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Pietro Vernizzi
«In quel
momento Alberto imparò la lezione fondamentale della sua vita, e cioè che,
per quanto intelligenti, simpatici, arguti, loro erano soltanto loro, loro e
basta. Nessuno sa chi siano, loro, se non nel momento in cui arrivano
davvero, quando diciamo: eccoli, e ci rendiamo conto che sul loro conto
sapevamo già tutto». Nel suo ultimo romanzo, Tornavamo dal mare, Luca
Doninelli descrive con queste parole i terroristi di sinistra degli anni di
piombo. Nel libro è narrata la storia di Ester e Irene, madre e figlia, con
ambientazione nei nostri giorni, ma con continui flashback al passato della
prima delle due. La donna, ormai sulla cinquantina, nella seconda metà degli
anni Settanta è stata l’amante di Fly, nome di battaglia di un potente capo
delle Brigate rosse, che l’ha iniziata alla lotta armata. A distanza di
quasi 30 anni, Ester vive ancora in modo tragico il proprio passato, a
differenza della figlia, per la quale esso è lettera morta. Lo stile
narrativo di Doninelli varia da un registro drammatico, soprattutto quando
si raccontano i trascorsi di gioventù della madre, a uno più pacato e
leggero, utilizzato per la storia della figlia, meno caratterizzata da
sussulti esistenziali. Il libro mantiene sempre un’intensità poetica, dovuta
alla particolare profondità del linguaggio, anche nei passaggi più leggeri
dell’opera, che ne allentano in modo armonioso la tensione narrativa. «Non
pronunciare quel nome. Detto da te è solo un nome sbagliato, che non può
significare niente», esclama Ester a Irene, parlando di Fly. Ma la frase
potrebbe anche essere riferita all’intero fenomeno degli anni di piombo, di
cui Fly è simbolo. Nel romanzo, infatti, si mostra che quel periodo
rappresenta un passato dimenticato, che continua però a perdurare,
condizionando in modo negativo la società e la cultura italiane. Qualcosa,
insomma, che non riguarda solo Ester, ma anche Irene, che pure non se ne
rende conto. Come emerge da un dialogo tra madre e figlia: «“Lo sai dove sei
stata concepita, bambina mia? In un carcere, amore mio. Non ho saputo fare
meglio di così”. “È molto importante?”, replicò Irene». Intenso è anche il
personaggio di Alberto, fratello di Ester, che compie una decisione opposta,
staccandosi dal movimento studentesco che aveva partorito il terrorismo. La
scelta avviene nel momento in cui si rende conto che «loro erano soltanto
loro». Un’espressione poetica, per esprimere non solo la sensazione di
estraneità, improvvisamente scaturita in Alberto, ma soprattutto l’aridità
della lotta condotta dai contestatori. Una lotta che intendeva riformare la
società solo in virtù della forza, delle risorse umane, di coloro che la
conducevano e, dunque, destinata all’insuccesso. Tra i meriti del libro,
l’efficacia con cui è tratteggiata l’ideologia razionalista propria dei
brigatisti. Ecco come Fly istruisce Ester, prima di mandarla a compiere un
omicidio: «Dal momento che non sai quello che vedrai, devi convincerti fin
da ora che non vedrai niente. Per questo un politico da uccidere non è un
uomo con altri due uomini di scorta: è l’obiettivo tre. La scorta comprende
l’obiettivo uno e l’obiettivo due. C’è un disegno, ci sono delle sagome con
sopra dei numeri». E conclude Fly: «Il disegno è la realtà vera». Quello che
inquieta, prima ancora della violenza, è il prevalere del progetto rispetto
alla realtà. La realtà, tuttavia, torna testardamente a farsi sentire, sotto
forma di imprevisto.
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