“Abbiamo bisogno di etica: |
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di
Giovanni Palladino Don Luigi Sturzo ha avuto il grande dono di essere sia uomo di pensiero che uomo di azione. Di solito si è o l’uno o l’altro. Si può dire che la sua vita sia stata caratterizzata da uno scambio continuo e sinergico tra un pensiero forte, radicato saldamente ai principi e ai valori cristiani, e una azione determinata e costruttiva, svolta sempre a vantaggio del bene comune. Egli ha sempre cercato di coniugare, nel modo migliore, teoria e prassi. E ha toccato con mano che questa coerenza funzionava, sia nell’azione pratica, sia nella valutazione e nella previsione degli eventi.
Don Sturzo sosteneva che noi cristiani non possiamo cedere alla tentazione del pessimismo, non solo perché la nostra fede ci ha insegnato a credere in un’altra vita, ma anche perché ci ha dato un “tesoro” di principi e di valori molto utili per questa vita. Da 20 secoli - egli diceva – “viviamo in una civiltà formatasi sotto l’influenza del cristianesimo e siamo convinti che questa sia la civiltà più avanzata mai avuta nel mondo, perché agevola e rende più celere il nostro moto verso la razionalità”.
Per Don Sturzo “moto verso la razionalità” voleva dire tendere verso comportamenti morali. La moralità non è altro che la razionalità dell’agire, ossia l’azione che obbedisce alla ragione. Ne consegue che una persona morale è razionale, mentre una persona immorale è irrazionale, non segue la ragione.
Egli era convinto – anche perché la lunga storia del mondo lo dimostrava ampiamente – che a lungo andare una società, che non considerasse come valore fondamentale, essenziale, l’integrità morale dei suoi protagonisti, sarebbe inevitabilmente crollata. Nessuna società o comunità o impresa può reggere a lungo all’urto dell’irrazionalità. La politica si trasforma in “non politica”; l’economia si trasforma in “diseconomia” e quindi in “disutilità sociale”. Tutti mali che hanno una causa in comune: la mancanza di quella solida piattaforma di principi e di valori, che un vero cristiano dovrebbe considerare sempre moderni e non soggetti alle mode, ossia principi e valori sempre validi, principi e valori che aiutano a formare i comportamenti morali, razionali.
All’origine dei mali della società vi è quindi il continuo prevalere della ragione politica e della ragione economica sulla ragione morale. I mali della società possono essere corretti solo se è la ragione morale a condizionare e a guidare la ragione politica e la ragione economica.
In definitiva, il più grande obiettivo di Don Sturzo è stato quello di far capire quanto sia importante per il bene della società l’alleanza dell’uomo con Dio. Egli sosteneva con grande convinzione che “tutto il mondo del condizionamento umano prende un altro significato, se viene visto attraverso l’alleanza dell’uomo con Dio”. Ne consegue che “la missione del cattolico in ogni attività umana deve essere sempre impregnata di ideali superiori, perché in tutto si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia si applica al materialismo e al marxismo, l’arte decade nel meretricio”.
E ancora: “Se le riforme non sono impregnate di eticità e realizzate nel sacrificio, non approdano”. Pensate quante riforme sono state fatte in Italia negli ultimi 50 anni e in molti casi quanto poco hanno prodotto o, peggio, quanti mali hanno causato ! Domandiamoci perché. Quale statura morale e quale bagaglio culturale avevano i loro autori ?
E’ il saldo ancoraggio del pensiero sturziano ai principi e ai valori cristiani che portò Luigi Einaudi ad affermare: “Don Sturzo è contrario alle idee che combatte non tanto perché sono causa di danno economico, ma soprattutto perché corrompono la società politica, immiseriscono gli uomini, condannano alla tirannia e alla immoralità”.
E in effetti le battaglie di Don Sturzo contro il fascismo e il nazismo, contro il comunismo, contro lo statalismo e la partitocrazia, contro i monopoli pubblici e privati erano innanzitutto motivate da considerazioni morali. Ne consegue che per lui la prima riforma deve essere quella delle nostre coscienze. E’ una riforma possibile solo se comprendiamo la grande efficacia e funzionalità dei principi e dei valori contenuti nel Vangelo, ossia se comprendiamo le conseguenze positive derivanti dai comportamenti morali consigliati nel libro più famoso del mondo. Il più famoso, ma anche il più ignorato……
Dopo il Vangelo, la seconda fonte di ispirazione per Don Sturzo fu senz’altro l’Enciclica “Rerum Novarum” del 1891. Quando riceveva complimenti per il suo lavoro (come consigliere comunale e provinciale, o come sindaco di Caltagirone, o come fondatore e segretario del Partito Popolare Italiano, o come autore di decine di libri e di migliaia di articoli pubblicati in mezzo mondo) egli era solito
dire: “Non è farina del mio sacco. Devo tutto a quanto ho appreso dal Vangelo e dalla Rerum Novarum”.
Nel lavorare con questa preziosa “farina”, egli toccava con mano i buoni risultati. I principi e i valori cristiani, calati e applicati nel concreto della società, funzionavano ! I suoi maggiori successi li ebbe alla guida amministrativa del suo paese, Caltagirone, per ben 15 anni. Di qui la sua grande passione e convinzione nelle tante battaglie civili e politiche combattute nel corso della sua lunga vita.
E’ degno di nota il fatto storico che il primo disegno di legge – primo a livello mondiale – sulla partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese fu presentato nel 1920 dal Ppi su idea di Don Sturzo, un’idea presa dalla “Rerum Novarum”. E’ il principio della stretta alleanza tra capitale e lavoro (anziché della guerra del lavoro contro il capitale predicata da Marx), alleanza ribadita da Pio XI nella “Quadragesimo Anno” del 1931 con queste incisive parole: “Se quel che più conta - l’intelligenza, il capitale e il lavoro – non si associano quasi a formare una cosa sola, l’umana attività non può produrre i suoi frutti”.
Eppure Pio XI e Don Sturzo criticarono duramente il capitalismo negli anni 30. Ma la loro critica era rivolta al capitalismo speculativo e di rapina che nulla aveva a che fare con il capitalismo popolare e partecipativo da loro auspicato. Secondo il pensiero sturziano – ecco la sua attualità e modernità – il capitalismo degli uomini liberi e forti doveva essere innanzitutto un sistema di valori. Elenco una serie di profonde convinzioni di Don Sturzo dalle quali emergono i seguenti valori:
- un sistema democratico diventa forte e stabile solo se alla democrazia politica si affianca una diffusa e ben regolata democrazia economica;
- la democrazia economica è tanto più diffusa quanto più è diffuso il diritto di proprietà privata e il diritto all’iniziativa privata, diritti che vanno favoriti e non ostacolati da chi governa;
- per favorire l’iniziativa privata è necessario valorizzare la cultura del io produttivo, cultura ben diversa dal disvalore del rischio speculativo o del gioco d’azzardo;
- valorizzare la cultura del rischio produttivo significa dare prestigio sociale a chi ha la capacità di fare impresa, ossia all’imprenditore, il quale svolge un fondamentale ruolo sociale ancor prima che economico;
- dare prestigio sociale all’imprenditore (e non discredito sociale come spesso è avvenuto in Italia) significa educare ad una moderna cultura del profitto, dalla cui esistenza dipende la salute del sistema economico;
- non può esistere una buona cultura del profitto, se non è curata la cultura della trasparenza, che a sua volta esige un sistema fiscale intelligente, capace di stimolare la trasparenza e non l’opacità.
Ovviamente per Don Sturzo a questi valori andava aggiunto o, meglio, premesso il valore della moralità, senza del quale tutti gli altri valori sono incapaci di produrre un sano sviluppo economico-sociale. La corruzione nel mondo politico ed economico era per lui il più grande ostacolo per uno sviluppo duraturo ed equo. Una società non potrà mai definirsi “civile”, se i suoi protagonisti sono corrotti e ladri.
Che tipo di capitalismo emerge dal pensiero sturziano ? A prima vista può sembrare un sistema sbilanciato a favore dell’impresa e dell’imprenditore. Ma non è così, perché senza la difesa e la valorizzazione dell’imprenditore privato non può esservi la difesa e la valorizzazione del lavoratore. Emerge quindi un sistema che, per funzionare bene, deve poter contare su:
- uno Stato non invadente nel settore economico, perché se l’arbitro fa anche il giocatore, finisce per arbitrare male e giocare male; - grande capacità d’iniziativa degli imprenditori, dotati di una cultura del rischio produttivo e responsabile; - rande attenzione alla formazione dei lavoratori, alla produttività delle imprese e alla compeitività del sistema economico, perché nel futuro si avrà – diceva Don Sturzo sin dagli anni 20 – una crescente integrazione delle economie a livello mondiale.
Fra le tante profezie del sacerdote siciliano, merita citare quanto egli scrisse nel suo libro “La comunità internazionale e il diritto di guerra”, pubblicato nel lontano 1928:
“Alcuni hanno timore della potenza enorme che ha acquistato e acquista sempre più il capitalismo internazionale che, superando confini statali e limiti geografici, viene quasi a costituire uno Stato nello Stato. Tale timore è simile a quello per le acque di un fiume; davanti al pericolo di uno straripamento, gli uomini si sforzano di garantire città e campagne con canali, dighe e altre opere di difesa. Nel medesimo tempo utilizzano il fiume per la navigazione, l’irrigazione, la forza motrice e così via. Il grande fiume è una grande ricchezza, ma può anche essere un grave danno.
Dipende dagli uomini, in gran parte, evitare il danno. Ciò che non dipende dagli uomini è che il fiume non esista. Così è del grande fiume dell’economia internazionale. La sua importanza moderna risale alla grande industria del secolo scorso: il suo sviluppo, attraverso invenzioni scientifiche di grande portata nel campo della fisica e della chimica, diverrà ancora più importante, anzi gigantesco, con la razionale utilizzazione delle grandi forze della natura. Nessuno può ragionevolmente opporsi a simile prospettiva. Ciascuno deve concorrere a indirizzare il grande fiume verso il vantaggio comune. Contro l’allargamento delle frontiere economiche dai singoli stati ai continenti insorgono i piccoli e grandi interessi nazionali, ma il movimento è inarrestabile. L’estensione dei confini economici precederà quella dei confini politici. Chi non sente ciò, è fuori della realtà”.
Pertanto, sin dal 1928 – quando ancora imperava il nazionalismo - Don Sturzo riteneva inarrestabile il processo di globalizzazione. Dipende dagli uomini renderlo virtuoso. Il capitalismo vincerà, se governanti e governati riusciranno a costruire canali scorrevoli e dighe solide, se riusciranno a darsi buone regole di navigazione e se le rispetteranno. Tutto ciò per difendersi dalle avversità causate dai comportamenti irrazionali degli esseri umani, comportamenti immorali che esisteranno sempre. La lotta fra razionalità e irrazionalità, fra moralità e immoralità è destinata a continuare sino alla fine del mondo.
La
caduta del nazismo, del fascismo, del comunismo e di tutti i regimi
“assolutisti” nel corso della storia è stata causata essenzialmente dalla
violazione della legge morale, una legge che spesso non è scritta, ma che
rappresenta il vero ossigeno per una società civile. Don Sturzo era convinto
che democrazia politica e democrazia economica si sarebbero potute
diffondere nel mondo con l’uso responsabile, razionale e quindi morale della
libertà, poiché l’uomo è da sempre libero di usare la libertà anche in modo
irresponsabile, irrazionale e quindi immorale. I valori cristiani -
ricordava spesso Don Sturzo - ci aiutano a gestire correttamente la nostra
libertà. Abbiamo quindi bisogno di una fede attiva e concreta, come attivo e
concreto in Cristo egli è sempre stato. |
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CISS: «Convegno sul tema: “Abbiamo bisogno di etica: società, politica, economia” Don Sturzo e l’attualita’ della sua visione etica» di Giovanni Palladino, Torino, 22.11.2003 |