|
di
Monsignor Angelo
Bagnasco
Venerati e cari confratelli!
1. Muovo oggi, insieme a voi, i primi passi nel nuovo incarico che il Santo
Padre ha voluto inaspettatamente affidarmi: una responsabilità grande che
condivido con questo Consiglio permanente, nel quale faccio oggi – per così
dire – il mio secondo ingresso, chiedendo a Voi la benevolenza di
accogliermi con la preghiera e l’amicizia. Come ho già avuto modo di dire il
7 marzo, «quando il Papa chiama, si risponde», anche se il carico che viene
affidato appare, ad uno sguardo umano, sproporzionato rispetto alle
personali risorse. Il di più che manca so di doverlo chiedere al Signore, e
di poterlo chiedere anche a voi, per un’opera che è effettivamente comune.
Mi sento interpellato, per questo servizio che oggi inizia, ad una
fraternità episcopale che non avrà riserve, e sarà totalmente volta a
facilitare la comunione tra noi e l’intesa indispensabile al lavoro che
attende questo Consiglio. In questo contesto, rinnovo la mia profonda
riconoscenza per gli innumerevoli segni di vicinanza e d’augurio che i
confratelli mi hanno inviato, commosso e grato anche a tantissimi sacerdoti
e laici che da ogni parte mi hanno espresso fraternità e assicurato
preghiera.
2. Il tempo liturgico che stiamo vivendo mirabilmente ci aiuta a
sintonizzarci sulle esigenze di quella perenne conversione che a noi Vescovi
è richiesta più e prima ancora che agli altri nostri fratelli. «Con più
partecipazione – è l’invito del Pontefice, nel suo messaggio per la
Quaresima – volgiamo pertanto il nostro sguardo, in questo tempo di
penitenza e di preghiera, a Cristo crocifisso che, morendo sul Calvario, ci
ha rivelato pienamente l’amore di Dio». Qui è l’esperienza fontale della
nostra fede, questo è ciò che anzitutto noi vogliamo annunciare ai fratelli.
Il Papa e la Cei
3.La mia nomina da parte del Santo Padre, se per un verso sollecita il
sentimento della mia vivissima, intima gratitudine per il gesto di totale
benevolenza che egli ha avuto per me, per l’altro verso non può non
segnalare il particolare legame che unisce la nostra Conferenza con il
Successore di Pietro, vescovo di Roma e primate d’Italia. Lo statuto della
Cei registra in termini giuridici – parlando di «speciale sintonia»
(Preambolo, n. 3) – una realtà che è assai profonda, e sentita anche dal
nostro popolo: quella appunto di un attaccamento singolare che unisce le
nostre Chiese al Papa. La Provvidenza ha disposto che fossimo i testimoni
ravvicinati, e dunque in qualche modo privilegiati, della missione
pontificale; che avessimo da godere di una premura assidua e di un magistero
particolarmente sollecito proprio nei nostri confronti. È questo forse che
spiega l’accorrere inesausto della nostra gente alla sede di Pietro, un
affetto così esplicito che non mancò a suo tempo di colpire Giovanni Paolo
II (cfr. per tutti gli altri, Discorso all’episcopato italiano del 13 maggio
1993) come oggi colpisce Benedetto XVI. Ed egli non manca di annotarlo (cfr.
le parole pronunciate durante l’Udienza generale del 1 giugno 2005). Mentre
eleviamo a Dio il ringraziamento più fervido per la genuinità che resiste
nel nostro popolo, ci sentiamo impegnati a mantenere vivo e a sviluppare
sempre di più il senso della fede che, nonostante difficoltà e fatiche,
porta a quel Gesù storico che chiamò a sé gli apostoli per inviarli poi a
tutte le genti (cfr. Mt 28,19; Mc 16,15-16; Gv 20,21). E chiamò Pietro per
farlo pescatore di uomini (cfr. Lc 5,10; Mc 1,16-17).
Sappiamo peraltro che non c’è dono ricevuto che non obblighi ad un impegno
commisurato. Questa caratteristica "petrina", che sempre connota la fede
cattolica e che dà una vivacità speciale alla fede della nostra gente, ci
impegna ad una testimonianza missionaria davvero plenaria, a cominciare
dalla vita quotidiana delle nostre parrocchie.
4. Sono in pieno svolgimento le visite ad limina dei vescovi italiani. Noi
stessi e le nostre Conferenze episcopali regionali o siamo già venuti a Roma
o stiamo per recarci. Alla co nclusione, com’è noto, e proprio in occasione
dell’Assemblea generale di maggio, il Santo Padre suggellerà il nostro
pellegrinaggio con un discorso che abbraccerà l’insieme delle situazioni da
noi Vescovi presentate e ci donerà gli indirizzi attesi. Intanto, possiamo
confidarci la consolazione che sono gli incontri personali col Santo Padre,
il suo ascolto e la sua premura per ciascun vescovo e ciascuna Chiesa. La
delicatezza che egli offre ai suoi interlocutori è per noi una vera scuola.
Le parole che egli pronuncia ai gruppi regionali di vescovi presenti alle
udienze del mercoledì sono un condensato di sapienza che illumina i nostri
passi. Il Papa ci è particolarmente vicino, e noi siamo con lui una sola
voce e un solo cuore.
La Cei, struttura di servizio
5. Mi pare importante soffermarmi, anche solo brevemente, sulla Conferenza
episcopale italiana quale essa è, «segno autentico e autorevole di comunione
delle Chiese particolari che sono in Italia» (Statuto, Preambolo, n. 3). Noi
non ci discosteremo da ciò che lo Statuto dice e richiede. Per quanto mi
riguarda sono (anch’io, come il cardinale Ruini) intimamente convinto che il
presidente, il segretario generale e l’organizzazione centrale della Cei
operano tanto più utilmente ed efficacemente quanto più si attengono alla
definizione che di questi ruoli è stata data nello Statuto stesso, senza mai
eccedere o abbondare rispetto a quella "struttura di servizio" che è stata
preziosamente delineata. Il tutto nella logica e nello spirito della
comunione e nella precisa consapevolezza della responsabilità inalienabile e
dell’autorità propria di ciascun vescovo per la Chiesa che gli è affidata.
6. Per quanto riguarda l’articolata struttura dei nostri organismi centrali
– ai quali esprimo la mia personale gratitudine e stima – oggi possiamo dire
che la fase dello sviluppo può ritenersi sostanzialmente compiuta: quella
organizzativa, incentrata sulle esigenze eminentemente pastorali oltre che
sugli adempimenti pre visti dagli Accordi di revisione del Concordato, e
l’altra più connessa alla necessità di una presenza pubblica della Chiesa,
la quale non può non avere una sua adeguata dimensione nazionale, ruolo che
in via principale, anche se certamente non esclusiva, può essere esercitato
più efficacemente dal Corpo episcopale. Ebbene, il rispetto rigoroso della
funzione dei vescovi nelle proprie diocesi, l’esercizio effettivo della
responsabilità collegiale nelle scelte che afferiscono al cammino della
Conferenza nazionale, la sua articolazione interna e la valorizzazione delle
nostre Conferenze episcopali regionali, sono principi e orientamenti che
richiedono anche in questa stagione una costante attenzione e una concreta
volontà.
7. Desidero annotare come tra i temi più insistentemente raccomandati dalla
Santa Sede alle Conferenze episcopali ci sia quello dei rapporti con
l’autorità civile. Non è un caso che il motu proprio di Giovanni Paolo II
Apostolos suos (21 maggio 1998), nel rilevare che se «è difficile
circoscrivere entro un elenco esauriente» i temi che richiedono la
cooperazione attraverso le Conferenze episcopali, non si esime tuttavia dal
menzionare una serie precisa di questi temi: «la promozione e la tutela
della fede e dei costumi, la traduzione dei libri liturgici, la promozione e
la formazione delle vocazioni sacerdotali, la messa a punto dei sussidi per
la catechesi, la promozione e la tutela delle università cattoliche e di
altre istituzioni educative, l’impegno ecumenico, i rapporti con le autorità
civili, la difesa della vita umana, della pace, dei diritti umani, anche
perché vengano tutelati dalla legislazione civile, la promozione della
giustizia sociale, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale» (n. 15).
È interessante osservare che, suggerendo anche «di evitare la
burocratizzazione degli uffici e delle commissioni» (n. 18), il documento
pontificio raccomanda alle Conferenze episcopali non piccole attenzioni
pastorali. Tutte indicazioni prezio se, che sono criteri per continuare con
fiducia e decisione a camminare nel segno della pastoralità, della
flessibilità e dell’essenzialità.
8. In questo contesto desidero doverosamente considerare – insieme a voi –
il lavoro compiuto dai singoli presidenti che si sono succeduti nell’ancor
breve arco di vita della nostra Conferenza: dal cardinale Giuseppe Siri, al
cardinale Giovanni Urbani, al cardinale Antonio Poma, al cardinale Anastasio
Alberto Ballestrero, al cardinale Ugo Poletti, fino all’ultimo e qui
presente cardinale Camillo Ruini, vicario di Sua Santità per la diocesi di
Roma. Se da una parte possiamo scorgere il filo di una consolante continuità
che lega dall’interno l’opera di questi benemeriti pastori, dall’altra non
possiamo non rilevare il balzo che, anche per oggettive condizioni storiche,
la nostra Conferenza ha compiuto durante la presidenza del cardinale Ruini.
A lui va il grazie forte, caloroso e convinto di tutti noi. In particolare,
so di dovergli una gratitudine speciale per quanto ha dato a me come ad ogni
altro confratello vescovo durante i sedici anni della sua presidenza, per
l’attenzione che da lui abbiamo sempre ricevuto, insieme alla sollecitudine
a darci con intelligenza d’amore al nostro popolo. Impossibile contenere in
poche parole il carico di lavoro e di iniziative che la Cei ha sviluppato
negli ultimi tre lustri; non ci mancheranno le occasioni in cui dovremo
farlo proprio per dare continuità all’opera svolta. Fin d’ora però chiediamo
all’amato cardinale Ruini di non farci mancare tutto il suo aiuto e tutto il
suo consiglio, e di voler tra l’altro continuare a svolgere – con la
competenza che gli è propria – quell’opera di animazione culturale che è
stato un capitolo non irrilevante di tutta la sua vita sacerdotale e di cui
il "Progetto culturale" della Cei è una espressione profetica quanto mai
qualificata.
Ci è di conferma e di stimolo quanto il Santo Padre ha dichiarato ai
partecipanti al Congresso promosso dalla Commiss ione degli episcopati della
Comunità europea lo scorso 24 marzo: «Siate presenti in modo attivo nel
dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso ormai fa parte
integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace
azione culturale».
All’inizio del mio servizio, conto sull’apporto di tutti e di ciascuno,
consapevole dei miei limiti, ma certo della fraterna e responsabile
collaborazione di questo autorevole e rappresentativo Consiglio permanente,
e serenamente conscio che tutto è e resta continuamente perfettibile.
A s.e. monsignor Giuseppe Betori rivolgo il ringraziamento di tutti e mio
personale: ben conosciamo la sua competente e generosa dedizione a servizio
della nostra Conferenza in qualità di segretario generale.
Un’intenzione profonda ci guida
9. Nel recente Convegno ecclesiale di Verona, rispetto al quale noi sentiamo
di avere una responsabilità fondamentale nel farne conoscere lo spirito e i
contenuti, è stato evidenziato con forza il valore della speranza cristiana
e della dimensione spirituale. Benedetto XVI ha parlato della speranza
cristiana con grande speranza! Cioè con quel senso di fiducia profonda e
d’amore, di simpatia e di cordialità che le folle sentono fluire dalla sua
persona e dalle sue parole, anche quando queste ricordano la misura alta e
impegnativa del Vangelo. In lui vi è lo sguardo della Chiesa verso il mondo,
si riflette lo stesso sguardo di Gesù Salvatore. In Cristo, Figlio di Dio
fatto uomo, morto e risorto per amore dell’umanità, rinnoviamo la nostra
fede di vescovi, successori degli apostoli. In Cristo è il senso della
nostra vita, il centro della storia e del cosmo. È questa la lieta notizia,
la speranza che sentiamo ardere in noi e che vogliamo annunciare agli uomini
d’oggi; è questo il messaggio che da duemila anni attraversa i secoli e
risuona per tutta la terra per offrirsi, rispettoso e appassionato, ad ogni
cuore. Il Santo Padre ci invita a tenere fermo lo sguardo sul volto di Gesù,
r icordando che «la sua risurrezione è stata come un’esplosione di luce,
un’esplosione
d’amore che scioglie le catene del peccato e della morte». Sta qui la nostra
gioia e la nostra speranza. Al di fuori di questo tutto si scolora, perde di
significato, diventa senza prospettiva: come per Pietro sulle acque
tempestose del mare nel cuore della notte, tutto diventa solo difficoltà e
tenebra.
Il forte discorso del Papa riprende e rilancia il cuore della sua prima
enciclica: infatti «la cifra di questo mistero (la Pasqua di morte e
risurrezione) è l’amore e soltanto la logica dell’amore». Anche
l’esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, che Benedetto
XVI ha appena donato alla Chiesa universale, riprende e sviluppa il tema
dell’Amore che è Dio, che si è rivelato e offerto in Gesù di Nazaret, e che
permane nel sacramento dell’altare. Come afferma il Concilio Vaticano II
«nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della
Chiesa, cioè lo stesso Cristo nostra pasqua e Pane vivo» (Presbiterorum
ordinis, n. 5). E il Papa ricorda non solo che «grazie all’Eucaristia la
Chiesa rinasce sempre di nuovo» (Sacramentum caritatis, n. 6), ma anche che
«ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede
nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo» (ibid.).
La ricchezza dottrinale, spirituale e pastorale dell’esortazione ci indica
la strada di una spiritualità e di una pastorale eucaristiche, cioè
fortemente centrate sulla divina Eucaristia che ne è fonte e culmine, nonché
sostegno sempre vivo: «prima di ogni attività e di ogni nostro programma –
diceva ancora il Papa a Verona – deve esserci l’adorazione che ci rende
davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire».
10. Nell’intervento conclusivo del Convegno di Verona, il cardinale Camillo
Ruini ha ripreso l’esortazione del Santo Padre a proposito dell’adorazione:
«Abbiamo a che fare qui con quello che è il vero "fondamentale" del nostro
essere cristiani. (…) Il mistero cristiano, vissuto nella pienezza delle sue
dimensioni di a more gratuito e sovrabbondante, (…) è infatti l’unica realtà
che possiamo davvero proporre come quel grande "sì" a cui si è riferito
anche ieri Benedetto XVI, che salva e che apre al futuro, anche all’interno
della storia. (…) Da questa assemblea sale dunque un’umile preghiera, che
implica anche un sincero proposito, affinché il primato di Dio sia il più
possibile "visibile" e "palpabile" nell’esistenza concreta e quotidiana
delle nostre persone e delle nostre comunità». Cari confratelli, è questa la
missione della Chiesa, lo scopo del suo esserci e il suo unico desiderio:
l’annuncio della speranza che è Cristo. Egli, infatti, «rivelando il mistero
del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa
nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes, n. 22). Per questo la
fede è gioia e la vita cristiana, proprio perché alta ed esigente, è gioia.
Generare le persone alla vera gioia, esprime in modo eminente la maternità
della Chiesa.
11. La Chiesa è "madre" perché genera gli uomini alla vita della grazia,
all’amicizia con Dio attraverso la Parola e i Sacramenti, segni efficaci
dell’amore e della misericordia salvifica di Cristo: è madre perché vive
accanto alla gente grazie alla dedizione ammirevole dei sacerdoti, nostri
primi e carissimi collaboratori. Essi conoscono e condividono la vita
quotidiana e concreta del popolo: gioie e dolori, successi e sconfitte,
esperienze di letizia e situazioni di dramma. Per la loro capacità di
ascolto e di comprensione, di illuminazione delle coscienze nella fedeltà al
Vangelo e al magistero della Chiesa, di vicinanza e di sostegno diretto, noi
vescovi rinnoviamo la nostra ammirata gratitudine e la stima più affettuosa,
insieme al nostro più cordiale incoraggiamento.
Proprio perché "madre", la Chiesa è anche "maestra", cioè offre la verità su
Dio e sull’uomo. Dice cose che hanno a che fare con la vita. Non si generano
gli spiriti se non nell’amore e nella verità; non si formano le coscienze se
non nel la luce del Vangelo e della tradizione viva della Chiesa. Solo la
luce risplende e illumina. La Chiesa non ha come fine se stessa, ma il bene
della persona nell’orizzonte dell’eternità e del tempo. Nel segno del
Crocifisso Risorto, essa è alleata dell’uomo.
Il magistero della Chiesa, pertanto, è servizio all’uomo che vive i vari e
complessi ambiti dell’esistenza. Questo irrinunciabile servizio viene
offerto a tutti i cattolici con grande fiducia nella forza della grazia. Ma
poiché ha a cuore l’umanità intera, la Chiesa a tutti si rivolge cosciente
del dono ricevuto per il bene di tutti, riconoscendo cioè di essere «esperta
in umanità», come disse Paolo VI davanti all’Assemblea delle Nazioni unite
(il 4 ottobre 1965). Tale esperienza non è presunzione, ma deriva – oltre
che dalla rivelazione del suo Signore e Maestro – anche dal credere alla
forza della ragione come capacità del vero, da duemila anni di storia,
nonché dall’incontro con la ricchezza di innumerevoli culture. È questo
crogiuolo che ha dato origine a quella civiltà umanistica che, nonostante
incoerenze ed errori, l’Italia e l’Europa conoscono, e che costituisce il
fondo dell’ethos del nostro popolo.
Vogliamo unirci alla voce del Santo Padre e di molti altri, che in occasione
del cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma si è levata a ricordare
le "radici cristiane" dell’Europa e ad auspicarne fermamente il pubblico
riconoscimento.
Nella affascinante e non facile missione di annunciare la gioia cristiana
con il contagio della testimonianza, con l’ascolto, in comunione con la
Chiesa, con la rispettosa chiarezza dell’annuncio di Cristo e del suo
pensiero (cfr. Gaudium et spes, n. 43) nei vari ambiti di vita e della
società, grande e indispensabile è il compito dei laici. Sempre maggiore e
formata dovrà essere la loro presenza, secondo quell’indole propria che
l’ultimo Concilio ha bene espresso (cfr. Lumen gentium, n. 31).
Come possiamo, venerati confratelli, proseguire in questa straordinar ia
avventura di comunicare la gioia del Vangelo e la piena dignità di ogni
uomo, i valori che lo costituiscono, il mistero della vita umana, la
bellezza dell’amore e della famiglia, la dura ma decisiva scuola della
libertà, la responsabilità educativa, fino all’urgenza della giustizia
sociale, della pace, di un ambiente più rispettato e accogliente?
Emergente il tema della famiglia
12. È proprio l’intenzione spirituale e pastorale che ci porta ad
evidenziare oggi il tema della famiglia. E a farlo con la serenità e la
chiarezza che sono indispensabili. Ci preme segnalare anzitutto che la
nostra attenzione verso questo fronte decisivo dell’esperienza umana non è
in alcun modo sbilanciata né tanto meno unilaterale. Il mio arrivare ora
alla guida della Cei mi induce a testimoniare la preoccupazione per nulla
politica, ma eminentemente pastorale che ha mosso ieri e muove oggi i
vescovi su questo tema fondamentale per l’individuo, per la società e il suo
futuro.
La famiglia ha bisogno oggi di tutta la premura che la Chiesa – con la sua
esperienza e la sua libertà – vi può riversare. Diremo anche noi con
Benedetto XVI: «Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi
affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non
c’interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non
hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo? Non è piuttosto il
loro – il nostro – dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella
creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine
di Dio?» (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2006).
13. Noi da sempre annunciamo e serviamo il disegno che il Redentore ha sulla
famiglia cristiana e la dinamica sacramentale che vi è connessa, e dunque
anzitutto il matrimonio elevato alla dignità di sacramento. È una
sensibilità, questa, che il Concilio Vaticano II ha reso particolarmente
acuta, tanto da stimolare il nostro episcopato a operare a più riprese delle
messe a punto dottrinali e pastorali sul tema dell’evangelizzazione del
matrimonio. Nelle settimane scorse, s.e. monsignor Giuseppe Anfossi ha
scritto su Avvenire (4 marzo 2007) un articolo dalla tesi eloquente: forse
che davvero – si chiedeva – abbiamo bisogno di dimostrare quanto si è fatto,
e si sta facendo, nelle nostre diocesi, a favore della famiglia
cristianamente intesa? Quante energie sono state impiegate, e quante
persone, tra le migliori, si sono mosse nello sforzo di rinnovare l’impegno
cristiano in ambito familiare, puntando a rinnovare la cultura stessa della
famiglia in Italia? Sappiamo bene che, anche per effetto di una
qualificazione della proposta cristiana, il numero dei matrimoni celebrati
con rito religioso va contraendosi. I nostri parroci concordano con noi nel
voler fare le cose in modo sensato, ma questo rileva la serietà complessiva
con cui la comunità cristiana si approccia alla famiglia, riconoscendo
anzitutto al matrimonio cristiano il suo primato di grazia e di
responsabilità.
14. Sappiamo tuttavia che il matrimonio sacramentale si iscrive nel disegno
primigenio del Creatore: «maschio e femmina li creò» (Gn 1,27), disegno che
noi siamo parimenti impegnati ad annunciare e servire. È come la scoperta di
una spinta vivificante che l’umanità già dall’origine porta dentro la
struttura dell’essere e che la anima nella realizzazione fondamentale
dell’esistenza umana e nella sua proiezione verso il futuro. «La legge
iscritta nella nostra natura – ha detto il Papa ad un recente congresso
internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense (il 12
febbraio 2007) – è la vera garanzia offerta a ciascuno per poter vivere
libero e rispettato nella propria dignità». Il che – continuava – «ha
applicazioni molto concrete se si fa riferimento a quell’"intima comunità di
vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi
proprie" (Gaudium et spes, n. 48). Il Concilio Vaticano II ha, al riguardo,
opportunamente ribadito che l’is tituto del matrimonio "ha stabilità per
ordinamento divino", e perciò "questo vincolo sacro, in vista del bene sia
dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio
umano" (ibid.). Nessuna legge fatta dagli uomini – concludeva il Papa – può
perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore senza che la società venga
drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento
basilare».
15. C’è, venerati confratelli, una prova più convincente circa il nostro
dovere di parlare del matrimonio come invalicabile bene dato agli uomini per
la loro felicità e per il loro futuro? Come può l’insistente parlare del
Papa e dei vescovi a questo riguardo essere interpretato come un sopruso, o
come un’invadenza di campo, o come un gesto indelicato se non spropositato?
O addirittura come una ricerca di potere temporale? Se la Chiesa cercasse il
potere, basterebbe imboccare la via facile dell’accondiscendenza. È del
tutto evidente che quando Benedetto XVI ricorda l’«unicità irripetibile»
della famiglia (cfr. Angelus del 4 febbraio 2007), lo fa perché, nonostante
la crisi profonda che essa attraversa e le molteplici sfide che essa deve
affrontare, tutti si sappia adeguatamente «difenderla», «aiutarla»,
«tutelarla» e «valorizzarla» per il bene concreto, attuale e futuro,
dell’umanità. È come se il Papa si facesse vicino a ciascuno, e quasi in un
colloquio di amicizia, gli dicesse un segreto prezioso, o la cosa più
importante di tutte. Per cui merita essere solleciti affinché le famiglie
più esposte non cedano «sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere
negativamente sui processi legislativi», come lo stesso Pontefice ha
segnalato, ricevendo in udienza i Rappresentanti pontifici in America Latina
(il 17 febbraio 2007).
16. In questa cornice si colloca ciò che è stato detto, dall’interno della
comunità ecclesiale, nel corso delle ultime settimane, in riferimento al
disegno di legge in materia di «Diritti e doveri delle persone unite in
stabi li convivenze». Personalmente posso solo dire che apprezzo quanto da
parte cattolica è stato fatto, impegnandomi ad assumerlo e a svilupparlo.
Desidero per un verso rilevare la convergente, accorata preoccupazione
espressa dai vescovi su questo disegno legislativo inaccettabile sul piano
dei principi, ma anche pericoloso sul piano sociale ed educativo. Per altro
verso, registro la preoccupazione che lo stesso provvedimento ha suscitato
in seno al nostro laicato, nelle parrocchie come nelle aggregazioni. Mai
come su questo fronte così esposto, loro intercettano ciò che il Concilio
Vaticano II dice sia a proposito del matrimonio e della famiglia (cfr.
Gaudium et spes, nn. 47-52), sia del dovere della partecipazione per una
vita civile più equilibrata e saggia (cfr. Gaudium et spes, nn. 73-76),
consci che la famiglia è un bene della società nel suo insieme, non solo dei
cristiani.
17. È noto che proprio dall’interno delle aggregazioni laicali è scaturita
l’idea di una manifestazione pubblica per il prossimo 12 maggio, che dia
ragione della speranza che è in noi su questo nevralgico bene della vita
sociale, quale è la famiglia nata dal matrimonio tra un uomo e una donna e
aperta alla generazione e dunque al domani. Si tratterà, dunque, di una
"festa della famiglia" come è successo anche in altri Paesi. Come Vescovi
non possiamo che apprezzare e incoraggiare questo dinamismo volto al bene
comune. Nello stesso tempo, è stata prospettata – com’è pure noto –
l’utilità che i vescovi dicano in questo frangente una parola meditata e
impegnativa. Nell’attuale sessione del Consiglio permanente metteremo a
punto una "Nota pastorale" che, ponendosi sulla stessa linea di ciò che
stato fatto in passato in altre cruciali evenienze, possa essere di serena,
autorevole illuminazione sulle circostanze odierne. Torna illuminante la
parola di Benedetto XVI al già citato, recente Congresso: «Appare sempre più
indispensabile che l’Europa si guardi da quell’atteggiamento pragmatico,
oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui
valori umani essenziali, come se fosse l’inevitabile accettazione di un
presunto male minore» (Roma, 24 marzo 2007).
Cari confratelli, anche su questo delicato compito a cui siamo tenuti come
pastori, chiedo il contributo della vostra sensibilità e saggezza.
Agli operatori della comunicazione sociale esprimo la mia personale
gratitudine e l’apprezzamento per il loro lavoro, chiedendo l’aiuto perché
l’opinione pubblica possa essere sempre correttamente informata sul
magistero della Chiesa nella sostanziale integralità dei suoi singoli
interventi. In questa prospettiva, mi auguro che si voglia dare la giusta
rilevanza al comunicato finale di questo Consiglio, in quanto resoconto di
un qualificato incontro collegiale della nostra Conferenza.
Sabato scorso, 24 marzo, abbiamo celebrato la XV Giornata di preghiera e di
digiuno per i missionari martirizzati in particolare nell’ultimo anno. Sono
ben 24, tre dei quali italiani: don Andrea Santoro, monsignor Bruno Baldacci,
suor Leonella Sgorbati. Il Signore Gesù ci faccia degni di questi servitori,
e dia a tutta la Chiesa di vivere alla loro scuola l’imprescindibile
vocazione missionaria.
Con questo spirito, venerati confratelli, accogliete il mio grazie più
fraterno anche per la vostra attenzione di oggi. Insieme a voi, affido a
Maria Santissima, Madre della Chiesa, il nostro servizio, le comunità
cristiane e il nostro amato Paese.
|
|