Dio
e la
guerra

Santo deragliamento
(ovvero: cos’è il Natale)


Il senso religioso, le religioni, l’idolo e la violenza. L’annuncio che Dio si prende a cuore il nostro destino, facendosi uomo. Questo è il Natale cristiano. Il migliore antidoto contro il virus fondamentalista (religioso o laico che sia) e contro il nichilismo. In questo momento drammatico, la testimonianza del Papa

di Lucio Brunelli 
Vaticanista Tg2

 «Se la soluzione del conflitto in Terrasanta fosse affidata ai leader religiosi piuttosto che ai capi politici, sarebbe ben più difficile venirne a capo». Questa affermazione di un ministro israeliano, Yosif Beilin, uno dei negoziatori degli accordi di Oslo, alcuni anni fa scandalizzò la platea ecumenica riunita dalla comunità di Sant’Egidio per il consueto Meeting delle religioni. Eppure il politico israeliano diceva una verità evidente per chiunque abbia viaggiato in Medio Oriente. È più facile un’intesa pratica tra Peres e Arafat, che una stretta di mano fra il rabbino di Gerusalemme e il gran muftì della Città Santa. E l’osservazione potrebbe essere estesa anche ai rapporti fra le Chiese cristiane. L’ateo Putin avrebbe già invitato il Papa a Mosca, se non fosse condizionato dai niet della massima autorità religiosa russa, il patriarca Alessio II.

Le religioni intese come il tentativo dell’uomo di costruire un ponte verso Dio sono una delle esperienze più nobili che accompagnano la storia della civiltà fin dai suoi albori. Ma sono anche storicamente esposte, forse più di ogni altra esperienza umana, alla tentazione della violenza. Come atteggiamento mentale, prima che fisico. La nobiltà delle religioni è nella coscienza della finitezza umana e nella nostalgia di un oltre. Nell’attesa dolorosa di un Salvatore. Ma la storia ci documenta come questa attesa raramente si mantiene nella sua purezza originaria. Non si sostiene nel tempo e allora ha bisogno di dare un volto a questo assoluto. Chi ha letto il romanzo di Chaim Potok Danny l’eletto, ricorderà le pagine straordinarie in cui è raccontato il dilemma degli ebrei americani dopo l’Olocausto, attorno al progetto di ricostruire lo Stato di Israele. A opporsi erano proprio gli ebrei ortodossi, i religiosi chassidim, per i quali i sionisti tradivano l’attesa del Messia: solo Lui, secondo le scritture, avrebbe potuto rifondare il regno di Israele. «Non possiamo attendere Dio - replicava il papà di Reuven, figura esemplare nella sua moralità -. Sei milioni dei nostri sono stati trucidati. Se una risposta esiste, dobbiamo fornirla noi stessi».

 

Presenza misericordiosa

Umanamente è difficile permanere nell’inermità dell’attesa.
La tentazione dell’idolo è parte integrante nel racconto biblico. E gli idoli creano concetti, i concetti le ideologie (religiose o politiche) e le ideologie la pretesa. La pretesa di possedere e imporre ad altri i propri “contenuti di verità”. L’islam, ma anche la “religione” cristiana, in certi periodi, hanno storicamente conosciuto il peccato dell’intolleranza verso gli “infedeli”. I cristiani non hanno paura ad ammetterlo. La Giornata del Perdono, indetta da Giovanni Paolo II nella Quaresima giubilare, nasceva da questa profonda consapevolezza, che solo la spettacolararizzazione mediatica, da una parte, e le ottusità integriste, dall’altra, hanno in parte oscurato o travisato. Ma il cristianesimo ha nella sua stessa natura l’antidoto più efficace contro il virus fondamentalista. Non ha bisogno di cercare correttivi esterni.

Scriveva il cardinale Daniélou che la vera differenza fra le religioni e l’avvenimento cristiano è questa: nel primo caso è l’uomo che si mette alla ricerca di Dio, mentre nel secondo caso è Dio che si mette alla ricerca dell’uomo. La diversità, potremmo aggiungere, è anche nel modo in cui l’Infinito si prende a cuore il destino dell’uomo. Vagiti di un bambino che soffre il freddo in una grotta, Dio che assume la nostra stessa fragile carne. Un uomo di 30 anni che avvince uno sparuto gruppo di pescatori per l’indicibile misteriosa umanità del suo sguardo, dei suoi gesti, delle sue poche parole. Mai una forzatura, mai la pretesa di un’adesione superiore alle proprie forze morali o intellettuali, anzi comprensione anticipata per chi lo rinnegherà tre volte. Una sequela tutta e solo affidata all’attrattiva di una presenza misericordiosa, a uno stupore che commuove il cuore. E un cuore in pace è la migliore garanzia umana per un approccio sano e positivo verso la realtà.

 

Per la pace nel mondo

L’integrista di ogni religione è psicologicamente un perenne insoddisfatto. Ha bisogno di vedere nemici ovunque, anche per trovare un alibi rassicurante alla sua rabbia interiore. «Pensano di amare Dio perché non amano nessuno», commentava Péguy. Parole che tornavano in mente rivedendo in tv La vita è bella di Benigni. E ripensando con tristezza alle critiche sia di parte ebraica sia di parte cattolica al film. Il desiderio umanissimo di proteggere il proprio figlio dagli orrori dell’Olocausto bollato come un atteggiamento educativo sbagliato, perché la vera educazione non dovrebbe mai nascondere nulla della realtà.

Un altro esempio: l’atteggiamento verso la crisi mondiale senza precedenti che si è aperta con le stragi terroristiche dell’11 settembre a New York e Washington. Anti-americanismo o filo-americanismo, bellicismo o pacifismo, crociatismo anti-islam o cieco irenismo. I cattolici subito stretti nella tenaglia di schemi ideologici partoriti altrove. Ti predispongono un unico binario sul quale puoi muoverti e chiamano libertà di scelta le uniche opzioni che ti lasciano: di percorrere quello stesso binario nell’una o nell’altra direzione. E tutti i capo-stazione, o più modesti grigi controllori di destra e di sinistra, che ti scrutano accigliati pronti a fischiare come inammissibile contravvenzione anche la minima domanda sulla destinazione ultima del viaggio.

E anche il Papa tirato per la tunica. Tra chi, beatamente entusiasta delle bombe americane, si aspetta da lui solo solenni benedizioni per il decollo dei B-52. E chi lo vuole fuori dalla realtà, negare a priori il diritto all’autodifesa, maledire il Grande Satana a stelle e strisce. E invece il Papa è uscito dal binario. Con le sue parole, con i suoi gesti ha ricordato a tutti che la Chiesa non è un’agenzia di moralità internazionale pronta a offrire imprimatur etici su comando. Santo deragliamento. Il Papa, in fin dei conti, ha solo pregato e chiesto di pregare. Per le vittime delle Torri Gemelle e per le vittime dei bombardamenti; perché il Signore tocchi il cuore dei terroristi e al mondo siano risparmiate altre inique stragi; perché sia fermata la violenza cattiva, che ha profanato anche i luoghi santi di Betlemme; perché la guerra in Afghanistan non si trasformi in un conflitto fra le religioni; per la pace nel mondo. Ha chiesto di pregare per queste sacrosante intenzioni riscoprendo il Santo Rosario: la pratica devozionale che più di ogni altra ha nutrito la fede dei nostri nonni e ne cementava anche l’unità familiare (sia permesso dirlo), più di tante insoddisfatte prediche odierne.

Una testimonianza di grande verità e indipendenza, quella venuta dalla Sede apostolica di Roma. Proprio perché il Vescovo di Roma non ha accettato il ricatto della politica e ha umilmente scelto come unico interlocutore il Signore nella semplicità della tradizione, con lo sguardo all’umanità concreta coinvolta nei tragici eventi degli ultimi mesi. Anche questo è un dono di Dio alla Chiesa, per nulla scontato. E così è più facile per tutti, anche per chi si sente ed è realmente più peccatore degli altri, essere lieto di appartenere all’umanissimo e mistico Corpo di Cristo.

di Lucio Brunelli
Tracce, n° 11, dicembre 2001