Galatro: Racconti Popolari

I cerzi d’a fidi

di Carmelo Cordiani

 

Stagliate sul vecchio viottolo che da Galatro raggiungeva i piani di LONGA  [1] e si perdeva nell'intatta boscaglia verso Fabrizia, Nardo di Pace, Serra San Bruno…, solenni, avevano intrecciato due dei loro vigorosi rami, quasi a stringere un patto d'amore e di fedeltà. Due querce, distanti pochi metri l'una dall'altra, che la fantasia della gente aveva battezzato  "d'a fidi", [2] per caratterizzarne l'abbraccio.

Ma lo strano fenomeno aveva anche suggerito delle leggende che le donne meno giovani si premuravano di raccontare a quelle che, per la prima volta, si recavano al carico quotidiano che dava un po’ di speranza alla vita misera del tempo. Allora i racconti avevano il magico potere di alleviare la fatica della lunga strada, mentre, come formiche, le donne raggiungevano le "lavorazioni a PASSU DI CANCIADU" [3]. Il ritorno sarebbe stato attento e silenzioso. Ognuna badava bene ai propri passi, sotto i sacchi di carbone, stracolmi.

Proprio ai piedi della prima quercia, a sinistra  salendo, quella piegata a monte, Pasqualino, allora quindicenne, "garzone" da una vita, aveva incontrato Palmina, di qualche anno più piccola. Stava raccogliendo ghiande, con suo  fratello  Bartolino, una ragazzo selvaggio, nato nelle "zzimbe" [4] della VUTUREDA [5] abitate da povera  gente che strappava la vita minuto per minuto.

Alla vista dell'adolescente sconosciuto, Palmina chiamò il fratello che riprese il bastone appoggiato al sentiero  e  le si avvicinò coprendola come uno scudo. Ma a Pasqualino certe cose non passavano minimamente per la testa e disse subito di  essere  un "garzone" e di aver lasciato i porci alle pozzanghere della "VADI I PAPA" [6]. E si mise anche lui ad aiutarli, quando seppe che venivano dalla "Vutureda". Avevano almeno due ore di strada per  ritornarci, con una tomanata [7] di ghiande in testa. Scambiarono poche parole, mentre i rami delle querce fremevano sotto il cielo  minaccioso.

A nessuno dei tre faceva paura il buio che avanzava da ponente, né il bagliore del lampo che si rifletteva  negli  occhi neri e profondi di Palmina. Continuavano a raccattare ghiande non curanti delle prime gocce, sotto l'enorme ombrello di foglie.

Abituati dalla nascita alla dura legge della sopravvivenza, erano cresciuti forti e coraggiosi come  le  secolari  querce che, ora, sembravano infuriate.

Palmina ricordava le lunghe giornate passate nella "zzimba" buia, accanto a Bartolino, mentre i suoi genitori, con i fratelli più grandi, erano andati a  Fabrizia  a  barattare  qualcosa. Tutto a spalle dovevano portare. Cosimo, il più  grande,  sembrava un torello, sotto una sporta di "zzumpi" [8] sradicati uno ad uno. Sola, con quella creatura che attendeva il capezzolo della madre come un cucciolo affamato, si era temprata  dentro,  disposta ad ogni evento.

Pasqualino non sapeva nemmeno chi fosse suo padre. Ricordava il giorno in cui la madre gli mise in mano un tozzo di pane e gli disse: "C'è don Peppino che ti vuole. Va, figlio mio. Là trovi almeno da mangiare". E se ne andò, mentre sua madre si asciugava gli occhi con un lembo di straccio. Da quel giorno aveva imparato tutti i viottoli delle montagne. Scendeva nel Metramo o nel Fermano [9] ad abbeverare i porci. Conosceva tutte le sorgenti d'acqua tanto fresca da spaccare i denti. Distingueva il canto di ogni uccello e le pedate degli animali.

La "posata" [10] del suo padrone era sui piani di Cubasina, oltre il Convento [11]. Ma lui, per scendere nel Potàmi e passare ai piani di Longa impiegava poco. Le donne che si recavano alla Longa lo conoscevano bene. Ogni tanto, qualcuna gli portava arance o due "ficandiani" [12] colti sul viottolo di "Arbidicu"[13]. Pasqualino contraccambiava con una "gozza" [14] d'acqua fresca, nascosta nella grossa erica tra "Granpettu"[15] e "Vada i Pàpa". Le donne non vedevano l'ora di arrivarvi, quando il sudore bruciava negli occhi. "Benadizzioni a Pascalinu", dicevano bevendo l'acqua fresca dalla gozza."Vaci pell'anima di i benaditti morti".[16]

Quando il bosco cominciò ad impazzire come se il vento avesse rotto la sua barriera impenetrabile e volesse abbattere i suoi alberi, uno ad uno, Palmina si strinse di istinto a Pasqualino che restò impietrito. Fu un attimo. E quel bagliore gli rimase dentro per sempre.

Ogni giorno saliva alle grandi querce nell'illusione di incontrare Palmina per aiutarla a raccattare ghiande. Anche da vecchio, quando la dura vita gli aveva fatto dimenticare le sofferenze. Seduto accanto alla grande quercia, si chiedeva perché certe cose succedono. Ed ebbe un momento di stizza per i due grossi alberi che non avevano saputo proteggere quella giovane vita.

Fu allora che si accorse dei due rami abbracciati, sopra il luogo esatto in cui, a quindici anni, aveva stretto forte la piccola Palmina.


 

*

Le note riferite alle località citate, hanno solo valore topografico. L'etimo esula dal racconto.

[1]

LONGA: località pianeggiante lungo la strada che, da Galatro, sale verso la grande diga sul Metramo. Un tempo era ben coltivata.

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[2]

CERZI D'A FIDI: querce della fede.

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[3]

PASSU DI CANCIADU: tra LONGA e LONGHICEDA (piccola LONGA). Fino a qualche anno fa esisteva ancora un cancello (canciadu) che delimitava le due proprietà.

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[4]

ZZIMBE: capanne, pagliai, per gli animali e per le persone.

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[5]

VUTUREDA: località oltre la LONGA, al bivio per i  piani  di Prateria. Anche questa terra, un tempo, era coltivata  da  povera gente proveniente, per la maggior parte, da Fabrizia.

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[6]

VADI I PAPA : o VADI I PAPA', come alcuni anziani pronunciavano. Letteralmente VALLE DEL PAPA o del  PAPA'.  Si  trova  poco prima del GRANPETTU.

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[7]

TOMANATA : misura corrispondente a circa 50 chili.

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[8]

ZZUMPI : radici di erica, con cui si "abbozzavano"  le  pipe. Fino a qualche anno fa esisteva, anche a Galatro, una piccola industria per il semilavorato delle pipe.

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[9]

METRAMO E FERMANO : due fiumare che, insieme al POTAMI,  confluiscono a Galatro. Il Metramo nasce dal monte Crocco, il Fermano dall'Arenella, mentre il Potàmi, più modesto,  é  formato  dai tanti rigagnoli che si formano nella faggeta a monte di  Galatro. Sul fiume Metramo, in contrada "Castagnara",  é  stata  costruita un'imponente diga, forse unica nel suo genere, dalla capienza  di circa 27 milioni di metri cubi d'acqua.

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[10]

POSATA : Luogo in cui il proprietario di un terreno  ha  costruito un riparo per "posarsi", per fermarsi, ripararsi  o  conservare il raccolto.

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[11]

CUBASINA : Località pianeggiante quasi parallela alla Longa. Parte si trova nel comune di Galatro; parte in quello di Giffone. In questa località i monaci basiliani hanno costruito un convento di cui sono rimasti ruderi ben visibili anche  dalla  strada  che sale alla Longa. Si parla sempre di restauro, ma, fino  ad  oggi, sono stati rimossi solo i rovi e l'edera che lo sommergevano.  E' già qualcosa!

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[12]

FICANDIANI : Fichi d'India.

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[13]

ARBIDICU ( ORBELLICO ) : Cucuzzolo caratteristico sulle  cui pendici sorge parte di Galatro, quella chiamata Montebello.

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[14]

GOZZA : caratteristico recipiente di argilla cotta, a  forma di piccola anfora, ben panciuta. Ha il pregio di mantenere fresca l'acqua. Qualcuno, in campagna, la usa ancora.

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[15]

GRANPETTU : località oltre la Longa. Si tratta di  un  monte caratteristico. Visto da Ovest, verso le pianure di Santa  Maria, sembra proprio un " grande petto", rivestito di castagni, frassini, ontani...

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[16]

BENADIZZIONI... Le donne, stanche, sudate, con questa espressione, usata anche oggi, quando si riceve qualcosa di cui si ha veramente bisogno, intendevano benedire Pasqualino e offrire ai "benedetti morti" quel loro apprezzato ristoro.

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