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di
Boffi Emanuele E Antonio Gaspari
Un film, solitamente, le polemiche le
crea dopo la visione nelle sale. A “The Passion of the Christ” di Mel Gibson
è riuscito il record di accendere il dibattito prima dell’uscita. E, fatto
ancor più inusuale, a discutere non sono stati critici cinematografici, ma
teologi e rappresentanti religiosi. Il caso acquista maggior singolarità
tenendo conto che, ad aver visto l’opera, è una ristretta cerchia di
spettatori, mentre è ormai più di un anno che negli Stati Uniti si discute
se il film sia condannabile di sentimenti antisemiti. Negli ultimi tempi è
trapelata persino la notizia che Giovanni Paolo II dopo aver visto il film
abbia commentato: «Andò proprio così». La frase è stata inserita sul sito
web ufficiale del film, finché l’arcivescovo Stanislaw Dziwisz, segretario
generale di Sua Santità, ha smentito ufficialmente. Un tourbillon preludio
di un successo senza precedenti? Le prime cifre sono le classiche da
cappotto al botteghino. Più di due milioni di biglietti già venduti, milioni
di contatti sui siti web che ne riportano le immagini. L’uscita della
pellicola, programmata negli Stati Uniti per il 25 febbraio (ma giornalisti
e addetti ai lavori americani lo hanno già visto in anteprima lunedì 9
febbraio), il Mercoledì delle Ceneri del calendario liturgico, è già stata
venduta in 2mila sale cinematografiche americane. In Italia arriverà in 150
sale di proiezione il 7 di aprile.
Il film, girato in Italia tra i Sassi di Matera e Cinecittà, è un ritratto
vivido delle ultime dodici ore di vita di Cristo basato sui racconti del
Vangelo. James Caviezel interpreta Gesù, Maia Morgenstern indossa le vesti
di Maria e Hristo Naumov Shopov quelle di Ponzio Pilato. Tra gli italiani,
Monica Bellucci è la Maddalena, Rosalinda Celentano è Satana, Sergio Rubini
è Disma il buon ladrone, Claudia Gerini la moglie di Pilato e Mattia Sbragia
il sacerdote Caifa. Mel Gibson del film è regista, sceneggiatore (con
Benedict Fitzgerald) e produttore: la Icon, casa di produzione di “The
Passion”, è di sua proprietà. La distribuzione è affidata alla Newmarket.
Già a settembre 2002 Gibson era riuscito a sorprendere dichiarando, durante
la conferenza stampa di presentazione di essersi accollato tutte le spese
(25 milioni di dollari) e di essere intenzionato a non aggiungere i
sottotitoli ad un film dove gli attori recitano in aramaico e latino. Poi ha
cambiato idea.
CHI HA PAURA DI MEL GIBSON?
Tuttavia già in precedenza c’erano state avvisaglie delle future polemiche.
Il Times di Londra aveva insinuato il dubbio che l’opera non sarebbe stata
ben vista dal Vaticano e dagli ambienti religiosi ebraici. “La passione di
Cristo” è infatti questione delicata nei rapporti fra le due religioni, e
non solo per il tema, ma soprattutto per la biografia da “cattolico
estremista” della star australiana. Sesto di undici figli, Mel va a messa
ogni mattina e segue il rito di San Pio Decimo. È molto attento alla
famiglia e da tempo lotta contro l’aborto. Il padre, Hutton Gibson, è
sedevacantista, tradizionalista cattolico che considera illegittimo
l’attuale Pontefice in quanto eletto dopo il Concilio Vaticano II.
Voci di questo genere sono state riprese nel ritratto dedicato dal New York
Times Magazine al regista nel marzo 2003 (“Ma il Papa è cattolico
abbastanza?”). Allarmato dalle indiscrezioni, Abraham Foxman, direttore
dell’Anti-Defamation League (Adl), organizzazione americana che lotta contro
l’antisemitismo, ha dichiarato che «se questo film uscisse nella forma
attuale, fomenterebbe l’antisemitismo». Nel maggio scorso, The New Republic
ha pubblicato il resoconto di un “gruppo di studio interreligioso” che, su
spinta dell’Adl e della Conferenza dei vescovi cattolici, ha analizzato il
copione dell’opera. Nel documento si legge che il film «promuoverà
sentimenti antisemiti». In seguito anche il quotidiano Christian Science
Monitor ha rilevato che il film sposa la tesi «dell’ebreo ammazza-Cristo che
giustifica moralmente e teologicamente la persecuzione degli ebrei». Tre
mesi dopo, in agosto, il rabbino Marvin Hier, rettore del Centro Simon
Wiesenthal di Los Angeles, ha chiesto a Gibson di «trovare un modo per
risolvere la controversia».
All’interno della stessa comunità ebraica statunitense però il giudizio
sull’opera di Gibson sembra essere tutt’altro che unanime. Il critico
Michael Medved sostiene che «questo è il più bell’adattamento hollywoodiano
di una storia biblica». E il giornalista ebreo David Klinghoffer, in un
articolo apparso sul Los Angeles Times il 1° gennaio scorso, è arrivato
addirittura a scrivere che «l’accusa di antisemitismo lanciata a Mel Gibson
e al suo film “La Passione di Cristo” è assolutamente infondata. E, anzi, la
ricostruzione fatta degli ultimi istanti di vita di Gesù concorda sia con il
Vangelo che con il Talmud. (…) Se Gibson è antisemita, allora lo sono anche
il Talmud e Maimonide, il più grande saggio ebreo dell’ultimo millennio».
Una scossa di terremoto ha fatto tremare anche l’Adl, dove il rabbino Eugene
Korn si è dimesso in polemica con il direttore Foxman. Secondo Korn la
campagna contro il film non avrebbe fatto altro che «il gioco di Gibson, e
sono milioni di dollari di pubblicità gratis». In effetti la sola messa in
rete del trailer cinematografico ha fatto registrare al sito ufficiale del
film un boom di contatti: in un solo giorno 350mila visite (85 milioni dal
16 dicembre 2003 al 31 gennaio).
MEGLIO DI QUALSIASI OMELIA
In difesa di Gibson si sono schierati inoltre alcuni esponenti della destra
religiosa americana.
Come James Hirsen che su NewsMax.com ha screditato lo “studio
interconfessionale” di The New Republic, rivelando che la copia dello script
su cui è basato in realtà era solo una bozza e che era stata sottratta di
nascosto. Su posizioni più articolate si è mosso su The Weekly Standard il
teologo conservatore Michael Novack che ha potuto assistere a una proiezione
privata del film e lo ha scagionato dalle accuse spiegando che “la colpa”
dell’uccisione di Cristo ricade sull’uomo in quanto peccatore, e non in
quanto di nascita ebraica.
Apprezzamenti sono arrivati dallo scrittore David Horowitz («è una visione
artistica e così va giudicata, e non è antisemita») e dal protestante
evangelico Mark Landsbaum che, anzi, ha criticato Gibson per essere stato
“troppo morbido” nella rappresentazione.
Entusiasti si sono dichiarati Jack Valenti, presidente della Motion Picture
Association of America, il cardinale Dario Castrillon Hoyos,
prefettovaticano per la Congre-gazione del Clero, e Augustine Di Noia, per
20 anni teologo per la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti e attuale
sottosegretario alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Castrillon Hoyos ha spiegato in un’intervista al quotidiano La Stampa di
Torino: «È un film che conduce lo spettatore alla preghiera ed alla
riflessione, ad una contemplazione profondamente sentita. (…) Come ho detto
a Gibson dopo la proiezione, cambierei volentieri alcune delle mie omelie
sul tema della passione di Cristo con un numero anche ridotto di scene del
suo film. (…) Questo film è un trionfo d’arte e di fede. Sarà un mezzo per
far comprendere la persona ed il messaggio di Cristo. Credo che cambierà in
meglio chiunque lo veda, sia cristiano o no». Di Noia, rispondendo
all’agenzia Zenit, ha commentato: «Chiunque veda questo film, credente o non
credente, sarà costretto a confrontarsi con il mistero centrale della
passione di Cristo e in definitiva con il cristianesimo stesso». Il padre
domenicano ha giudicato positivamente in particolare «la rappresentazione
dell’Ultima cena e la passione e crocifissione del film di Gibson», perché
«gli spettatori, attraverso gli occhi di Cristo, assistono alle parole:
“questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”. Il significato
sacrificale e quindi eucaristico del Calvario è raffigurato mediante questi
persistenti flashback».
Altri cristiani di diverse confessioni hanno reagito alla pellicola in
maniera estremamente positiva. Realtà della Chiesa battista, come di quella
luterana, stanno prenotando schermi e sale di proiezione dovunque negli
Stati Uniti. Più di 4.500 pastori hanno assistito alla proiezione di “The
Passion” e, alla fine, Paul Cedar della Mission America Coalition (Mac) ha
detto: «Il film offre una straordinaria occasione ai cristiani d’America per
far conoscere Gesù Cristo alle persone». Il reverendo Wayne Pederson,
Presidente della Mac, ha affermato a sua volta che il film «può essere
benissimo uno strumento per l’evangelizzazione tra i più potenti in
circolazione». Si è spinto oltre Dan Kuiper, pastore associato della
Suburban Bible Church in Highland nell’In-diana, parlando di un cambiamento
vissuto personalmente: «Dopo aver visto questo film, prendere la comunione
avrà un significato completamente differente».
E lui, Mr. Gibson, che cosa dice? In una lettera diretta ad Abraham Foxman
ha cercato di riaprire il dialogo con i “confratelli” ebrei, e all’inizio di
febbraio ha deciso di tagliare da “The Passion”, probabile campione
d’incassi 2004, la scena in cui il popolo, per convincere Ponzio Pilato a
crocifiggere Gesù e liberare Barabba, grida a una sola voce: «Il suo sangue
ricada sopra di noi e sopra i nostri figli».
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