Film

The Passion of the Christ, di Mel Gibson

Il film di Gibson: The Passion of the Christ

Ritratto di  Mel Gibson
 

 

Le ultime 12 ore di Cristo, dall’Orto degli ulivi al Crocifisso sul Golgota. “Le ore più difficili e importanti, in cui spero venga fuori tutta l’umanità di questa storia, oltre che la religiosità”, come spiega Mel Gibson. L’attore e regista americano d’origini australiane, Oscar per la regia per “Braveheart” ha girato diverse scene di The Passion of Christ, tra Matera e Cinecittà. “Offrirà una visione molto realistica degli eventi”, ha spiegato Gibson, “per questo giriamo in latino e aramaico e, se mi riuscirà non ci saranno sottotitoli. Il copione esplora le possibilità al di fuori del testo rigido dei Vangeli, The Passion, punterà più su una versione storica che religiosa. In fondo sono anche le ultime 12 ore di un condannato a morte”. Il riferimento è “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini più che il “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli. “Molte persone hanno raccontato questa storia, ma nessuna mi ha emozionato – spiega Gibson – erano tutte poco credibili, poco accurate. Pasolini mi è piaciuto moltissimo, il suo è un film crudo”. Quello che il regista e attore vuole fare è colpire lo spettatore: “Non sto cercando un nuovo Messia, ma voglio che nessuno esca dal cinema dopo aver visto il film così come è entrato”. L’idea di portare le ultime ore di Cristo sullo schermo ’frullava’ nella testa di Gibson “da dieci anni” come dice lui stesso. “io credo in qualcosa di superiore, perché se io fossi Dio saremmo tutti nei guai”. Per realizzare questo suo sogno, Gibson ha dovuto mettere mano al portafogli: il film, ancora senza distribuzione, è interamente finanziato dalla sua Icon: “Nessuno vuole distribuire un film girato in due lingue morte – spiega – tutti pensano che sia matto, e forse lo sono. ” Questo perché “The Passion” come dice Gibson stesso in italiano, “è buono per l’anima ma non per il portafoglio”. A testimoniare l’impegno del divo hollywoodiano, il fatto che abbia trasferito in Italia parte della famiglia e iscritto i figli a scuola a Roma “per fargli imparare l’italiano”. “Qui in Italia c’è tantissimo talento – aggiunge – Non ero mai stato qui tanto a lungo da accorgermene, l’Italia è un posto meraviglioso per viverci”. “The Passion”, ha contato tra l’altro sulla scenografia di Francesco Frigeri e sui costumi di Maurizio Millenotti, a Cinecittà sono stati ricostruiti il palazzo di Pilato, il tempio di Gerusalemme, il cortile della flagellazione, parte della Via Crucis e altro ancora. Il resto è stato girato a Matera e Craco, in Basilicata. Di Matera Gibson si è innamorato studiando la natura selvaggia immortalata nel capolavoro di Pasolini. Anche la scelta del periodo di lavorazione, da novembre a gennaio, non è stata casuale. Il cineasta infatti, ha voluto girare in autunno per catturare una luce particolare tra le rocce di tufo che faranno rivivere la sua Palestina, che ha preso forma anche grazie ai produttori e artigiani locali che hanno realizzato le scenografie tra cui il monte Golgota nell’altopiano murgico materano. Per prepararsi a raccontare il suo Cristo, il regista ha tenuto diversi colloqui con preti e teologi, finalizzati a comprendere meglio l’agonia e la morte di Gesù, tema portante del kolossal. Uno scrupolo dettato da una fede profonda, la stessa che, nella sua tenuta di Malibu, ha fatto erigere alla star una cappella privata intitolata a St. Mel in cui la domenica è officiata la Messa in latino.

Devota anche la figlia ventenne Hannah, che avrebbe persino intenzione di prendere i voti e diventare suora. Ed è stata proprio la sincera religiosità ad impedire a Gibson di vestire personalmente i panni cinematografici di Cristo. “Quando ho iniziato a girarlo”, dice Gibson, “dopo aver scritto il copione sotto profonda ispirazione, mai avrei pensato che avrebbe provocato a me e tutti coloro che hanno fatto questa scelta, una sorta di Calvario. Rifiuto in blocco qualsiasi accusa di antisemitismo e nego nel modo più assoluto che nel film gli ebrei siano ritratti come i responsabili del martirio e della morte di Cristo. Tutta la mia vita, come uomo, padre di sette figli, facente parte insieme alla moglie Robin, di un gruppo cattolico nella Diocesi di Los Angeles, in viaggio di preghiera anche nelle piccole comunità e nei cenacoli di studiosi dove si cerca di salvare l’aramaico dall’estinzione, cittadino inserito ovunque in battaglie contro ogni discriminazione religiosa o razziale, è stata vissuta, nelle piccole come nelle grandi scelte, da cattolico praticante, con il Vangelo sul tavolo del mio studio.”

Un film che per molti potrà significare un incontro particolare, con un mezzo artistico come il cinema con quel Dio che “ha tanto amato il mondo da donare il Suo Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Vangelo di Giovanni, Capitolo 3, versetto 16). Un film che ha diverse valenze. Attraverso la visione delle ultime 12 ore della vita di Gesù, in una dinamica che rende estremamente vero e drammaticsissimo, quanto fortissimamente amorevole il dono del Figlio di Dio della sua vita per ciascuno di noi e per il mondo, molti potranno essere toccati e potranno avvicinarsi alla fede. Inoltre quest’opera dimostra come sia straordinariamente utile per il cristianesimo e la Nuova evangelizzazione, usare anche le forme artistiche, come ha ben sottolineato il Papa nella Lettera agli Artisti, documento numero 60 della Santa Sede. In particolare quelle che maggiormente si prestano: la musica, la teatralità, la drammatizzazione, le arti visive, la creatività in genere, come strumento per “condurre” a Cristo. L’arte diventa così originalmente una nuova entusiasmante “tecnica” di evangelizzazione, insieme a quelle che più o meno tradizionalmente erano conosciute fin’ora. “Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte”, scrive Giovanni Paolo II, nel citato Documento Numero 60. “Essa deve, infatti, rendere percepibile e anzi, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio, Deve dunque trasferire in formule significative ciò che è in se stesso ineffabile. Ora, l’arte ha una capacità tutta sua di cogliere l’uno o l’altro aspetto del messaggio traducendolo in colori, forme, suoni, che assecondano l’intuizione di chi guarda o ascolta. E questo senza privare il messaggio stesso del suo valore trascendente e del suo alone di mistero”.
 

 

Film: «The Passion of the Christ. Ritratto di Mel Gibson» luglio 2003

 

Click qui per tornare indietro a "galatro_home"