Galatro:
Le Terme

Galatro - Riflessioni sulle Terme
 

 

di Domenico Distilo


Avevamo previsto, alcuni giorni fa, che una riflessione sullo ”stato dell’arte” delle nuove Terme sarebbe intervenuta da parte dell’Amministrazione comunale. La ritenevamo necessaria per il semplice fatto che, lo si dice da sempre, è al decollo delle Terme che sono legate le speranze di arrestare un declino del nostro paese che appare altrimenti ineluttabile.

La riflessione dell’Amministrazione non c’è ancora. Nell’attesa (speriamo non vana) che arrivi proviamo ad aprire il dibattito con quanti, consapevoli della serietà e gravità del problema, vorranno offrire il loro contributo di idee per trovare una via d’uscita da una situazione che si va sempre più drammaticamente delineando come di vera e propria impasse.

Si sa che il presente è figlio delle scelte che sono state fatte (da noi o da chi per noi) nel passato e che la comprensione adeguata del passato serve non solo per evitare di ripeterne gli errori, ma è la condizione imprescindibile per un altrettanto adeguata comprensione del presente in ciò che esso racchiude di più interessante: le prospettive future e le scelte atte a tradurle dal piano della possibilità in quello della realtà. Non me ne vorranno dunque i lettori se ritengo utile ripercorrere le vicende (che ho vissuto da protagonista, essendo all’epoca Assessore alle Terme) culminate nell’affida-mento in gestione per tre lustri rinnovabili della nuova struttura termale alla Terme Service srl.

Le idee dalle quali si era partiti e gli obiettivi che ci si era dati erano estremamente ambiziosi. Si trattava di trovare un operatore turistico-termale, anzi, termale-turistico, con una lunga e collaudata esperienza nel settore, interessato ad investire una cifra considerevole (approssimativamente due miliardi di vecchie lire) per rendere agibile una struttura deteriorata da lunghi anni di chiusura e di abbandono ed affermarla in un settore caratterizzato, per tutto l’arco degli anni ’90, da una crescita esponenziale dell’offerta a cui faceva sempre più riscontro una contrazione della domanda (paradosso questo solo apparente: l’attivazione di nuove strutture la cui costruzione era stata finanziata, come nel nostro stesso caso, negli anni ’70 giungeva infatti proprio nel momento in cui le esigenze di risanamento del deficit pubblico rendevano problematico l’accesso alle prestazioni erogate in convenzione). Una scommessa, si vede bene, difficile ma, eravamo convinti, non impossibile se avessimo cercato di vincerla con tenacia, convinzione e senza riserve mentali.

Proprio perché si era decisi a volare alto erano state lasciate cadere le proposte di un gruppo lo­cale presentate durante alcune animate riunioni pubbliche e ci si era messi a predisporre uno schema di bando che chiedeva alle imprese partecipanti di presentare dei businnes plan in cui si desse grande rilievo alla parte riguardante la promozione ed il marketing. Ed è a tal fine che della Commissione giudicante sarebbe stato chiamato a far parte, accanto al professor Fabbrini  dell’Università di Cosenza, docente di Economia aziendale, il prof. Carabetta dell’Università di Messina, docente di Sociologia dell’organizzazione, disciplina che si occupa, tra l’altro, proprio dei mezzi e dei modi più efficaci di veicolare i messaggi pubblicitari in funzione dei target da raggiun­gere.

Contestualmente alla redazione del bando vennero fatti alcuni sondaggi, ovviamente informali, presso i responsabili di alcune aziende termali di rilevanza nazionale. Non si poté dire d’aver ri­scontrato grande interesse. A suscitare stupore e diffidenza era soprattutto la necessità di dedurre il bilancio delle Terme (le vecchie terme) dal bilancio comunale. Nessuno ce lo disse expressis verbis, ma tutti gli interlocutori trassero l’impressione che la “contaminazione” dei due bilanci con­sentisse in qualche modo di “aggiustare”, edulcorandole, le cifre del bilancio termale, per cui le proiezioni (benché dalle vecchie sulle nuove terme, particolare che non mancavamo di mettere in rilievo nel tentativo di fugare le perplessità) non erano da ritenersi attendibili.

Ottenemmo qualche vaga promessa. Il dottor Bernacchi, Direttore generale delle Terme di Montecatini, forse più per cortesia che per altro, volle inviare dei propri esperti per una verifica sul campo.
L’esito non fu lusinghiero. Gli inviati di Bernacchi trovarono da ridire su tutto. Finanche sul sistema di avvolgimento delle pompe antincendio. Ci lasciammo tuttavia con cordialità e con l’intesa che avrebbero preso in considerazione l’opportunità e la possibilità di organizzare una cordata di imprenditori interessati e che, dunque, avrebbero atteso la pubblicazione del bando di gara.

Si era ormai alla fine del ’99, il tempo stringeva e gli aggiustamenti e i ripensamenti sul testo da pubblicare sembravano non dover avere mai fine. L’asta pubblica, con la pubblicazione su due quotidiani nazionali, ci sembrò la formula più idonea per raggiungere i fini che perseguivamo. Il lavoro di lima, di concerto con l’Ufficio Tecnico, giunse, quando Dio volle, in porto. A rileggere il bando adesso, a quattro anni di distanza, quel che salta agli occhi - perlomeno a chi, come me, ha concorso sia al concepimento sia alla redazione - è il cospicuo arretramento rispetto alle posizioni ed intenzioni iniziali, il ripiegamento su formule eccessivamente realistiche che potrebbero aver fatto intravedere, ad esperti del settore adusi a leggere tra e sotto le righe, alla luce e in controluce, le oggettive difficoltà (in primo luogo tecniche ma presumibilmente anche ambientali) dell’impresa nella quale gli proponevamo di imbarcarsi. Per essere chiari: un bando di gara per un’asta pubblica finalizzato a un progetto di una certa rilevanza è esso stesso un’operazione di marketing nei confronti dei potenziali interlocutori, per cui non sempre possono essere paganti le diciture sobrie e il tono eccessivamente tecnico, asettico. Mancava quell’enfasi che, forse, avrebbe esercitato un certo appeal.

Dopo aver predisposto e pubblicato il bando e nominato la Commissione giudicatrice ci disponemmo ad attendere l’arrivo delle buste con le proposte concorrenti. Il disappunto fu enorme quando ci ritrovammo con un’unica proposta di due operatori locali, l’Impresa Smedile e il Villaggio Sayonara costituiti in ATI (associazione temporanea d’impresa). Disappunto che crebbe allorché, aperta la busta, i commissari non poterono che giudicare l’offerta manifestamente inadeguata dal momento che, in modo affatto inusuale, starei per dire inaudito, si ponevano delle condizioni al Comune, cioè all’Ente che aveva indetto l’appalto, per eventualmente accettare la stipula di un contratto. Più che di una proposta dentro i termini del bando si trattava di una richiesta quasi esplicita di passare alla trattativa privata diretta che, per essere avviata, richiedeva che si concludesse con un altro nulla di fatto un tentativo di licitazione privata (“individuazione del contraente”, per dirla in burocratese, attraverso l’invito ad imprese selezionate).

Andato a vuoto questo secondo tentativo non restò che “passare alla trattativa privata diretta, cito a memoria dalle carte dell’epoca, con l’unico soggetto che avesse concretamente manifestato interesse per le Terme”, vale a dire il gruppo succitato Smedile-Sayonara, trattativa che conducemmo con l’assistenza dello Studio Marrapodi.

Giungere alla trattativa nel modo in cui noi vi giungemmo non poteva però avere altro significato che rassegnarsi a trattare in condizioni di debolezza, acuita dalla necessità che avevamo di chiudere in tempo per vedere le Terme avviate entro l’anno successivo, che sarebbe stato anno elettorale. Questo spiega la larghezza delle concessioni sulle quali l’opposizione, giustamente dal suo punto di vista, ha più volte sferrato i suoi attacchi.

Ma non è adesso il caso di fare delle disquisizioni “metafisiche” su ciò che non abbiamo fatto e avremmo potuto fare o sul carattere libero o necessitato delle scelte compiute. Certo se c’è un errore che, per quel che mi riguarda, non rifarei, è di non prevedere degli obiettivi parziali scaglionati negli anni di durata del contratto e che ne avrebbero determinato, se non raggiunti, la revisione o la rescissione. Non ci si può, infatti, dopo tre anni di gestione privata, non preoccupare di fronte a un piano occupazionale che non decolla e che, lo si ricordi, è la sola, unica ragione per la quale abbiamo dato le Terme in concessione. E sarebbe fuori del mondo chi pensasse che basti una manciata di posti precari per giustificare clausole che, se non dovessero venire compensate con una crescita significativa, quantitativa e qualitativa, dei livelli occupazionali, risulterebbero per la comunità di Galatro estremamente onerose.

Ne consegue che l’Amministrazione, rebus sic stantibus, deve riaprire la discussione con la Terme Service, intanto per avere notizie sui programmi, sugli obiettivi, soprattutto occupazionali, nonché sulle modalità e i tempi nei quali si intende realizzarli. In secondo luogo per incominciare ad ipotizzare gli scenari che si aprirebbero nel caso in cui questi obiettivi non dovessero essere raggiunti. Dato atto e riconosciuto il merito per il generoso investimento, non si può non notare la sproporzione tra l’impegno profuso dalla Terme Service e la distanza dei risultati rispetto a ciò che ci aspettavamo, la distanza cioè tra l’idea che avevamo di ciò che le Terme avrebbero dovuto essere e la realtà della contrazione dell’offerta di servizi (vedi prestazioni specialistiche) e dell’utilizzazione della sala per pranzi nuziali e feste di compleanno.

Sulle Terme, a questo punto, serve una svolta. Prima che sia troppo tardi e Galatro finisca di svuotarsi.
 

 

Galatro: «Galatro. Riflessioni sulle Terme», di Domenico Distilo, www.galatroterme.it, 13 gennaio 2004

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