Per una parrocchia viva
Il 10 ottobre 1985 don Giussani tenne una conferenza presso la
parrocchia di San Nicola a Dergano (un popoloso quartiere di Milano),
invitato dal parroco don Bruno De Biasio in occasione della festa
patronale. Ritenendola attuale, ne proponiamo il testo come contributo
- che nasce da un’esperienza - alla riflessione iniziata dai Vescovi
italiani su natura e scopo della parrocchia |
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di Luigi Giussani (Click su [n°] per andare automaticamente alle note e poi su Torna al testo per riprendere la lettura dalla nota medesima) Premessa: il secolarismo Avete visto sull’Avvenire [1] di oggi una, anche se breve, relazione del Simposio dei Vescovi europei che si sta tenendo a Roma in questi giorni sul problema dell’ateismo e della irreligiosità che qualifica sempre di più la nostra gente. Parla dell’Europa, ma il Papa lo aveva già accennato a Loreto, quando addirittura ha parlato di «nuova evangelizzazione dell’Italia» [2]. Perciò l’espressione «tra la nostra gente» è utilizzabile, non è ingiusta. Avrete letto quello che diceva il cardinale Danneels di Bruxelles, e cioè che non vi è che un rimedio a questo dilagare del secolarismo (secolarismo non vuol dire amore al secolo o al mondo, ma vuol dire un’affermazione del mondo o del secolo a prescindere da Dio). E forse questa osservazione dovrebbe essere allargata, se noi vogliamo leggere i giornali e anche i documenti del pensiero - ecclesiastico o no - con intelligenza, perché l’affermazione del mondo e della realtà come valore, in tutto il mondo della storia umana, è cominciata con il cristianesimo. C’è una frase di san Paolo, che dal punto di vista culturale è la più rivoluzionaria di tutta la letteratura universale, ed è quando san Paolo dice: «Ogni creatura è bene» [3]. Perché ogni creatura è bene? Perché è creatura, perché l’ha fatta Dio. Perciò il “secolo”, vale a dire il mondo che vive la sua vita provvisoria nei secoli, è una realtà preziosa perché è il cammino su cui il Signore ci chiama, venendoci addirittura incontro, e dal nostro comportamento su questo cammino la nostra vita sarà giudicata. Perciò parlare di secolarismo come termine che indichi una situazione opposta alla religione, o alla religiosità vissuta, ha bisogno di chiarimenti. Non implica affatto un qualsiasi suggerimento di angelismo, di spiritualismo astratto, perché il rapporto con Dio dobbiamo giocarlo in questo mondo, dentro la realtà di questo mondo, fin nella sua capillarità quotidiana. Per questo io mi trovo, in questi ultimi anni, a citare sempre una frase del Vangelo molto opportuna, quando dice che «dovremo rendere conto anche di ogni parola detta per scherzo»[4], cioè che ha un valore davanti a Dio anche una parola detta per scherzo. Perciò la realtà, «tutta la realtà è bene», ogni creatura è bene. Perché è una frase rivoluzionaria questa, culturalmente parlando? Perché nella visione del mondo e delle cose senza Dio, anzi, senza un’idea chiara di Dio (e l’idea chiara di Dio l’ha data Gesù: «Dio nessuno l’ha visto, il Figlio Unigenito ce l’ha rivelato»[5]), senza un’idea chiara del Dio vivente, l’uomo ha sempre guardato il mondo con uno sguardo - si dice - dualistico, ha sempre guardato il mondo come fatto di cose buone e di cose cattive, di cose degne e ignobili. Mentre nella natura non ci sono cose nobili e ignobili, perché sono tutte fatte da Dio. Il nobile o l’ignobile «parte dal cuore dell’uomo»[6], osservò Gesù in una certa diatriba con i farisei. Ancora una volta, «tutto è bene». Questa mentalità dualistica, per cui ci sono delle cose che sono buone e delle cose che sono cattive e perciò le cose cattive bisogna eliminarle, questa mentalità è dell’uomo di tutti i tempi quando Dio non è il punto di vista da cui guardare tutto. Non solo nell’antichità (quando si chiamava manicheismo), ma anche nei nostri tempi, perché una qualsiasi ideologia, sia essa o no al potere, giudica certe cose buone e certe altre cose malvagie, e le malvagie bisogna toglierle di mezzo, con la violenza anche. Per questo non c’è ideologia, vale a dire concezione della vita e del mondo, che l’uomo non abbia cercato di affermare, appena ha avuto un po’ di potere, con la violenza. Così, per esempio, nella dialettica marxista il ricco è il male da togliere e il lavoratore è il bene da valorizzare. Qualsiasi versione dell’espressione umana, qualsiasi potere umano che poggi su un’interpretazione umana delle cose, ha questo dualismo. La possiamo vedere in noi questa tentazione originale - perché è proprio una conseguenza del peccato originale -, per cui ci sono delle cose che reputiamo belle e nobili e delle cose brutte, quasi che ci possano essere delle cose per loro natura cattive, delle cose nobili e delle cose ignobili: in noi c’è questa tentazione. Mentre è nell’uso che il cuore ne fa, che le cose possono diventare spunto cattivo o suggerimento buono. Dunque «tutto è bene». E quando Gesù disse: «Ti prego Padre per loro, non ti prego per il mondo»[7] - raramente in questi decenni del post-Concilio si è sentita citare questa frase di Gesù, eppure l’ha detta -, ma il mondo per cui Cristo non prega non è la realtà fatta dalle mani del Padre - vale a dire fatta dalla potenza del Suo Spirito -; il mondo per cui Lui non prega è il cuore dell’uomo che cerca di organizzare la realtà della sua vita e della vita della società a prescindere da Dio. Ecco il male: prescindere da Dio. Perché il Signore di tutto è «il Signore», è Dio, ed essendo tutte le cose Sue, alla luce dei Suoi occhi debbono essere guardate e utilizzate. La radice del male accusato, di questa scristianizzazione, di questa depressione generale del popolo dal punto di vista religioso, la radice può essere benissimo sorpresa nell’atteggiamento di noi cristiani, che abbiamo portato avanti nel post-Concilio, purtroppo, un’idea di Dio, un’immagine di Cristo, un concetto di Chiesa, una realtà di fede avulse dalla vita. Tante frasi che abbiamo sentito dire e che forse abbiamo ripetuto: «La religione non c’entra con la politica; la religione non c’entra con l’educazione; la religione non c’entra con l’industria, il commercio e il lavoro; la religione non c’entra con la scuola; la religione non c’entra con l’arte, ecc…», tutte queste frasi sono espressioni di un dualismo, di una rottura fra la fede e la vita, con le sue esigenze e i suoi bisogni. C’è una parola che indica questa concezione dell’uomo e della società, in cui la fede è rotta, separata dalle esigenze della vita: si chiama “laicismo”. Il secolarismo è la conseguenza del laicismo: laddove la fede non è stata vissuta dentro le esigenze e le urgenze della vita, allora la vita ha incominciato ad andare per suo conto, e la fede è scivolata sempre più lontano, divenendo sempre più astratta. Il secolarismo di cui sono preoccupati il Papa e i Vescovi dipende dal laicismo, da una fede non più giocata nella vita di tutti i giorni, dall’aspetto privato all’aspetto sociale, perché l’aspetto sociale determina più o meno lentamente anche l’aspetto privato. Ho voluto introdurre questa osservazione sulla parola “secolarismo”, che sui giornali e nelle relazioni è sempre citata, proprio per indicare in una certa rottura (che abbiamo subìto anche perché questa rottura tra fede ed esigenze della vita personale e sociale ci è stata tante volte tratteggiata addirittura come ideale), proprio perché è lì la causa di questa terribile situazione. Per cui sembra che l’indifferenza religiosa sia così grave che l’Avvenire oggi ha dato come titolo all’articolo «L’indifferenza religiosa peggio dell’ateismo di Stato»[8]. Perché nell’ateismo di Stato, come in Russia, il cuore dell’uomo può rinascere e nei lager (come descrive così bene Solzenicyn nei suoi romanzi, specialmente nella documentazione sui Gulag), nei campi di concentramento è iniziato il più bel risorgimento religioso dell’epoca moderna, dell’epoca contemporanea. Il cardinale Danneels dice: «Non vi è che un rimedio [di fronte al secolarismo], quello di scoprire la realtà della grazia e la onnipotenza della parola di Dio». Come si fa a riscoprire la realtà della grazia e l’onnipotenza della parola di Dio? Da qualche fatto, perché sono i fatti che rivelano la potenza della parola di Dio, la presenza della grazia. Quindi: «Puntare su quanto di nuovo sta emergendo nella Chiesa, come i movimenti ecclesiali, il risveglio di certi ordini religiosi, la fondazione di nuove famiglie religiose». Secondo: «Occorre rivalutare il ruolo della parrocchia e il collegamento tra questa e tutte le realtà ecclesiali». Solo il ritorno a questo duplice valore - la vita e la realtà dell’Istituzione -, solo il ritorno a questi valori può guarire l’Europa da un lento avvelenamento. L’istituzione: parrocchia, diocesi … Allora, nella grande occasione che voi, come popolo cristiano di questa chiesa, state celebrando,[9] queste parole del Cardinale di Bruxelles compiono il suggerimento che dobbiamo accogliere, completano ciò che dobbiamo imparare. In un suo libro intitolato La Chiesa è una Comunione, il cardinale Hamer dice: «Come mai in una Chiesa particolare - per esempio la Chiesa che c’era ad Antiochia, a Corinto, a Roma, così come la prima Chiesa, quella che c’era a Gerusalemme (la Chiesa, cioè la comunità) - come mai avevano, nella mentalità dell’Apostolo Paolo e dei primi cristiani, la stessa dignità della Chiesa universale, di tutta la Chiesa? Perché la Chiesa universale che cosa rappresenta nel mondo? La presenza di Cristo. E una Chiesa ad Antiochia cos’è? È la presenza di Cristo lì»[10]. Perciò il valore è uguale. Ma che cosa sarebbe una Chiesa in una città se non fosse, non solo profondamente legata a tutta la Chiesa, ma non si sentisse come l’emergere in quel posto, il venire a galla in quel posto di tutta la Chiesa? La Chiesa è il Corpo di Cristo, e una Chiesa particolare, una Chiesa locale fa venire a galla, rende visibile in quel posto il Corpo di Cristo. Perciò l’Eucarestia, la Parola di Dio, il perdono del peccato, poteri che Cristo ha dato alla Sua Chiesa, al Suo Corpo misterioso nel mondo, al popolo di Dio tutto intero, vivono e vengono comunicati nella Chiesa locale. E come la presenza della Chiesa universale può essere concepita laddove gli uomini vivono? Per questo è sorta, nei secoli successivi, quella che oggi chiamiamo “parrocchia”, che è l’emergere della Chiesa locale (della Chiesa attorno al Vescovo) “vicino alle case” dove l’uomo abita. Un tempo tutta la vita era vicina alle case: anche soltanto 50 o 60 anni fa la vita era cento volte più vicino alle case. Allora la vita della Chiesa, la vita del Corpo di Cristo, si svolgeva nella parrocchia, era assicurata nella parrocchia. Adesso, nella società in cui viviamo, che proporzione hanno le ore in cui stiamo a casa di fronte alle ore che passiamo altrove? Ma, anche molto più gravemente, la stessa donna che sta in casa tutto il giorno, da che parte viene quello che sente, quello che impara, quello da cui attinge suggerimenti e idee? Viene dalla radio, dalla televisione! E la sia pur vibrante parola che il sacerdote ripete e riprende alla domenica quanto sarebbe piccola, se non fosse forte della potenza della verità, ma quanto è piccola come proporzione rispetto al mondo di parole e di immagini che gremisce la casa anche per la casalinga cinquantenne o sessantenne; tanto che non si scandalizza più di cose di cui il 98% si sarebbe scandalizzato vent’anni fa! E così una concezione secolarista, una concezione della vita e del mondo in cui Dio non c’entra, penetra dappertutto, «investe [anche] le Chiese», disse il Papa in un famoso discorso sull’ateismo[11]. Perciò è astratto immaginare che ognuno possa resistere a questa mentalità solo con un lavorio della sua coscienza, con un impegno della sua intelligenza, della fede o dell’energia della sua volontà. Non siamo una razza di energumeni - vale a dire non siamo una razza neanche di santi -; siamo santi in quanto il Signore ci ha abbracciati nel Battesimo e ci ha resi membra Sue, ma la nostra terra deve conquistarla tutta, deve conquistare la terra della nostra testa e del nostro cuore. Per quanta gente, allora, la realtà di Cristo è la percezione di una conoscenza nuova delle cose secondo la fede, di un affetto nuovo secondo la carità, di una vita diversa? E per quanta gente la fabbrica, l’università, la scuola, la piazza dove si tenga un comizio, può essere lo spunto? Fortunato quel cristiano che si è sentito dire dai compagni di lavoro: «Tu sei diverso dagli altri. Come fai ad essere così?». Allora quello che una volta proveniva dall’interno della vita della parrocchia, da dentro i confini della parrocchia, può provenire dalla lontananza più grande da essa, da ambienti totalmente diversi ed ostili come impostazione. Che cos’è che importa? Che esista una realtà che si chiama “Chiesa”, un popolo che Paolo VI chiamava «realtà etnica sui generis»[12]; un popolo reale, quindi. Importa che esista una parrocchia con una chiesa più o meno bella e con funzioni precise, o che la fede si diffonda? Perché la Chiesa si diffonda occorre la chiesa, perché la fede sia sostenuta occorre la parrocchia; ma l’attore dell’evangelizzazione, il vero attore è la persona. E una persona come fa a comunicare la fede? Nella misura in cui essa è viva in lei, cioè produce in lei un modo di concepire e un modo di sentire che si differenzia e si documenta come differente; e ha anche un modo di agire - lo diciamo più timidamente, perché senza il miracolo di Dio coerenti non siamo -. Ora, il cardinale Danneels dice: bisogna rivalutare il ruolo della parrocchia, e il primo modo per rivalutarla è il collegamento fra questa e tutte le realtà ecclesiali[13]. Perché? Perché un ambito ristretto, anche se numeroso, non può essere sorgente adeguata di una posizione mentale, di una cultura che sappia opporsi a una cultura dominante che penetra non solo dalle finestre e dalle porte, ma che penetra dai muri (perché le onde hertziane penetrano anche i muri!). Il collegamento della Chiesa vicino alla nostra casa - questo primo fondamentale e insostituibile punto d’appoggio della mente e del cuore del credente cristiano - può essere un fattore reale e attivo solo se recepisce, in un collegamento molto più vasto, che è il collegamento alla Chiesa intera, indicazioni, idee, sensibilità ai problemi, aiuto per affrontarli. Questo è vero anche per la Chiesa locale che si chiama “diocesi”. Una diocesi non può in sé essere capace di generare posizioni mentali, un tipo di cultura, sviluppare un tipo di sensibilità e un tipo di azione che riescano a contestare l’irruenza con cui il mondo intero cerca di far penetrare la sua interpretazione non cristiana e non religiosa della vita. Perché la cultura dominante, quella che determina l’Est e l’Ovest, è quella che investe l’universo intero, il mondo intero. Non per nulla si parla di capitalismo, da una parte, e di neo-capitalismo, dall’altra. L’ideale della vita, una volta che si taglia via Dio, qual è se non il consumismo? La cultura è un fenomeno (proprio nei suoi fattori più determinanti) universale, riguarda tutto il mondo. È la cattolicità della Chiesa che può percepire dove sta il pericolo, che cosa si debba dire e fare per contestarlo; ed è la cattolicità della Chiesa che può dare il sostegno perché abbiamo a compiere l’opera giusta. Per questo è impressionante vedere come è nel magistero del Papa (il Vescovo a cui Cristo ha detto: «Io ti mando perché tu abbia a confermare i tuoi fratelli», cioè gli altri vescovi) che si trova la sensibilità, l’intelligenza, l’energia indicativa, il richiamo e il comunicarsi di un coraggio chiari, indefettibili, continui, coerenti come da nessun’altra parte. Il Signore protegge la Sua Chiesa, ma ha uno strumento per proteggerla: discriminante ultimo, garanzia ultima, è il Vescovo di Roma. Perciò, per rinnovare la parrocchia, la prima questione è che essa affondi bene le sue radici: intelligenza, orecchie, occhi, cuore dentro quel tessuto grande che è la Catholica, come ha detto il Papa a Loreto, vale a dire la Chiesa universale. Quanto più una parrocchia è tesa a vivere tutta la Chiesa universale, tanto più è viva come parrocchia: lo si vede, per esempio, dall’impeto missionario, che si esprime in tanti modi: vocazioni al sacerdozio, vocazioni nei conventi, vocazioni della dedizione a Dio, collaborazione al sacrificio che la Chiesa fa nelle lontane terre di missione, collaborazione economica che per tanti cristiani rappresenta veramente il privarsi di qualche cosa, cristiani che pregano. E questo è sintomo di qualcosa di vivo. I movimenti… Perciò la parrocchia, affondando le sue radici nella Chiesa locale, e questa affondando la coscienza di sé dentro una percezione del suo essere unita nella Chiesa universale, necessita di una collaborazione sempre più stretta fra la struttura tradizionale (che viene dal passato) e la novità portata dai movimenti. Questi presentano quella originalità e vivacità rispondenti alle esigenze dei tempi moderni: caratteristiche che, anche se «possono creare problemi nella struttura organizzata della Chiesa, vanno in ogni caso valorizzate»[14]. Cerchiamo di capire per un momento l’essenza di questo fenomeno. Se in famiglia, invece di un figlio ce ne sono quattro in più - vale a dire cinque -, allora questo può creare problemi, e crea problemi maggiori. Ma non si possono certo sopprimere i figli per avere più semplice la casa: una casa con cinque figli è certamente e umanamente più ricca di una casa con un solo figlio. Anche se l’osservazione è banale, non credo sia del tutto inutile. Infatti il Papa ai sacerdoti di Comunione e Liberazione riunitisi due settimane fa, esattamente il 12 settembre, a Castelgandolfo, fece un discorso in cui spiegò in modo mirabile la natura di questo problema, di questo fenomeno che è il movimento, e del suo rapporto con l’istituzione. Dice il Papa: «La Chiesa nata dalla Passione e Resurrezione di Cristo e dall’effusione dello Spirito, diffusa in tutto il mondo e in ogni tempo sul fondamento degli Apostoli e dei loro successori, è stata arricchita nei secoli dalla grazia di sempre nuovi doni»[15]. Cos’è il dono? È un termine per indicare lo Spirito, il dono per eccellenza è quello dello Spirito - donum Dei Altissimi -. In che cosa consiste il dono dello Spirito? Nella capacità che la mente e il cuore dell’uomo hanno da Dio di capire cos’è la fede, di desiderare di viverla e di avere una certa energia per incominciare a cercare di viverla. Il dono dello Spirito è ciò che vivifica: non per nulla si dice «Veni Creator Spiritus». Il dono dello Spirito è l’energia con cui il Signore, il Cristo Risorto, raggiunge l’uomo e, in modo persuasivo, suggestivo e impulsivo gli fa capire chi è, gli fa capire la grande verità della vita del mondo per cui l’uomo resta sempre più consapevole, convinto, desideroso di vivere; e resta infaticabilmente capace di riprendere continuamente la sua strada per vivere sempre di più, per riscoprire in modo sempre più autentico, sempre più profondo, l’inesauribile fecondità del proprio Principio che è Cristo. Conoscere sempre di più Cristo e la Chiesa è chiamata a capire sempre di più Cristo proprio attraverso l’avvicendarsi del tempo, attraverso le vicende della storia. «Chi è di Cristo ha il Suo Spirito!»[16]. L’animale non può capire l’uomo, è solo l’uomo che capisce l’altro uomo perché ha lo stesso spirito. Così la profondità del mistero è solo lo Spirito che la capisce; la carne, cioè l’uomo come natura, non può capire; è il dono dello Spirito che fa capire. Per questo noi dobbiamo sempre pregare la Madonna che ci dia lo Spirito di Cristo. Così, come in Lei Cristo è venuto nel mondo per opera dello Spirito, in noi si avvera la conoscenza e l’amore a ciò che è nato in Lei e da Lei per opera dello Spirito. Lo Spirito è tutto, lo Spirito vivifica. Ma come questo dono è dato? Come lo Spirito si comunica? Molte volte sono stati gli stessi papi e vescovi i portatori di questa energia carismatica di riforma. “Carisma” è il nome che si usa per indicare lo Spirito come energia che vivifica la fede, ma secondo una modalità caratteristica. Altre volte lo Spirito ha voluto che fossero dei sacerdoti o dei laici gli iniziatori e fondatori di un’opera di rinascita ecclesiale, che ha permesso di vivere l’appartenenza all’unica Chiesa e il servizio all’unico Signore. «Lo Spirito soffia dove vuole!»[17]. Normalmente entra nella vita della Chiesa e quindi dell’individuo e dei fedeli attraverso delle persone che generano, producono come un movimento, mettono in movimento. Movimento non vuol dire che si agitano, ma che muovono l’anima, muovono il cuore. L’insorgere di un movimento vuole essere l’insorgere di cuori mossi, di coscienze provocate, di persuasività, di pedagogia nuova, di educatività nuova, di gusto nuovo, di operazione nuova nella Chiesa, secondo il tempo; e questa nascita è il dono dello Spirito, che si comunica e usa sempre delle persone. «Lo Spirito soffia dove vuole e dove soffia crea un movimento, perché lo Spirito è per tutta la Chiesa» - osserva il cardinale Ratzinger nel suo bellissimo libro Rapporto sulla fede[18]. Lo Spirito è dato non al singolo, ma per la Chiesa: al singolo per la Chiesa. Questa dunque è l’origine. E poi il Papa ha insistito, per richiamare alla nostra memoria quello che è accaduto a noi. «Come la Grazia oggettiva dell’incontro con Cristo è giunta a noi veicolata da incontri con persone specifiche di cui ricordiamo con gratitudine il volto, le parole, le circostanze, allo stesso modo Cristo comunica con gli uomini mediante la realtà del nostro sacerdozio, assumendo tutti gli aspetti della nostra personalità e sensibilità»[19]. E proprio in questo senso si chiama “carisma”. Ma per una mamma e per un padre che vivono la fede, la loro famiglia cos’è? È un piccolo movimento! I loro 2-3-4-5 figli si capisce come hanno ricevuto! Ma per chiarire sempre più la caratteristica di un movimento, diremmo: un movimento opera una lotta contro «il tarlo dell’abitudine». Se io incontro una persona che vive la fede e mi comunica questa vivezza, io, dove sono, vivrò la fede con vivezza: nel mio posto di lavoro e nell’oratorio estivo, nel catechismo in parrocchia o discutendo dalla cattedra. «È legge universale il crearsi di tale comunione». Quando uno è vivo in un carisma di vivezza della fede, si crea delle affinità; tanti no, ma tanti ne restano persuasi e allora gli vanno dietro e si crea una comunione. È proprio questo che sostiene nella vita cristiana, nella parrocchia, nella diocesi, nel mondo. « Viverla [questa comunione] è un aspetto dell’obbedienza al grande mistero dello Spirito. Un autentico movimento esiste perciò come un’anima alimentatrice dentro l’Istituzione», che alimenta l’istituzione: che alimenta la Chiesa, la Chiesa totale, la Chiesa diocesana, la Chiesa parrocchiale. «Non è una struttura alternativa ad essa»: un movimento non è una struttura alternativa all’unica struttura istituzionale, che è quella oggettiva della Chiesa, ma è un’anima dentro di essa, rende la gente viva dentro di essa. Come quando i soldati andavano all’assalto al suono della fanfara; la fanfara non era un’alternativa ai comandi del capitano, ma elettrizzava i cuori perché lo seguissero. Perciò un autentico movimento «è sorgente di una presenza che continuamente rigenera la verità esistenziale e storica» dell’istituzione. È il movimento che rigenera la verità esistenziale e storica dell’istituzione, altrimenti l’istituzione come tale resta come la chiesa di mura, si appiattisce, diventa abitudinaria, formale. E, infatti, quanti di noi potrebbero resistere all’esame che san Pietro farebbe, secondo il suo antico detto: «Sappiate rendere ragione a chiunque della speranza che è in voi!»[20]. Proprio perché la stragrande maggioranza di noi non ha comunicato questa speranza agli altri e, quindi, l’ha lasciata inaridire dentro di sé: perché una vita o cresce o inaridisce, si atrofizza. La verità che è sempre «“Christus” heri et hodie, ipse et in saecula», la verità che è di sempre deve sapersi tradurre in percezioni, in giudizi e in risposte nuove, secondo le esigenze, le affermazioni e le opere in cui il mondo di oggi si esprime. Per cui se questa comunione ecclesiale non si esprime nella comunità, nella comunione riconosciuta e vissuta dentro la fabbrica o dentro la scuola, dentro l’università o dentro la vita sociale e in politica, è come se non ci fosse, è atrofizzata, è una comunionalità astratta dalla realtà. Il segno che un movimento porta vita alla Chiesa, il primo segno è che chi lo vive è tutto pieno di stima, di attenzione, di valorizzazione, di collaborazione con gli altri movimenti. Chi è vivo stima, ama e collabora alla vita dell’altro. Le due grandi incombenze che il Papa ha ricordato ai movimenti, parlando ai sacerdoti di Cl, sono: 1°) Quella di educare alla preghiera, specialmente sacramentale. C’è stata un’epoca in cui c’è stato un grande ritorno ai sacramenti, specialmente alla Comunione quotidiana - alla Confessione molto meno, e questo è indice di qualcosa che deve essere compiuto -, ma in questi ultimissimi tempi questo si è perso molto, si è riperso molto. Un movimento, vale a dire un’esperienza di vita cristiana carismatica viva, prima di tutto lo si capisce se incrementa e educa alla preghiera, specialmente sacramentale. 2°) Il secondo aspetto è quando il Papa dice: «Non risparmiate sforzi… siate maestri della cultura cristiana, di quella concezione nuova dell’esistenza che Cristo ha portato nel mondo e sostenete i tentativi dei vostri fratelli affinché tale cultura si esprima in forme sempre più incisive di responsabilità civile e sociale. Partecipate con dedizione a quell’opera di superamento della frattura tra Vangelo e cultura, a cui ho invitato l’intera Chiesa italiana [a Loreto]. Sentite tutta la grandezza e l’urgenza di una nuova evangelizzazione del vostro Paese! Siate i primi testimoni di quell’impeto missionario che ho dato come consegna al vostro movimento!»[21]. La preghiera e la fede che si traduce in cultura sono un modo nuovo di concepire le modalità della vita: la modalità del rapporto uomo-donna, la modalità dell’educazione, la modalità della scuola e perciò dell’insegnamento, la modalità del lavoro, dei rapporti di lavoro, le modalità dei rapporti di vicinato, fra i cittadini, il modo nuovo di concepire l’assistenza agli ammalati. Preghiera, specialmente l’Eucarestia, e Impegno, questa è la missione. E così la fede non può non tendere, non desiderare di realizzare una società e un mondo dove esiste «una civiltà della verità e dell’amore»[22]. Ma cosa vuol dire instaurare la civiltà della verità e dell’amore, se non realizzare i rapporti umani secondo la verità e l’amore di Cristo? Ora, è realizzando i rapporti umani secondo la verità e l’amore di Cristo che l’uomo andrà in Paradiso. Perciò quello scopo è dentro a questo; nella teologia cristiana si chiama, infatti, “merito”: quello che ci fa andare in Paradiso è il merito. Cos’è il merito? È il cambiamento, secondo la fede, delle modalità delle nostre azioni e quindi dei nostri rapporti, tutti. Perciò nella misura in cui la vostra parrocchia si vedrà investita e gremita di questi carismi o di questi moti che lo Spirito detta, innanzitutto attraverso la figura del sacerdote, tanto più la vostra parrocchia sarà ricca di proposte e di richiamo e di speranza per tutti; eccetto per coloro che non vogliono udire. |
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Note: |
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S. Mazza, «L’indifferenza religiosa peggio dell’ateismo di Stato», in Avvenire, 10 ottobre 1985, p. 10. |
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Il Papa a Loreto, Documenti n. 4, supplemento a Litterae Communionis - Cl, 4 (1985), p. 10. |
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Cfr. 1Tm 4,4. |
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Cfr. Mt 12,36. |
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Cfr. Gv 1,18. |
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Cfr. Mt 15,18. |
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Gv 17,9. |
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Questa e le seguenti citazioni sono tratte da S. Mazza, «L’indifferenza religiosa…, cit. |
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L’occasione cui si fa riferimento è la festa patronale. |
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Jean Jerome Hamer, La Chiesa è una Comunione, Morcelliana 1985, p. ???. |
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Discorso di Giovanni Paolo II al Congresso “Evangelizzazione e ateismo”, 10 ottobre 1980 in La traccia, n. 9, 15 novembre 1980, p. 818. |
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Paolo VI, Udienza generale, 23 luglio 1975, in L’Osservatore Romano, 25 luglio 1975. |
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Cfr. S. Mazza, «L’indifferenza religiosa…, cit. |
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Ibidem |
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I movimenti nella missione della Chiesa, Documenti n. 5, supplemento a Litterae Communionis - Cl, 11 (1985), p. 23. |
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Cfr. 1Gv 4,12-15. |
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Gv 3,8. |
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Cfr. V. Messori, J. Ratzinger, Rapporto sulla fede, San Paolo 1985, p. 40-43. |
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Questa e le citazioni seguenti sono tratte da I movimenti nella missione della Chiesa…, op. cit., pp. 24-25. |
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1Pt 3,15. |
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I movimenti nella missione della Chiesa…, op. cit., p. 26. |
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Giovanni Paolo II al Meeting per l’amicizia fra i popoli. Rimini, 29 agosto 1982. |
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Chiesa: «Per una parrocchia viva», Luigi Giussani, 10 ottobre 1985 |