarono solo la veste sulle spalle nude, ed Egli si serviva di quella veste per detergere il sangue che gli colava dal viso, mentre, a gran passi, veniva sospinto verso il corpo di guardia, per vie traverse. Avrebbero potuto guidarlo per una strada più diretta, perché i portici e gli edifici in faccia al foro erano aperti, tanto che si poteva vedere il passaggio sotto il quale i due ladroni e Barabba stavano imprigionati, ma vollero farlo passare invece davanti al luogo ove sedevano i Principi dei Sacerdoti, i quali gridavano: «Lo si faccia! Lo si faccia morire!» volgendo il capo con disgusto. Lo condussero allora nel cortile interno del corpo di guardia. Quando vi entrò Gesù, non c’erano soldati, ma schiavi, arcieri, furfanti, e ogni rifiuto della società. Siccome il popolo era in grande agitazione, Pilato aveva fatto venire un rinforzo di guarnigione romana dalla cittadella Atonia. Queste truppe circondavano in buon ordine il corpo di guardia: potevano parlare, ridere e beffarsi di Gesù, ma era loro proibito sciogliere le file. Con questo apparato di forze Pilato intendeva tenere il popolo in pugno: saranno stati circa un migliaio di uomini. La Santa Vergine, in estasi continua durante la flagellazione del Redentore, vide e sofferse interiormente, con amore e dolore indicibili, tutto quanto doveva soffrire il Figlio suo. Spesso gemiti sommessi prorompevano dalle sue labbra; i suoi occhi erano infiammati per il gran piangere. Essa giaceva velata tra le braccia di Maria di Heli, donna in età avanzata. Le sante amiche di Maria e di Gesù erano tutte avvolte e velate, tremanti di dolore e d’angoscia, strette intorno alla Vergine ed esalanti deboli gemiti come se stessero aspettando la loro propria condanna di morte. Maria portava una lunga veste azzurra quasi quanto il cielo, coperta di un lungo mantello di lana bianca e da un velo bianco tendente al giallo. Maddalena era tutta sconvolta e addirittura annientata dal dolore e dal pianto, e i suoi capelli, sotto il velo s’erano tutti sciolti. Quando Gesù, dopo la flagellazione, era caduto a terra a piè della colonna, vidi Claudia Procla, moglie di Pilato, inviare alla Madre di Dio un pacco di grandi teli di lino. Non so più bene se essa credesse nella liberazione di Gesù e se destinasse quei teli alla fasciatura delle ferite di lui, oppure se la pietosa pagana li inviasse per lo scopo al quale vennero poi impiegati da Maria. La Santa Vergine, riacquistati i sensi, vide il Figlio suo con le carni tutte lacerate, trascinato e sospinto dagli arcieri; egli si deterse il sangue dagli occhi con un lembo del suo vestito, per poter guardare sua Madre, ed Ella stese dolorante le mani verso di Lui, guardando poi a terra le tracce sanguinose lasciate dai suoi piedi. Ma ben presto vidi Maria e Maddalena, mentre il popolo si spostava da un’altra parte, avvicinarsi al posto dove Gesù era stato flagellato: nascoste dalle altre donne, da alcune buone persone che le circondavano, si prostrarono a terra presso la colonna e asciugarono dappertutto il sangue sacratissimo di Gesù con i teli inviati da Claudia Procla. Giovanneo non si trovava in quel momento con le pie donne, che erano quel giorno in numero di venti. Il figlio di Simeone, quello di Veronica, quello di Obed, Arama Themeni, nipote di Giuseppe di Arimatea, erano occupati nel Tempio pieni di tristezza e d’angoscia. Quando finì la flagellazione erano circa le nove del mattino”.  

Ecco come viene descritto, nelle visioni, il corpo di Gesù issato sulla croce, sul Calvario: “Il suo petto era tutto straziato, le spalle, i gomiti e i polsi, tesi fino alla slogazione; il sangue delle mani gli colava lungo le braccia. Il torace s’era rialzato, scavando al di sotto una depressione profonda, l’addome era cavo e rientrato. Le coscie e le gambe erano orribilmente slogate, come le braccia: le membra, i muscoli, la pelle erano stati distesi tanto violentemente che si potevano contare tutte le ossa: il sangue sgorgava dal foro prodotto dal chiodo che perforava i suoi sacratissimi piedi e irrorava l’albero della croce; il corpo era tutto coperto di piaghe, di lividure, di macchie nere, turchine e gialle; le ferite riaperte dallo stirar delle membra colavano qui e là questo sangue, che, prima rosso vivo, divenne più tardi pallido e bianco. Eppure anche così sfigurato il corpo di Nostro Signore aveva in sé qualche cosa di tanto nobile e commovente da non potersi esprimere; sì, il Figlio di Dio, l’Amore eterno offerto in olocausto, restava bello, puro e santo in quel corpo d’Agnello Pasquale morente, spezzato sotto il peso dei peccati del genere umano. La carnagione della santa Vergine, come quella del Salvatore, era d’una bella tinta d’avorio delicatamente rosata. Le fatiche e i viaggi degli ultimi anni le avevano abbrunito le guance sotto gli occhi. Il petto di Gesù era ampio e non era villoso, come quello di Giovanni Battista. Le sue ginocchia erano forti, robuste come quelle di un uomo che aveva molto viaggiato e ‘sera molto inginocchiato a pregare, le gambe erano lunghe e i garretti nervosi, i piedi di bella forma e solidamente costruiti; sotto la pianta la pelle era divenuta callosa a motivo del costante cammino da Lui compiuto per vie scoscese; le mani erano belle, con dita lunghe e delicate e, senza essere effeminate, non assomigliavano a mani d’uomo che le avesse impiegate in lavori pesanti. Il collo era piuttosto lungo, robusto e nervoso, il capo di belle proporzioni, la fronte alta e spaziosa, il volto di un ovale purissimo e i capelli, d’un bruno dorato, separati al sommo della fronte e ricadenti sulle spalle; la barba non era lunga, ma appuntita e separata in due sotto il mento.

Ora la sua capigliatura era in parte strappata e raggrumata di sangue, il corpo era una piaga sola, il petto come spezzato, le membra dislocate, le ossa delle costole fortemente rilevate e in certi punti messe a nudo attraverso la pelle lacerata: infine il corpo s’era talmente assottigliato per la violenta tensione sopportata, che non copriva nemmeno interamente l’albero della croce. La croce, leggermente rotonda dal lato posteriore e piatta sul davanti era stata intagliata in certi punti … La Madre di Gesù, Maddalena, Maria di Cleofe e Giovanni stavano fra la Croce e Gesù e quelle dei ladroni e guardavano Gesù. La Santa Vergine, nel suo amore di Madre, pregava interiormente perché Gesù la lasciasse morire con Lui. Allora il Salvatore la guardò con tenerezza ineffabile… Giovanni abbracciò rispettosamente, sotto la Croce del Redentore morente, la Madre di Gesù diventata ormai anche sua; la Santa Vergine fu talmente accasciata di dolore a queste ultimi disposizioni del Figlio che cadde priva di sensi tra le braccia delle pie donne che la portarono a qualche distanza e la fecero sedere un momento sul terrapieno in faccia alla Croce … Egli conquistò per noi i meriti della perseveranza nella lotta suprema del distacco assoluto; allora Egli offerse per noi la sua miseria, la sua povertà, le sue sofferenze, il suo abbandono, in modo che l’uomo unito a Gesù in seno alla Chiesa, non deve mai disperare nell’ora suprema, quanto tutto si oscura e scompare ogni luce e ogni consolazione. Noi non dobbiamo più allora discendere soli e senza protezione in questo deserto della vita interiore: Gesù ha gettato in quell’abisso di desolazione il suo proprio abbandono interno ed esteriore sulla croce e così non ha lasciato isolati i cristiani nell’abbandono della morte, nella mancanza di ogni consolazione. Verso le tre Egli gridò ad alta voce: “Eli, Eli, lamma sabachtani!”, che significa, “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato”! In quel momento il Signore pronunziò le sue ultime parole e morì, lanciando un altro grido che penetrò il cielo, la terra e sotto terra. Tutto era ormai compiuto.
 

 

Film: «Le visioni della Passione di Gesù avute da Santa Anna Catherine Emmerick che hanno ispirato il Film di Mel Gibson» di Giancarlo Padula, 19 febbraio 2004

 

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