L’ultima è
ancora calda: una creatura di appena quattro anni massacrata da dieci
coltellate. E’ stata la sua mamma. |
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di
Carmelo Cordiani L’ultima è ancora calda: una creatura di appena quattro anni massacrata da dieci coltellate. E’ stata la sua mamma. Purtroppo una delle tante, dai piccoli abbandonati nei cassoni della spazzatura a quelli buttati dalle finestre come oggetti ingombranti. E sempre le mamme ad essere chiamate in causa. Vittime indifese, che si aggrappano al collo delle proprie mamme sicure di trovarvi calore e protezione; cuccioli stupendi che guardano alle loro mamme come alla più grande meraviglia del buon Dio, chiamata a continuare la sua opera creatrice. Come è possibile?
Psicologi, criminologi, specialisti di patologie: Ognuno dice la sua. Anche lo stress da parto, la depressione. Quindi l’accanimento contro la propria carne, il proprio sangue.
Un tempo, i bambini indesiderati venivano abbandonati nelle ruote. Si è parlato di recente per ripristinare questo luogo di salvezza. Qualcuno si prenderà cura dei fagottini lasciati alla loro sorte. La morte violenta, più che straziare il cuore dei piccoli che passano dalla vita alla morte senza rendersene conto, senza chiedere alcun perché, senza odio per la sua mamma verso cui continuano a rivolgere il loro sguardo che si spegne, sconvolge noi che continuiamo a vivere tra tante violenze.
Siamo ancora una volta tentati di rivolgerci a Dio per chiedergli se è a conoscenza delle brutture umane. Chiedergli se intende stare solo a guardare aspettando che l’uomo riacquisti la dimensione della propria dignità, se ci arriverà e quando. Chiedergli che senso ha avuto il sacrificio sulla croce di suo Figlio se gli uomini continuano a farsi del male.
Noi pretendiamo che sia Dio a venirci incontro e non facciamo nemmeno un passo verso Lui. Un errore madornale che continueremo a pagare. Fiaccolate, convegni, manifestazioni, marce della pace… Quanto sarebbe più semplice che ognuno si mettesse in cammino, da solo, verso Dio! Non è, poi, tanto difficile. “Dio, aiutami”. Scommettiamo che non si gira dall’altra parte. “Dio, mi hai affidato la consegna di partorire. Aiutami a uscire dal buio in cui mi trovo. Fa ch’io veda. Non lasciarmi sola. Questa creatura che ho messo al mondo è a tua immagine e somiglianza. Ha bisogno di me e io ho altrettanto bisogno di Te”. Dio affligge ma non abbandona. Era un detto dei nostri padri, quando la fede si viveva in semplicità, senza sillogismi, senza altre pretese che quella di affidarsi a Dio. Oggi la ragione, la scienza, la tecnologia, le teorie politiche, le prassi sociali, le sensitive, le veggenti e quanto altro vende il mercato, svuotano l’uomo della sua spiritualità che dovrebbe essere la bussola della sua vita. Si va a cercare lontano un pizzico di verità, si va dietro al primo che ti illude con pratiche, gesti, parole misteriose, riti d’ogni genere dimenticandosi che la serenità è a portata di mano, dentro, in quello spazio ricco di risorse che il buon Dio ha predisposto. Lo abbiamo coperto di ogni cosa. E’ sommerso in pesanti rifiuti. Si è piano piano spenta la luce del nostro interno; già!, perché badiamo solo all’esterno, al come apparire, a come presentarsi, all’immagine, a come gli altri devono vederci e non a come dobbiamo vederci noi.
Si parla di autostima. Pensiamo: siamo arrivati al punto di non volerci bene e pretendiamo che ce ne vogliano gli altri. Andiamo alla ricerca anche di un solo frammento di affetto e siamo i primi noi a non apprezzarci. Vivere fuori di se stessi è un lento suicidio. Guardarsi dentro, apprezzare la ricchezza che vi troviamo, valorizzarla, impegnare le nostre energie, guardare la vita come il bene più prezioso, che ci può dare tanto se vogliamo e sappiamo spenderla. La maternità, questo potere unico che appartiene alla donna la eleva a soggetto privilegiato, la nobilita, le dà garanzie di coraggio, forza creatrice. Smettiamola di vagare nelle teorie, di cercare altrove quanto troviamo molto vicino, dentro di noi. Chiromanti, cartomanti, indovini, sensitivi e quanto altri, invitino quelli che dovessero avvicinarli a saper leggere dentro se stessi, a ritrovare quel seme di bene che Dio vi ha depositato, a coltivarlo, a farlo crescere, ad attendere pazientemente il tempo del raccolto. E’ un seme a cielo aperto, esposto alle intemperie, alla siccità e alle alluvioni. Sono le vicende della vita, gli imprevisti, le mazzate: di molte, se scaviamo bene, ne siamo causa noi stessi. Ce le procuriamo con la leggerezza, con l’emotività, con l’incoscienza con cui, spesso, affrontiamo certe situazioni. Che significato ha, per esempio, la “passione” che alcune vorrebbero costante nel rapporto coniugale? Si sente spesso: “ Ci siamo lasciati perché è venuta meno la passione”. E si cerca altrove, senza riflettere sul vuoto cui si va incontro. Fedeltà, responsabilità, impegno, dignità… non hanno più senso. Conta la passione…
Care mamme, voi non immaginate cosa siete per i vostri bambini. Voi non pensate che ci sono persone con i capelli bianchi che vorrebbero avere accanto la propria mamma, per chiamarla “mamma”, per chiederle una carezza, per sentirsi chiamare “bambino mio” e tornare indietro nel tempo. Questa è vera passione, quella che non commette pazzie, quella che non arma la mano. Vivete in pieno la vostra maternità, nella profonda convinzione della vostra insostituibile presenza nella vita di ogni uomo. E quando vi capita di sentirvi giù, non andate in cerca di distrazioni. Rivolgetevi a chi può veramente capirvi: al buon Dio, senza mezzi termini.
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Riflessioni:
«L’ultima è ancora calda: una creatura di appena quattro anni massacrata da
dieci coltellate. E’ stata la sua mamma. CARE MAMME, COSA VI SUCCEDE?», di Carmelo Cordiani,
25.09.2005
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