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Peggy Noonan E' bella anche perché è siglata da questa calma affermazione retorica: "Un decoroso rispetto per le opinioni del genere umano" ci obbliga a spiegare i motivi per cui ci stacchiamo dall'oppressivo Stato inglese: per prenderci quello che Dio ha sempre voluto che l'uomo avesse: la libertà. E' sicuramente una delle dichiarazioni di guerra più garbate. (Beh, perlomeno all'inizio. Si è scaldata un po' quando gli autori si sono appassionati all'argomento). La bandiera rappresenta anche tutta la gente che ha rischiato la propria vita, che ha dato la propria vita e ha rinunciato a una parte della propria libertà personale - sui campi di addestramento reclute, sui campi di esercitazione, a Hanoi Hilton:- per difendere la libertà dell'America. Che è la mia libertà, e la vostra. Vorrei poter dire loro: "Oh, grazie, vi sono molto grata": Così, ecco cosa dico ai giovani soldati oggi, e ai membri della Guardia Nazionale. Dico davvero: "Oh, generale degli Stati Uniti Grant, grazie; grazie, Ike; e grazie, papà, per aver fatto parte delle truppe di riserva dell'esercito statunitense in Italia nel 1944". Sono stata allevata da immigranti irlandesi che sono venuti qui all'inizio del secolo scorso. In qualche modo, ho assorbito da loro, come pure dai vecchi film degli anni 30 che guardavamo tutti insieme alla televisione, una percezione del fatto che l'America fosse un paese magnifico e la sua bandiera un ideale oggetto d'amore. (Grazie, John Ford!). Così, per questo, e dato che sono una newyorkese e un'amante delle storie delle grandi battaglie del passato, quando vedo la bandiera, è molto facile per me immaginarmi questo vessillo tenuto alto dal padre del generale Douglas MacArthur, il luogotenente Arthur MacArthur dell'esercito degli Stati Uniti d'America, che ha vinto la medaglia d'onore per essersi rifiutato di far cadere i colori alla battaglia della Cresta del Missionario nel Tennessee. La vedo sollevata dalle truppe che avanzano da Brooklyn Heights a Shiloh - alta sul campo, protesa in avanti, sferzata dalle pallottole, dai venti, ma sempre là - ancora là. Quindi, rappresenta queste cose, e io la amo proprio per questo. In questi giorni, siamo forse ancora più consapevoli del solito del fatto che la nostra bandiera rappresenti la nostra unità come nazione. A questo punto, vi aspettereste che io affermi che nell'America del 2001 la bandiera viene tenuta alta da mani nere, mani bianche, mani beige, mani gialle, mani rosse - e tutto questo è vero, ed è ancora più bello di quello di cui talvolta ci rendiamo conto. Tutti noi amiamo il nostro grande paese imperfetto! Ci vuole coraggio per amare quella grande cosa imperfetta in cui vi trovate. Ma permettetemi di aggiungere qualcosa che ritengo altrettanto significativo, poiché sono convinta che le più grandi divisioni nel nostro paese non siano sempre, o veramente, razziali. La nostra bandiera viene tenuta alta anche... dai geni, dagli spirituali, dagli stupidi, dai rozzi, dagli eleganti, dai ricchi, dai poveri, dagli operatori sul campo, dagli stilisti, dai governatori, dai carcerati della prigione di Rikers Island, dagli scienziati e dalle donne delle pulizie, dai peccatori e dai santi, dai sofisticati e dai semplici; viene tenuta alta da chiunque lo voglia. E' un grande strumento di unificazione, la nostra bandiera, di assoluta uguaglianza: tutto quello che dovete fare per avere il diritto di amarla e tenerla in mano è volerlo. E questa è una grande cosa. E quando la teniamo alta, diciamo due cose. La prima è che crediamo nel valore perenne delle enunciazioni dei suoi documenti fondamentali: noi ci battiamo per questi documenti, per quella Costituzione, per la Dichiarazione dei Diritti e per quella Dichiarazione di Indipendenza. Ciò significa che ci battiamo per il nostro passato, e per il futuro che sgorga così ricco, con le sue promesse raggiungibili. E ci comunica questo: noi siamo uniti. Siamo insieme. Condividiamo questo posto. "Noi difendiamo queste verità". Permettete che vi dica com'è non avere una bandiera. lo vivo a Manhattan, nella fantastica socialista-agnostica e non patriottica Manhattan. (lo so, sto generalizzando: alcune delle persone più religiose, nel senso pieno della parola, e più patriottiche che io abbia mai conosciuto vivono qui). Siamo un'isola avulsa dal continente degli Stati Uniti, e molto tempo fa abbiamo imparato a prendere seriamente il nostro distacco. Quindi, lasciate che vi dica cos'è successo qui l'11 settembre 2001 e i giorni successivi. La gente ha cominciato a dire: "Abbiamo bisogno di una bandiera. Avete una bandiera?". Nessuno aveva una bandiera, perché qui siamo a Manhattan. Ma, improvvisamente, abbiamo capito e ci siamo resi conto che amavamo la nostra bandiera, e che volevamo mostrare questo amore, che volevamo testimoniare unità e rispetto. (E' così che ho imparato che gli americani non sono mai senza una bandiera: essa vive dentro di loro, anche quando non lo sanno). Io ho una bandiera. E' una grande bandiera solenne che una volta sventolava sul Campidoglio degli Stati Uniti. L'ho presa dall'armadio, e quando mio figlio finalmente è arrivato a casa dopo le esplosioni (era andato a scuola a Brooklyn Heights, oltre il fiume, venendo dalle Torri; aveva visto le nubi di cenere vulcanica riempire il cielo, aveva visto la gente piangere per strada; non era riuscito a tornare a casa e aveva passato la notte con un insegnante che lo aveva ospitato), io e lui abbiamo preso la bandiera e, insieme, alternandoci sulla sedia a martellare, l'abbiamo inchiodata sulla porta anteriore a vetri della nostra casa, e abbiamo acceso la luce dell'ingresso, cosicché chiunque potesse vederla: grande, e là. E sentite cos'è successo. E' venuto il portiere e mi ha stretto la mano. Sono venuti degli sconosciuti e hanno bussato leggermente, e quando ho aperto la porta hanno detto: "Grazie". E quella notte, qualcuno ha infilato un biglietto da visita sotto la porta con una nota scritta a mano. Ora è di fronte a me, attaccato al mio computer. Dice: "Grazie, signora Noonan. Grazie per aver mostrato i nostri colori". Il biglietto aveva la firma di un uomo che vive al piano di sopra. Ho girato il biglietto e, sul retro, c'era il nome di quell'uomo, seguito da: Solomon Smith Barney Inc., Seven World Trade Center, 28° piano. Tutto il suo mondo era appena andato in frantumi. E lui mi stava scrivendo un biglietto per ringraziarmi per aver esposto la nostra bandiera. Nei giorni seguenti, sono accadute cose magnifiche. I nostri giornali avevano stampate bandiere colorate, a piena pagina, e dicevano: "Prendetela e mettetela alla finestra". Tutti lo hanno fatto. Ora ci sono bandiere in tutta Manhattan, e non è che improvvisamente non siamo più degli atei chiusi in una tana, ma è che, improvvisamente, abbiamo ricordato: quella bandiera siamo noi. Era dentro di noi. E penso che non dimenticheremo mai quello che abbiamo imparato. Così come penso che non lasceremo mai più che svanisca. Vi lancio un'idea. Tutto questo patriottismo è molto bello, commovente e dolce, ma sarà ancora meglio se diventerà molto significativo. Ecco un modo per farlo. (E sarà quello che farò io oggi, domenica, insieme a mio figlio). Accendete il computer e andate su un sito - ce ne sono molti - dove appaia la Costituzione degli Stati Uniti. Cliccate e stampate. Poi prendete la Dichiarazione dei Diritti, in una versione speciale a parte. Cliccate e stampate. Poi cercate la Dichiarazione di Indipendenza. Cliccate e stampate. Infine, prendete una di quelle bandierine o decalcomanie o pin con la bandiera che oggi abbiamo tutti.
Prendete in mano tutti
questi fogli, ancora caldi di stampa. E dite a vostro figlio: "Le vedi
queste parole? Queste parole sono il significato di questa bandiera.
Questa bandiera, queste parole: c'è gente che è morta tenendo alta
questa bandiera in battaglia, perché rappresentava queste parole.
Queste sono grandi parole. Leggiamole. "Noi difendiamo queste verità
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America: «USA:Elogio di un grande paese imperfetto (e della sua bandiera)», di Peggy Noonan, Los Angeles Times 21 ottobre 2001 (trad. da Il Foglio)