Riflessioni

«Quinto: non uccidere»
 

 
di Carmelo Cordiani,


            “Dov’è tuo fratello? E tuo figlio? Che fine hanno fatto i tuoi genitori? “

            Quanti orrori nelle cronache! Quanti altri non riportati dalle cronache! Si uccide per vendetta, per odio, per gelosia, per interessi, per rapine, per follie, per raptus. Si uccide. Mamme che sacrificano le loro creature, papà che spengono tra le proprie mani la vita che hanno generato, figli che massacrano i propri genitori, anche solo per una manciata di soldi. C’è da chiedersi se il buon Dio, dettando il quinto comandamento avesse già previsto con quanta facilità gli uomini lo avrebbero trasgredito. E c’è da chiedersi perché Dio non ferma la mano di chi sta per distruggere un capolavoro da Lui creato.

 

            Stando al testo biblico, il primo morto ammazzato è stato Abele. Ucciso da suo fratello. D’altra parte non poteva essere stato qualcun altro. Dio, unico giudice, chiede a Caino : “ Dov’è tuo fratello”. Sapeva bene che fine avesse fatto. Ma vuole capire se Caino si era reso conto della gravità del suo delitto, compiuto, in definitiva, in suo onore. Infatti era geloso dei sacrifici che suo fratello gli offriva . Voleva essere lui solo “Sacerdote sacrificale” di un Dio che dialogava con suo fratello e gradiva i suoi sacrifici. La Bibbia non riferisce il dolore di Adamo ed Eva, genitori, ma possiamo ricostruirlo pensando ai tanti papà e mamme che si ritrovano con un figlio cadavere. Avevano conosciuto il disonore della disobbedienza, avevano sopportato la perdita del Paradiso terrestre, avevano assaporato il sudore della fronte, Eva aveva sperimentato il dolore del parto : ora provavano, per la prima volta, il dramma della morte. La vita si presentava nella sua cruda realtà. Abele è la prima vittima della crudeltà. E’ il primo a cadere per mano di un altro uomo. L’uomo è il vero nemico dell’uomo.

 

            Chi può leggere l’animo di un assassino? Chi riesce a capire il cambiamento di una persona dopo il delitto? Io credo che il tormento del “dopo”, del “subito dopo” sia più atroce della morte. Guardarsi le mani  che hanno spento una vita, rivedere lo sguardo della creatura che sta spegnendosi e ci chiede di aiutarla a vivere, di non abbandonarlo, è un tormento che non ci lascerà mai.   

 

            Spesso  un omicida, dopo il delitto, è andato al bar, in discoteca, a dormire: ha ripreso la sua normale attività come se non fosse successo nulla. Com’è possibile? Per questi, la voce di Dio : “Dov’è tuo fratello” si spegne? Oppure Dio non si è accorto che nel suo universo manca un gioiello, una vita umana?

 

            Oggi tutto è diventato “massa”. Un insieme indistinto dove cresce l’irresponsabilità. Nella massa si confondono i violenti, si mescola la delinquenza che lascia tracce illeggibili. L’importante è non farsi prendere. Ma anche se capita, c’è l’alibi dell’infermità mentale, della perizia neuropsichiatrica, dell’avvocato bravo al quale interessa poco il morto, molto l’assassino. Quanti delitti impuniti! Quanti assassini rimasti anonimi!

 

            C’è un altro modo di trasgredire il quinto comandamento. Una specie particolare di omicidio, senza cadavere, senza sangue: La maldicenza, la calunnia, la diffamazione. Si tratta di una distruzione sistematica, di una morte lenta, colpi inferti con tecnica speciale e metodica. Povere vittime: si spengono, dentro, lentamente.

 

            Gli assassini sono, quasi sempre, anonimi e tali resteranno.

 

            E’ la piaga dei piccoli centri, dei rioni o dei grandi scandali montati ad hoc, con fotografie sbattute in prima pagina, con notizie buttate lì senza verifiche. Ti trovi, improvvisamente, in un ciclone senza scampo. Stenti a capire cosa ti sta succedendo, ma avverti il vuoto che comincia a stringerti e la solitudine che ti avvolge come le spire di un serpente. Ti riconosci semplice, assolutamente innocuo; rileggi la tua esistenza senza macchie, ricca di generosità e di sorrisi per tutti. Ti vien voglia di chiederti se ne valeva la pena. Meglio disonesti come tanti, meglio cattivi, come l’erba che allunga le sue radici fino a strozzare ogni altra forma di vita. Ma non te la senti di accettare queste scelte. Sei stato e vuoi restare limpido. Eppure, qualcuno, ti uccide.

 

            Abbiamo assistito a processi spettacolo, con vittime martoriate da chi, in quel momento, aveva il coltello dalla parte del manico. Interrogatori martellanti, accuse  su accuse,  persone umiliate, completamente disorientate nella furia di pubblici ministeri. Carriere distrutte, personalità demolite minuto per minuto, finite nella bufera improvvisamente. Il principio “nemo malus nisi probetur” diventato “nemo innocens...”. Qualcuno non ce l’ha fatta. Si è parlato di suicidio. Si è trattato, invece, di omicidio legale, di assassinio su mandato, con regolare parcella per aver difeso i valori della democrazia o degli aguzzini di turno.

 

            Al ritorno dal Sinai, Mosè spezzò le tavole della Legge per l’irresponsabilità del suo popolo,  diventato idolatra. Dio ha riscritto i suoi comandamenti. Sono di nuovo dieci. Ma, nel Nuovo Testamento, Gesù li ha ridotti a due. Il secondo è proprio pesante: “ Ama il prossimo tuo come te stesso”. Il prossimo, non il tuo compagno di partito, il tuo collega, l’amico. Il prossimo è un altro uomo, come noi. Se solo si facesse attenzione a questo non ci sarebbe bisogno di cortei per la pace, di digiuni, di striscioni, di convegni, di ambasciatori... L’amore per il prossimo: ecco il deterrente di ogni guerra.
 

 

Riflessioni: «Quinto: non uccidere», di Carmelo Cordiani,  3/3/2003
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