Galatro e le sue Tradizioni
A
FESTA DI MELANGIANI CHINI
di Umberto Di Stilo
Fino a
qualche decennio addietro, avventurarsi nel tardo pomeriggio, e
fino a sera inoltrata, del sette settembre nelle strette,
tortuose e caratteristiche viuzze del rione
Montebello di Galatro, significava immergersi in una
immensa nuvola di stuzzicante odore di fritto.
In tutte le case, ricche o povere che fossero, infatti, in
quella giornata di vigilia della più popolare, sentita e
partecipata festa del paese, si procedeva alla frittura delle
melanzane ripiene.
E questa, ancora oggi, una pietanza tipicamente galatrese
ed altrettanto tipica dei pasti della sera della vigilia e del
giorno della festa di Maria Santissima della Montagna
cioè del sette e dellotto settembre.
Una volta, quando le famiglie erano numerose, le brave ed attente
massaie del luogo preparavano il ripieno nella stessa màdia
nella quale solitamente impastavano il pane.
E si friggeva per ore, dal momento che le melanzane ripiene
dovevano bastare per i due giorni di festa durante i quali se ne
potevano (e dovevano, diversamente che festa era?) mangiare a
sazietà.
Oltre a quelle fritte, poi se ne preparavano anche cotte in quel
sugo che poi sarebbe servito a condire i maccarruna
(i tradizionali maccheroni) pazientemente filati a
mano attorno al ferro col quale, nelle fredde sere
dinverno, si lavorava la calza, o le tagliatelle, impastate
con sole uova, filate con lapposito filaturi,
tagliate e poi messe ad asciugare sul letto matrimoniale. Così
preparate le melanzane diventavano più tenere, ma servivano
soprattutto ad insaporire quel sugo nel quale, spesso, non
cera neppure la possibilità di cuocere un pezzo di carne
di capra o dagnello.
La carne, consumata insieme alla pasta fatta in casa,
caratterizzava la festa dei nostri contadini e di quanti, fino ad
alcuni decenni addietro, - in particolare fino a quando il boom
economico (nella nostra regione basato soprattutto sulle
rimesse degli emigrati) non ha consentito un migliore
tenore di vita - aspettavano con ansia il giorno del Santo
Patrono per assaporare cibi che non sapessero di cicorie appena
condite o dei soliti legumi secchi accompagnati da peperoncino
piccante o da olive rattrappite al sole.
Il giorno di festa, in tanto si godeva pienamente e si
differenziava dalla quotidianità, in quanto la famiglia aveva la
possibilità di garantire ai suoi numerosi componenti un pasto
diverso. Un pasto che santificasse la ricorrenza.
Anche per questo, in quasi tutti gli strati sociali del tempo, la
ricorrenza festiva era attesa con ansia. E non solo dalle
giovanissime generazioni costrette, spesso, dalle ristrettezze
economiche a far colazione con un pugno di fichi secchi e poche
castagne infornate (o, come nel periodo estivo precedente la
festa settembrina, con frutta fresca appena colta dagli alberi)
ed a pranzare con un semplice tozzo di pane accompagnato da
qualche acciuga salata o da un pezzetto di aringa fritta col
peperoncino.
A Galatro la festa settembrina di Maria Santissima della
Montagna veniva solennizzata con labbondante
preparazione di melanzane. Sicchè, la sera della vigilia, quando
la bella statua lignea della Madonna, in processione, dal
catafalco abitualmente eretto nella piazzetta
antistante la chiesa del Carmine, nel rione Magenta,
veniva riportata nella sua parrocchia, cera
labitudine simpatica di entrare nelle case degli amici per
assaporare qualche menza melangiana.
Magari calda calda, appena tolta dallolio bollente della
padella.
Ciò perchè sin dal primo pomeriggio della vigilia il rione
Montebello (nel quale avevano casa i pastori ed i contadini che
per motivi connessi al loro lavoro erano costretti a dimorare
nelle contrade montane del paese) si trasformava in una immensa,
unica, friggitorìa.
Per questo, nei paesi del circondario, la festa della Madonna
della Montagna di Galatro è ancora conosciuta come a
festa di melangiani chini. Daltra parte
nella tradizione popolare le due cose si identificarono finchè
la civiltà dei consumi non ha avuto il sopravvento sulla
vecchia, semplice e certamente più genuina, civiltà contadina.
La tradizione delle melangiani chini, legata
indissolubilmente alla festività settembrina, è quanto mai
remota e, sicuramente, è coeva alla stessa festa religiosa nata
successivamente al disastro tellurico del 1783 e, comunque, molto
prima che Ferdinando II concedesse il suo regio
assenso alla creazione della seconda parrocchia (20
settembre 1856).
Il culto della Madonna della Montagna, infatti, è
sicuramente antecedente giacchè un altare (con
relativa statua) a Lei dedicato si trova annotato, sin dai primi
decenni del secolo, nei registri della chiesa che, solo più
tardi, prenderà il Suo nome.
Per capire, comunque, la motivazione storica del perchè la
ricorrenza religiosa si sia identificata per moltissimi anni (e,
per certi aspetti, continua ad identificarsi) con la festa
di melangiani chini, è necessario fare un salto
a ritroso nel tempo e calarsi in quella realtà sociale galatrese
dei secoli scorsi, quando la quasi totalità degli abitanti era
dedita allagricoltura ed alla pastorizia.
Erano tempi grami, per cui, facendo di necessità virtù, i
galatresi, per solennizzare - almeno nel pranzo - la ricorrenza
festiva, hanno creato la nuova semplicissima pietanza. Una
pietanza che, nella sua povertà, riusciva a far dimenticare la
misera mensa quotidiana. Una pietanza, quella creata dai
contadini e dai pastori galatresi, che per la sua semplicità è
divenuta subito assai popolare.
Cosa poteva esserci, infatti, di più popolare della melanzana
che veniva coltivata in tutti gli orti e da tutti i contadini del
paese?
Daltra parte, la melangiana china
secondo la sua originaria ricetta, è il prodotto più genuino di
quella civiltà. Basta pensare agli ingredienti: melanzane,
mollica di pane, formaggio pecorino grattugiato, alcune
foglioline di prezzemolo finemente tritato e uova. Ingredienti
poveri che, ben amalgamati tra di loro, riuscivano a rendere
festosa, profumata, saporita e - comunque - diversa
anche la più parca delle mense galatresi.
La preparazione, poi, è quanto di più semplice possa esistere:
le melanzane, dopo essere state private del legnoso gambo, con un
taglio longitudinale vengono spaccate in due. Quindi, dopo essere
state scaldate, vengono prima premute per far uscire lacqua
e poi svuotate della loro polpa. Rimane così solo la corteccia
sulla quale la massaia sparge un pizzico di sale.
La polpa estratta, mista alla mollica di pane, al formaggio
pecorino ed al prezzemolo tritato (il tutto opportunamente
salato) viene impastato con delle uova fresche. Con il composto
ottenuto si riempiono le cortecce delle melanzane e si friggono
in abbondante olio bollente.
Come si vede gli ingredienti sono tutti prodotti che anche i
galatresi più poveri potevano procurarsi in discreta quantità
in occasione della festa della Madonna della
Montagna.
Daltra parte solo un piatto povero e, quindi, popolare
poteva essere legato ad una ricorrenza religiosa di così grande
richiamo come quella dellotto settembre, unico giorno
dellanno nel quale gli abitanti delle contrade montane,
abitualmente dediti alla pastorizia, fino ad alcuni lustri
addietro, lasciavano chiusi gli armenti nelle stalle e le greggi
negli stazzi e scendevano in paese per presenziare alla
celebrazione della Messa solenne ( a missa cantata)
e poi portare in
processione per le vie del paese la bella statua lignea della
Madonna. Era, infatti, esclusivo privilegio dei
massari portare a spalla la statua della Madonna
della Montagna che, da sempre, anche perchè davanti ai suoi
piedi sta inginocchiato un giovenco, è considerata la
protettrice delle messi e dei pastori.
* * *
A testimonianza di una civiltà che è loro appartenuta e nella
quale ancora oggi affondano le loro radici, tutte le famiglie
galatresi (sia che abitino nel rione Montebello o che abbiano
casa nel dirimpettaio rione Magenta) in occasione della
festività di Maria SS. della Montagna, continuano a preparare le
ormai classiche melangiani chini.
Nessuno, però, si sogna più di preparare limpasto nella
màdia; ciò, vuoi perchè sono scomparse le famiglie patriarcali
o, comunque, numerose, vuoi perchè - grazie al Cielo - non è
più necessario aspettare la festa settembrina per mangiarle.
Il progresso ed il benessere, infatti, consentono a tutte le
famiglie di prepararle in qualsiasi periodo dellanno ed
ogniqualvolta se ne abbia voglia e tempo.
Comunque, non sarebbe cena della vigilia o pranzo del giorno
della festa se sulla tavola dei galatresi mancassero i
melangiani chini. Tutto ciò perchè la tradizione ha
vinto il tempo ed ancora non conosce lusura del progresso.
Questa galatrese delle melangiani chini da
preparare in concomitanza della festa della Montagna,
daltra parte, è una tradizione che si tramanda da madre in
figlia e che, sicuramente, durerà ancora nei secoli a venire.
Come testimonianza di una civiltà scomparsa e di una usanza che
non può morire.
Non fosse altro perché legata alla fede incrollabile per la
Madonna.
N O T E
* | Testo riveduto ed ampliato rispetto a quello precedentemente pubblicato sul settimanale Il Provinciale (Anno II, n. 33 ; 7-14 settembre 1985, pag. 11) e sul trimestrale Banca Popolare Cooperativa di Palmi (N°1/93; agosto-ottobre; pag. 63 e seguenti) |