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di Giannino Oscar
Quando Romano Prodi
nel 1996 divenne presidente del Consiglio, tagliò la testa a manager
delle Partecipazioni statali che nelle sue due presidenze dell'Iri
si consideravano a lui vicini: Fabiano Fabiani a Finmeccanica,
Biagio Agnes alla Stet, Franco Viezzoli all'Enel. Il precedente vale
per ricordare che Prodi tornato alla presidenza del Consiglio si
comporta molto diversamente, rispetto alla larghezza con cui i
vecchi democristiani sostenevano personalità anche non proprio
affiliate alla propria cordata di potere e di corrente. Con Prodi lo
stile è diverso: i rapporti o sono personali di lunga data,
spessissimo maturati all'ombra dei cenacoli bolognesi, oppure sono
improntati a un riconoscimento diretto e a tutta prova della
leadership personale di Romano.
Uno stile forgiato nella dolorosa esperienza della defenestrazione
del 1998, che in tutti gli anni di guida della Commissione europea a
Bruxelles è stata costante oggetto di riflessione per Romano e sua
moglie Flavia. Ne è esempio il modo in cui Prodi da palazzo Chigi,
dopo aver spacchettato le competenze tra i diversi dicasteri al fine
di depotenziare i ministri più autorevoli dei partiti della
maggioranza e aver inserito Arturo Parisi alla Difesa per evitare
che su politica estera e servizi Massimo D'Alema avesse troppo
potere, si sono aggirati e cloroformizzati tutti i vertici tecnici
del ganglio più vitale del governo, il ministero dell'Economia. Di
fatto, Tommaso Padoa-Schioppa, che solo a Prodi risponde, è
risultato poco più che un autorevole paravento. Sin dall'inizio del
governo, la Ragioneria Generale dello Stato è stata messa in mora
attraverso l'intervento del prodianissimo Riccardo Faini -
drammaticamente scomparso lo scorso fine settimana - incaricato
della due diligence prima e poi per mesi candidato alla guida dell'Authority
sui conti pubblici con la quale Palazzo Chigi voleva "commissariare"
i conti. Nella gestione concreta della Finanziaria in Parlamento,
non è stato il ministro, ma il sottosegretario Nicola Sartor - che
solo a Prodi risponde - a trovarsi a malpartito di fronte ai commi
fluviali scritti al di fuori delle commissioni parlamentari, con
manine e manone che inserivano condoni per i reati contabili,
riscritture cervellotiche delle tasse automobilistiche e dei sussidi
in bolletta alle tariffe elettriche Cip6.
Non solo Bazoli
Quanto al dipartimento del Tesoro che istituzionalmente segue il
debito pubblico e soprattutto le società partecipate, il professor
Vittorio Grilli è ormai caduto in disgrazia e tutto è in mano al
sottosegretario Massimo Tononi, ex banchiere di Goldman Sachs che
per conto di Prodi segue direttamente dossier come la
privatizzazione Alitalia. Traguardandosi direttamente a palazzo
Chigi con Daniele de Giovanni, vero uomo ombra di Prodi per le
partite di potere reale banco-finanziario, e assai più fine di
Angelo Rovati, l'ex presidente della Lega Basket il cui vero ruolo
all'ombra di palazzo Chigi (dopo aver fatto da collettore dei
finanziamenti elettorali per Prodi nel mondo dell'economia) è stato
danneggiato dallo scivolone sul dossier Telecom, l'estate scorsa.
Nel mondo bancario, è persino superfluo ricordare che il più
prodiano di tutti è il vero vincitore di tutte le partite da qualche
tempo a questa parte, il professor Giovanni Bazoli. Dopo aver
aggregato il Sanpaolo torinese convincendo il prodiano Enrico Salza
e aggirando le timide obiezioni dell'Ifi-Ifil, e dopo aver fatto
sistemare da Prodi il fidato Alfonso Jozzo al vertice della Cassa
Depositi e Prestiti che detiene quote decisive di Enel, Poste e
Terna, Bazoli punta ora con il raider Romain Zaleski ad assorbire i
resti della razza padana di Hopa, ad aver voce decisiva nella
Telecom post tronchettiana traghettata da Guido Rossi, a pesare
sempre di più nelle scelte di Generali e di Mediobanca, e riprendere
il controllo su Rcs e il Corriere, allentatosi con la
defenestrazione di Vittorio Colao. Con Prodi hanno ottimi rapporti
sia Corrado Passera, che da Prodi fu chiamato alle Poste, sia
Alessandro Profumo di Unicredit. Sia Franco Bernabè, oggi alla testa
della Rothschild italiana, non a caso la prima maison internazionale
d'affari a movimentare la gara Alitalia, quando a tutti sembrava che
fosse destinata ad andare deserta. Ma a casa di Virginio Rognoni,
quando a fine '94 si decise che sarebbe stato Prodi l'anti
Cavaliere, c'era appunto Bazoli, oltre ad Andreatta di cui il
banchiere aveva rifiutato l'offerta inizialmente pensata per lui.
Di quanto nei circoli della vecchia e severa Brescia devota che si
raccoglieva un tempo intorno alla banca San Paolo si guardi con
distacco all'allineamento di potere Prodi-Bazoli-Zaleski, sabato
scorso ne ha dato dimostrazione un bellissimo articolo annegato dal
Sole 24 ore oltre pagina 30, in cui quell'incorreggibile schiena
dritta fuori dal tempo di Mino Martinazzoli ha estesamente
argomentato che la nuova trinità finanziaria nulla più ha a che
vedere con la Brescia cattolica di un tempo e con la Fondazione
Montini di Giuseppe Camadini. Del resto, Prodi coi cattolici ha
avuto rapporti complicati tanto nel suo primo governo, quando sua
eminenza Ruini - suo ex confessore e officiante il matrimonio -
tentò molte volte di dissuaderlo da accordi estremi con
Rifondazione, quanto attualmente, e a maggior ragione se sarà il
patriarca di Venezia a raccogliere l'eredità ruiniana.
Cattolici progressisti all'appello
L'ipotesi di una Curia romana e di una Cei che raccogliessero negli
anni la sfida progressista lanciata dall'ex arcivescovo di Milano
Carlo Maria Martini non è riuscita, e anche i diretti rappresentanti
della testimonianza cattolica nelle file prodiane - come Bobba e
Binetti - finiscono per creare più problemi che vantaggi al premier.
Anche se non mancano potenti prelati prodiani, come il cardinale
Attilio Nicora, la vera mente finanziaria della Curia; monsignor
Celestino Migliore, osservatore permanente all'Onu; o vescovi come
quello di Viterbo, Lorenzo Chiarinelli, organizzatore delle
"settimane sociali" Cei.
Alla Rai, per Prodi sinora non è andata benissimo: ha ottenuto poco
più della direzione del Tg1 per Gianni Riotta. A palazzo Chigi
avrebbero preferito come direttore generale dopo Meocci Antonello
Perricone per tener buono Montezemolo, ma la manovra è fallita. Il
prodiano Innocenzo Cipolletta ha pagato rimettendoci la presidenza
del Sole 24 ore pur ricevendo in cambio quella di Ferrovie; e il
nuovo dg della Rai Claudio Cappon non si sta comportando con la
sciabola sguainata come detta lo stile prodiano, che solo
rilanciando ogni giorno il muro contro muro può rinsaldare coesione
e insostituibilità della propria leadership. Gad Lerner e Fabio
Fazio sono gli uomini tv più prodiani di tutti.
I vecchi amici non si dimenticano
Le vecchie amicizie bolognesi e quelle del ristretto circolo
intellettuale raccolto da Romano sono le più note: da economisti
dell'energia come Fabio Gobbo e Alberto Clò, al welfarologo Paolo
Onofri, da Piero Gnudi presidente dell'Enel, a Edmondo Berselli
direttore del Mulino, da Franco Mosconi già nello staff di palazzo
Chigi e Bruxelles, ad Alessandro Ovi esperto di telecomunicazioni e
direttore della rivista del Mit Technology Review, dall'ex portavoce
Ricky Levi oggi deputato e sottosegretario incaricato a Palazzo
Chigi del rapporto con le imprese editoriali italiane, a Enrico
Micheli, ex Iri e anch'egli sottosegretario alla presidenza con la
delega sulla delicata partita della riforma dei servizi segreti.
Dove, in occasione della recente tornata di nomine, Prodi ha
piazzato alla testa del Cesis l'ex generale Giuseppe Cucchi, che
come capo dell'osservatorio strategia e sicurezza di Nomisma è stato
l'unico ex ufficiale generale italiano a rilasciare una
dichiarazione favorevole al nucleare dell'Iran.
Ma diciamola tutta: per quanto la rete prodiana sia più ferrea e
ramificata rispetto a dieci anni fa, la differenza di fondo è
un'altra. Oggi è il governo Prodi a essere l'emanazione politica pro
tempore di un potere reale che, quest'ultimo sì, detterà legge anche
quando a palazzo Chigi ci sarà un altro inquilino. Il potere reale è
oggi San-Intesa, la super banca unica italiana che però è privata. è
la politica ad aver bisogno di lei, e non viceversa.
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