The Passion of the Christ, di Mel Gibson |
Il potere e la gloria de ‘La
Passione di Cristo’ di Gibson |
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di
Robert Moynihan ROMA, 15 febbraio 2004. Ieri, a mezzogiorno circa, ho ricevuto una telefonata dalla mia collega Delia Gallagher: "Oggi pomeriggio a Cinecittà proiettano il film di Mel Gibson, siamo stati invitati". Abbiamo preso la metro da Ottaviano, vicino al Vaticano, fino a Cinecittà, la Hollywood di Roma: una linea diretta, senza cambi. Aspettando di fronte all’entrata, abbiamo comprato un panino e qualcosa di dolce a un chiosco. Soffiava un vento freddo di febbraio. Dalla metro è uscito Padre Thomas Williams, sacerdote americano e professore di teologia al seminario dei Legionari di Cristo di Roma, in compagnia di due altri americani in talare. Ci siamo salutati e insieme ci siamo incamminati per Cinecittà. Vittorio Messori, forse il più eminente giornalista cattolico italiano, era lì anche lui per vedere il film e scrivere un pezzo per il principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera. C’era padre Augustine Di Noia, funzionario americano del più importante ufficio dottrinale del Vaticano, la Congregazione per la Dottrina della fede. E c’era anche la moglie di Giuda…la moglie dell’attore italiano che nel film fa la parte di Giuda. Eravamo più o meno 12 in tutta la sala. "Il film è arrivato stamattina dall’America", ha detto padre Williams. "Questa è la prima proiezione in Italia dell’edizione definitiva, e una delle prime nel mondo. Adesso è su pellicola, non in digitale. Quello che vedremo è il film che uscirà in America tra 10 giorni". Si sono spente le luci. Il film è cominciato. ----- Ho pianto. Ho pianto per l’implacabile inevitabilità della sofferenza e della morte di Gesù Cristo, per la distruzione del suo corpo che sì, è presentato come tempio di Dio, ma mi ha ricordato il mio, di corpo, i corpi dei miei figli (quante volte ho medicato le loro piccole, o non così piccole, ferite!), i corpi dei soldati e dei civili saltati in aria in Iraq… e in Israele…i corpi dei milioni che, nel secolo scorso, hanno sofferto e sono morti nei campi di concentramento… ----- E’ un film violento. Così violento che volevo andarmene via. Così violento che volevo dire "Mel, sei andato troppo oltre…" Ma è un mondo violento. Un mondo violento, in cui la dignità degli esseri umani è violata e calpestata in un modo che tutti noi vediamo, e a cui molti di noi si sono ormai abituati, sebbene non dovremmo… L’impressione più schiacciante che ho tratto dal film di Gibson è quella della brutalità senza senso dell’uomo contro l’uomo. Verso questo uomo. Verso questo falegname di Nazaret, questo Gesù. Verso tutti gli uomini. Questo film è una descrizione brutale di un comportamento brutale: chiede a noi tutti – cristiani, ebrei, musulmani, atei, tutti – di cessare un simile comportamento, perché è crudele, perché è senza cuore, perché è contro la volontà di Dio non avere cuore… In questo senso, il film non è e non può essere antisemita. ----- Nel film non c’è alcun sottotitolo in cui il sommo sacerdote giudeo, Caifa, o qualcun altro, dica la frase "Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli". ----- Maria. Maria, la madre di Gesù, è splendida. E’ il suo dolore che mi ha fatto piangere. Mi ha ricordato mia moglie che veglia sui nostri figli. Mi ha ricordato tutte le madri che si vedono i figli sfuggire dalle mani e finire nelle mani del mondo, nelle mani degli uomini. Il suo volto è iconico, quasi senza espressione. Il suo volto è il più espressivo che abbia mai visto. Fissa la macchina da presa, fissa i nostri occhi e il suo dolore per suo figlio ci riempie di dolore. Ma c’è qualcos’altro. Lei è…non serena, serenità sarebbe una parole troppo forte. Lei è…non una che ‘accetta’, non propriamente una che ‘accetta’, non sta ‘accettando’ le percosse brutali e la crocifissione di suo figlio. Lei vi sta prendendo parte, le sta condividendo, le sta sopportando con lui. Forse è il termine migliore: sta sopportando insieme a Gesù, suo figlio, ogni colpo, ogni umiliazione. E’ straordinario a vedersi, forse la cosa più straordinaria del film. ----- Il diavolo. Appare una faccia. Che cos’è? Non lo sappiamo. Sembra una persona, un personaggio senza nome. Senza espressione. Aspetta…C’è il male in quell’espressione? Oppure mi sbaglio…No, non c’è espressione, non c’è vibrare degli occhi o tensione delle labbra, nessuna espressione in assoluto. Allora non c’è il male, nulla di sinistro. E’ tutto ok. Poi, all’improvviso…in mezzo alla nebbia del giardino del Getsemani questa faccia ossessiva e ossessionata comincia a tentare Gesù, e così ci accorgiamo che E’ il diavolo. Un riconoscimento che è un brivido. Il diavolo non ha corna, ma è orribile. Non azioni…ma è la forza motrice del puro male dietro a ogni atto di crudeltà a rovesciarsi sullo schermo, fin dentro alle nostre facce. Una grande interpretazione. ----- Durante la lotta nel giardino per arrestarlo, Gesù viene colpito a un occhio. Da quel momento sino alla fine del film – eccetto che nei flashback – uno dei suoi occhi è nero e chiuso. Ho odiato questa cosa. Avrei voluto vedere di più il suo volto, tutti e due i suoi occhi. Penso "Vorrei che Mel avesse aspettato fino a metà del film per colpire l’occhio di Gesù". E poi penso "Che cosa folle a desiderarsi…" ----- In questa versione finale del film, sono stati aggiunti un paio di flashback che nelle versioni precedenti non c’erano. Ben fatto. Avrei voluto più flashback. Durante la flagellazione, aspettavo un flashback, qualcosa che ci riportasse a un tempo in cui le cose andavano bene, quando Gesù viveva con i suoi genitori, o quando pregava. Ma Mel ha deciso di concederci solamente un paio di brevi lampi di quei tempi felici. E uno di questi momenti, in cui Gesù spruzza acqua addosso a sua madre e poi le dà un bacio, è il momento più felice del film. ----- La musica. In alcune delle prime versioni, la musica era totalmente assente. In alcune, la colonna sonora era ancora provvisoria. In questa versione finale è potente, a volte ipnotica, martellante. L’intrecciarsi delle parti corali e di quelle strumentali è talora maestoso. Una volta avrei voluto chiudermi le orecchie: quando Gesù cade sulla Via Dolorosa e le frustate dei soldati lo sferzano e la musica diventa uno staccato, come una mitragliatrice, come le scimmie che sbattono le noci di cocco sui tronchi degli alberi nella giungla…avrei voluto che tutto smettesse… ----- Le lingue. L’uso del latino – sì, sono riuscito a capire il dialogo in latino, o almeno un po’ – e dell’aramaico distingue questo film da tutti i film precedenti su Gesù. Ho pensato che andava bene. Infatti, la cosa ha cominciato a sembrarmi così naturale che parevano essersi condensati 2000 anni: la Gerusalemme del tempo di Cristo cominciava a sembrare un po’ come la Roma di oggi, o New York, o Mosca. Non mi sembrava così lontana. Si diceva che chi parla arabo e ebraico dovrebbe riuscire a seguire un po’ del dialogo in aramaico (anzi, alcuni pensano che il film potrebbe avere un impatto inaspettato sugli Ebrei e sui Musulmani proprio per questo motivo); io non ci sono riuscito. Ma ho pensato che è stata un’idea brillante. Altri potranno trovare errori nella pronunzia o nel vocabolario, ma per me è stato convincente e forte. E’ una scelta che Gibson ha fatto e a cui è rimasto fedele contro ogni sorta di critica ("il film sarà un fiasco se lo fai in latino e in aramaico: sei pazzo?") Penso che abbia fatto bene: è uno degli aspetti più straordinari e potenti di questo film. ----- Prima dell’inizio del film il produttore italiano, anche lui presente alla nostra visione, ha detto che pur essendo cattolico non aveva mai realmente capito la Messa cattolica finché non aveva visto questo film. Senza dubbio, in questo film c’è una dimensione ‘eucaristica’, che lo rende più profondamente ‘religioso’, o cristiano – ma anche ebraico, come spiegherò tra un attimo – rispetto ad ogni altro film sulla passione di Cristo. Gibson realizza questo collocando il momento della crocifissione, in cui il corpo di Gesù è definitivamente spezzato, accanto a un flashback in cui egli spezza il pane nell’Ultima Cena, che fu un seder di Pasqua*. Il significato è chiaro: il pane spezzato nel pasto di Pasqua, di cui Gesù disse "è il mio corpo", è il corpo che viene crocifisso. Si tratta naturalmente dell’atto centrale di ogni Messa cattolica: l’Ultima Cena viene commemorata e la morte di Cristo sulla croce viene ‘misticamente’ (cioè veramente, ma non in un modo fisico visibile a noi qui ed ora) richiamata e ripetuta. La teologia a riguardo è ovviamente materia di disputa, soprattutto tra protestanti e cattolici, ma anche tra cattolici tradizionalisti e progressisti. Gibson, a mio modo di vedere, ha espresso nel film la teologia della sua fede, che è quella cattolica tradizionale: ciò che è accaduto 2000 anni fa a Gerusalemme, nell’Ultima Cena e sulla croce, accade oggi, misticamente, nella Messa cattolica. Il film è ‘eucaristico’, una rappresentazione del sacrificio religioso che costituisce, nel credo cattolico, l’inizio di un mondo nuovo, redento dal peccato, un mondo di vita eterna. E’ in tal senso che il film è anche molto ebraico: affermazione che suonerà sorprendente per chi ha seguito le polemiche su questo film. Il film è plasmato e pervaso dal concetto ebraico dell’espiazione sacrificale: il ‘capro sacrificale’ o ‘capro espiatorio’ era parte della pratica della religione ebraica durante il periodo dei sacrifici del Tempio. Ecco perché Gibson ha scelto di introdurre la fase finale del film con una ‘lacrima divina’, una lacrima versata da Dio. La piccola goccia d’acqua riempie lo schermo e cade a terra nel momento della morte di Gesù. Si leva un grande vento, i soldati che stanno spezzando le gambe dei due ladri (in modo che i corpi cedano e essi muoiano per soffocamento) fuggono. Poi uno trafigge Gesù al costato con la lancia, per essere sicuro che sia veramente morto, e dai suoi polmoni sgorga acqua, mista a un fiotto di sangue. Ma non gli rompe le gambe. Nel Tempio, il velo del Santo dei Santi, il santuario più interno, si squarcia. Certamente qui c’è una polemica con l’Ebraismo, o con una forma o uno stadio di Ebraismo, che alcuni potrebbero considerare come l’unica forma. Ma non c’è ‘antisemitismo’. I teologi e i semplici credenti dovranno affrontare il rapporto tra Gesù – che è integralmente ebreo e circondato da seguaci ebrei – e l’Ebraismo, ma non si fa questione di rinnegare la tradizione autenticamente ebraica che ha prodotto Gesù. Essa è il terreno da cui nasce Gesù (e anche questo film). ----- La resurrezione. Non mi piace raccontare il finale di un film, ma in questo caso il finale è ampiamente conosciuto. Cristo risorge. Il suo corpo risorto non è più devastato, anche se le mani portano ancora i segni dei chiodi conficcati con tanta ferocia (da Gibson stesso, fra l’altro: l’unica apparizione di Gibson nel film è nella parte dell’uomo che a corpi di martello conficca i chiodi nelle mani di Cristo). Ho letto il finale di Gibson, in cui Cristo avanza camminando, come l’inizio dei 2000 anni che sono appena trascorsi. Lo vedo dalla prospettiva cattolica: è l’inizio della Chiesa, una società umana ‘mistica’, animata da uno spirito risorto, questo Cristo che era stato crocifisso, al centro della storia, che dà significato alla storia, ma che non mette fine alla storia. E le polemiche su questo film sono parte di quella storia, che ancora si sta svolgendo. Tra pochi giorni, a meno di un cataclisma, il film sarà nelle sale e lo vedranno in milioni. E in milioni piangeranno. Ma quel pianto non si incanalerà nell’astio di uno o più gruppi: si incanalerà piuttosto in un rinnovato impegno con il messaggio centrale dell’uomo che, in questo film, è rappresentato mentre soffre: "Amatevi gli uni gli altri".
* Il seder di Pasqua è
il rito liturgico che gli Ebrei celebrano la sera in cui comincia la festa (Ndt) |
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Film: «Il potere e la gloria de ‘La Passione di Cristo’ di Gibson» Robert Moynihan, www.InsideTheVatican.com, 16 febbraio 2004 |